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Un nuovo sogno

Post n°1196 pubblicato il 13 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Qualcuno narra che un giorno, in un campo, un campo qualsiasi, in un luogo qualsiasi, un contadino stesse zappando la terra o meglio, la neve. Già, perché la neve aveva nascosto la terra sotto uno strato bianco. Corrado però non si dava per vinto. Avrebbe spalato tanta neve, quanta ne sarebbe servita per ritagliare un pezzetto di terra coltivabile, nel quale sotterrare i semi che avrebbero procurato il suo sostentamento per i mesi invernali, anche se sapeva che si trattava di un’ impresa praticamente impossibile. Era da pazzi infatti cercare di seminare nella terra dura e morta dell’inverno ma, dato che Corrado era testardo e nella vita aveva fatto tante cose sfidando l’impossibile, continuava a scoprire tratti di terra zappando senza sosta.
Il silenzio regnava intorno e solo il rumore della zappa sul duro terreno, echeggiava nella valle. Corrado si fermò un attimo per riprendere respiro e il suo fiato uscì dalla bocca in una nuvola, come un genio invernale che esce da una lampada congelata. Si osservò le nocche delle mani ormai arrossate dal freddo, chiedendosi se la sua caparbietà l’avrebbe condotto a qualcosa. Quasi trasalì quando vide quella creatura.
“E tu chi sei?” chiese.
Il bambino era appollaiato su una roccia, a pochi metri da lui e Corrado, nonostante il silenzio, non aveva avvertito il suo arrivo. Era vestito di stracci e aveva uno sguardo triste ma vivo, di una vita immensa e incuriosita.
“Io vivo in un luogo non lontano da qui” disse il bambino, “per caso ti ho spaventato?”
“Non mi hai spaventato, moccioso, non so ancora come hai fatto ad arrivare qui, senza che io ti vedessi, ma non mi hai spaventato. Cosa ci fai qui? Fa freddo! Vai a casa o ti ammalerai, tuo padre e tua madre sanno che sei qui?”
“Non so dove sono i miei genitori, ma non ti preoccupare, nel luogo dove vivo, nessuno si preoccuperà della mia assenza. Tu vivi qui vicino?”
“Io vivo dietro al bosco, a est e questo è il mio campo …anche se devo ammettere che ha perso le sue sembianze. Maledetto inverno! Ho perso il raccolto lo scorso autunno, dopo quell’uragano e non avevo scorte per affrontare l’inverno. Che stupido sono stato a non prevedere quella calamità. Adesso devo ottenere qualcosa da questa brulla e morta terra! Ma tu, bambino, come puoi non sapere dove sono i tuoi genitori? C’è qualcosa che non mi quadra, tu non me la racconti giusta!”
“Vedi” disse il bambino “nel luogo dove vivo ho tutto quello di cui necessito. Lì io sono protetto e mi sento coccolato. Potrei dormire un sonno tranquillo e qualcuno, mentre sono tra le braccia di Morfeo, veglierebbe su di me. Sono nutrito e la pace regna in quel luogo”.
“Sono contento per te, però come puoi notare io non sono ne coccolato, ne ho tutto quello di cui necessito , ma sono sottobraccio alla disperazione e vorrei tanto sganciarmela di dosso, ma penso che non sarà facile. La vita è dura e vorrei tanto avere un moccioso come te, così lo metterei subito a zappare la terra e a darmi una mano. Io sono ormai avanti con gli anni e stanco, ho bisogno di braccia forti che sostituiscano le mie.”
“Sei sicuro che vorresti un figlio solo per metterlo a lavorare come un mulo da soma? Be’ in fondo imparerebbe molto da questo. E’ bello stare a contatto con la terra, vero? Si impara molto, vero? Io ti dicevo, ho tutto ma sento che mi manca tutto. E’ come se il luogo dove vivo mi nasconda tante avventure che ci sono intorno a me. Come dire….penso che il mondo sia un grande e bellissimo scrigno che nasconde tesori inimmaginabili e io vorrei tanto aprirlo quello scrigno e…..”
“Senti, basta chiacchiere! Io devo lavorare e non ho tempo da perdere. Visto che sei troppo piccolo per aiutarmi, levati dai piedi! Il mondo dici……il mondo è là fuori e chi l’ha mai visto. La terra….è terra! Ti dà il cibo e non c’è altro. Io non ho viaggiato e non ho grilli per la testa, e non ne posso avere e …….”
Si fermò un attimo. Il bambino lo stava fissando e i suoi occhi, gli stavano dicendo che lo specchio che nascondeva i suoi sogni era stato infranto ed questi ultimi adesso, stavano rovesciandosi per terra frantumandosi a loro volta.
“Be’” continuò “veramente ho sognato anch’io alla tua età, ma la vita mi ha preso tra le sue ruvide mani e mi ha accompagnato lontano da quei sogni e ora chissà dove sono finiti. A quindici anni lavoravo in una fattoria, mi alzavo alle quattro di mattina e andavo e andavo a letto alle sette di sera. Non avevo tempo di fare altro che lavorare. Vedevo la vita nascere ogni giorno davanti a me e compiangevo quei poveri esseri, che venivano al mondo. Parlo di cavalli, mucche, capre e altri animali. Non dimenticherò mai gli occhi di quel cavallino, il giorno in cui nacque. Sembravano i tuoi, teneri e bisognosi di affetto e io ero giovane. Piansi, quel giorno, perché almeno i suoi sogni si realizzassero. Io ero giovane ma la mia vita aveva imboccato una strada che non aveva vie laterali da prendere. Era un unico viale, dritto e lunghissimo e io avrei dovuto percorrerlo tutto, senza guardarmi troppo intorno. Ma io non mi diedi per vinto: cominciai a leggere e spesso crollavo dopo aver letto poche righe, però negli anni riuscii lo stesso a conoscere quello che non avrei probabilmente mai visto”.
“E il cavallino? Che fine ha fatto?”
“Be’ lui corse libero per i campi. Era bellissimo guardarlo, perché i suoi sogni erano tutti in quei movimenti. Lui il mondo lo assaporava tutto sotto i suoi zoccoli e nell’aria che respirava. In quella corsa c’era il mondo appeso a quella criniera, che correva con lui”. Ora Corrado piangeva.
Il bambino sorrise. “E insieme al mondo c’eri anche tu!”
Corrado sorrise a sua volta tra le lacrime.
“Vedi” continuò il bambino “io andrò via dal luogo dove attualmente vivo e mi incamminerò per il mondo in cerca di fortuna. Forse sarò meno protetto ma quante cose imparerò. Vedi, tu hai imparato a proteggerti da solo, perché sai capire dalla vita cosa vuoi avere e cosa no e non ti sei fermato nel luogo che la vita ti aveva assegnato. Adesso ho capito cosa significa vivere, vuol dire desiderio di conoscere ed esso abbatte le barriere materiali della possibilità. Tu hai visto la vita nascere, hai assimilato la vita da parole scritte sulla carta, hai corso con la vita nelle movenze di un cavallo. Io vorrei avere la vita che hai avuto tu e se dovessi esplorare il mondo lo vorrei fare con un uomo come te”.
Con queste parole, il bambino si alzò dalla roccia e si incamminò per un sentiero. La nebbia avvolgeva il suo incedere lento. Si girò un’ultima volta: “Ah, comunque io mi chiamo Mattia.”
Corrado lo guardò scomparire nella vegetazione , chiedendosi se l’avesse mai rivisto. La giornata volgeva ormai al termine e il contadino si caricò la zappa sulle spalle. Il giorno dopo sarebbe stata una nuova giornata di lavoro. Le parole del bambino risuonarono nella sua testa, mentre si incamminò verso casa. Forse aveva veramente vissuto più intensamente di quello che aveva pensato fino a quel momento e ora desiderò con tutte le sue forze, avere a fianco un altro Corradino a cui insegnare tante cose e non solo zappare la terra.
Era così immerso in questi pensieri che non si accorse neanche che, nell’ultimo pezzo di terra che aveva scoperto e seminato, una piccolissima piantina aveva fatto la sua comparsa.
Era ormai buio, quando bussò alla porta della sua casa. Sandra corse ad aprirgli con un sorriso che era più grande della porta che aveva aperto:
“Caro, ho due notizie una bella e una brutta. Quella brutta è che diventerò grossa come una balena e quella bella è che ci sarà una persona nuova in casa nostra a cui potremo insegnare a guardare il mondo, nel miglior modo in cui riusciremo a farlo”.
La zappa cadde dalle spalle dell’uomo. Ormai non ci sperava più che un nuovo sogno potesse diventare una vita umana nella sua casa ma a quanto pare il destino non la pensava così.
Sorrise e fu certo, mentre abbracciava la moglie, che dal giorno dopo la vita non l’avrebbe più vista con gli stessi occhi.
Sorrise e subito un pensiero si materializzò nella sua mente: Mattia era veramente un gran bel nome.

 
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