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La vita

Post n°1212 pubblicato il 15 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Ida era una bella bambina. Aveva i riccioloni biondi a coronarle il capo. Due occhi azzurri e il nasino a patata. Il suo corpo era agile ma cicciottello: correva e giocava tutto il giorno. Ma lei era sempre triste:
- Come è squallida la mia vita! - si lamentava di continuo.
Quella mattina era già sveglia. Se ne stava sotto le coperte. Era autunno:
- Che freddo! - gemette mettendo un piedino fuori dalle coltri.
- Aspetterò che la mamma mi chiami! - pensava a quanto era mesta la sua esistenza, quando un angelo entrò nella sua stanza. Era la madre:
- Buona giornata amore mio!Lavati e vestiti piccola, la colazione è pronta in cucina! - le comunicò la dolce mammina.
Ida se ne andò in bagno. Si deterse il faccino luminoso, e si guardò allo specchio.
- Come è malinconico campare! - diceva.
La mamma aveva preparato un bel vestitino a fiori. Ida lo indossò. Le stava proprio bene…poi con quelle scarpine nuove!!!
Giunse in cucina. C’erano anche i suoi fratelli. Tutti ridevano e scherzavano.
Che gioia mangiare quelle paste calde, e bere il latte zuccherato con amore dalla genitrice. Ma Ida era ancora afflitta.
Dopo aver fatto un sol boccone della colazione, la fanciulla scese al portone di casa, e si mise ad attendere il pulmino che la portava ogni mane alle lezioni.
- Come sono depressa! - ragionava Ida.
Nell’attesa si mise a guardare il cielo mattutino. L’aria era frizzante.
Il solicello si provava a dare tepore tra i cirri bianchi, e la luce si rifletteva magicamente nel pulviscolo atmosferico.
Passò un cagnolino. Ida staccò un pezzo di pane dalla sua merenda, e lo porse all’animale.
Il cane la leccò scodinzolando.
Arrivò la corriera.
Sui sedili i compagni di classe erano in grande allegria. Volavano aeroplanini e giocose parole. - Sono tanto avvilita! - meditava Ida.
Finalmente si ritrovò a scuola.
La maestra amava tanto tutti i suoi allievi. Si rivolgeva loro con parole dolci e colme d’amore.
Alle pareti vi erano briosi disegni colorati. Gli insegnamenti venivano impartiti con serenità e gioia.
- Che angoscia! - rimuginava Ida.
In realtà era davvero bello stare con tutti i colleghi tra i banchi. Trascorrere le ore a imparare, e a condividere la vita e le esperienze era fantastico.
Durante l’intervallo giocarono a palla.
A mezzogiorno le lezioni terminarono. Ida ed alcune sue amiche tornarono a casa a piedi.
I viali erano colorati del rosso tipico della stagione settembrina. Pareva un fatato tappeto color dell’oro, quello che appariva sotto i loro piedi. L’odore dei pini addolciva l’atmosfera.
Attraversarono il parco tutte insieme. Videro gli scoiattoli correre e i fiori aprirsi sotto il sole di mezzo dì.
- Che spettacolo! - dicevano le compagne di Ida.
- Io invece sono tanto infelice! - rispondeva Ida - La mia è una esistenza cupa e grigia!Non mi accade mai nulla! E’ tutto monotono! -
Tutto a un tratto il cielo si abbrunò. Cominciò a piovere. Venne un violento temporale.
- Ripariamoci sotto al gazebo! - dissero le amiche di Ida.
Si ritrovarono tutte protette dal chiosco.
La pioggia provocava un dolce rumore ticchettando sul bersò. Era piacevole starsene difese da quella costruzione, mentre fuori infuriavano gli elementi.
Giocarono coi noccioli di pesca che Geltrude teneva sempre in cartella.
Risero e si divertirono.
Poi tornò il sole: sbucò uno splendido arcobaleno. Gli uccellini ripresero a cantare.
I loro gorgheggi erano melodiosi e soavi, ma Ida era ancora desolata.
- Che aria funebre! - rifletteva.
Le amiche si salutarono, e dandosi appuntamento per il pomeriggio si avviarono ognuna alla propria dimora.
A pranzo Ida ritrovò i fratelli.
C’era un gran rumore al desco familiare.Tutti ridevano e si trastullavano.
La minestra fumante ristorò i corpi infreddoliti dei commensali, mentre la mamma chiedeva come era andata a scuola, e consolava gli amareggiati.
Sembrava una fata quella donna, capace, come per incantesimo, di confortare nei momenti difficili, ma Ida si occupava solo di pensare alla sua pena interna:
- Le mie sono giornate sempre uguali e brutte! - considerava tra sé e sé.
Nelle prime ore del meriggio si recò in giardino. Giocarono a campana e a nascondino, coinvolgendo anche i maschi. Parlarono delle loro cose e condivisero il tempo in letizia e amore.
Quando la bronza delle diciassette era ancora calda, ognuno si recò a casa per la merenda. Ida e le sue amiche decisero di andare tutte a casa di Gemma, per prendere il tè insieme.
Fu un momento di gioia e divertimento, ma Ida era sempre giù di corda, non si accorgeva delle piccole, grandissime, giocondità quotidiane che in realtà erano dei tesori.
- E’ tutto ripetitivo e monocorde! - soppesava.
Venne poi l’ora vespertina.
Ida e i fratelli, ritrovatisi in casa e svolti i compiti, cominciarono ad attendere il ritorno del babbo dal lavoro; Quando l’uomo rientrò alla dimora domestica fu come al solito una gran festa, ma Ida seguitava a essere amareggiata.
- Che brutta vita! - pensava.
Dopo cena ciascuno raccontò agli altri la propria giornata, solo Ida rimase in un angolino, richiamando alla mente la sua continua angoscia.
Quando la mamma andò a rimboccarle le coperte, dalla finestra si vedevano le luminose stelle scintillare in cielo: era una vera manifestazione di magia, ma Ida rimaneva imperturbabile a pensare sconfortata.
La madre la baciò calorosamente,e lei non smise di essere a terra.
- Quanto sono addolorata….! - singhiozzò.
Quella notte ebbe un incubo: sognò che il giorno successivo non avrebbe potuto alzarsi e trovare il sorriso della madre.
Nelle sue rappresentazioni oniriche, non c’erano più le gioie condivise coi compagni, né l’amore della maestra, nel sogno angoscioso mancavano i viali dorati e gli scoiattoli agili.
Non c’era alcun arcobaleno.
Nessun gioco.
Mancava l’energia degli amici.
Era assente l’affetto dei fratelli.
Ida si destò di soprassalto:
- Quanto sono fortunata! - disse a voce alta – La mia vita è uno splendido viaggio, basta compierlo con allegria cercando di apprezzare quanto sono ricca e felice….! - e da quella volta non fu mai più triste.


 
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