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Basuccu e le Gianas

Post n°1230 pubblicato il 17 Novembre 2011 da odette.teresa1958

A Tempu, in quel tempo lontano, vivevano le Gianas. Erano fatine piccoline, alte come il pollice di un bambino di nove anni compiuti.
Si vestivano di rosso, portavano sul capo minuscoli fazzoletti fioriti e attorno al collo diademi d’oro e di bacche di rosa.
Cucivano e filavano le proprie vesti e lavoravano la terra.
Dentro le case tenevano mobili ricavati dalle foglie di quercia e piatti fioriti.
In un monte là vicino, in una grande caverna, conservavano un telaio d’oro col quale ricamavano le gonnelle, le babbucce e i fazzoletti, con fili di seta color del cielo, colore di papavero e colore di sabbia.
Ma a furia di tessere e filare e lavorare la terra, le gianas erano sempre stanche, e si lamentavano per il troppo lavoro.
Quel giorno per riposare un pochino, stavano passeggiando nel bosco . Videro Basuccu addormentato sotto l’albero, e una di loro disse alle altre:
“Guardate questo giovane forte e robusto col viso scioccherello. Non pensate che ci possa essere utile?”
Svegliarono Basuccu che, vedendosi circondato da quelle creaturine piccolissime si spaventò non poco, e urlò come un indemoniato:
“Oh deu, Deu, deu…
sono già morto,
sotterrato e arrivato all’inferno
e non me ne sono neanche accorto!”

Le gianas scoppiarono a ridere e, saltellandogli attorno con gli abitini rossi svolazzanti e battendo le mani risposero in coro:
“Stupidotto che sei!
Forse i morti
si agitano e parlano
come fai tu ora?”

Basuccu cominciò a pensarci, ed ebbe la certezza di essere ben vivo quando sentì i crampi della fame, da cui il sonno prima e lo spavento poi lo avevano distratto.
“Ho fame”, disse.
“In questo paese chi non lavora non mangia - rispose una delle gianas - se vuoi abbiamo il lavoro che potrebbe fare per te. Ti assicuriamo vitto abbondante e alloggio comodo”.
Basuccu accettò senza starci tanto a riflettere.
Si incamminarono verso il monte. Le gianas davanti, in fila, piccole piccole come tante ciliegie, e dietro il giovane sciocco, grande grande e con la bisaccia vuota.
Infine arrivarono. Entrarono nella caverna e giunsero al telaio d’oro.
“ Eh, Oh, Uh,Ah, It’è, It’è?” non faceva che ripetere Basuccu allo spettacolo inatteso. Le gianas gli spiegarono il funzionamento e gli dissero:
“Siedi e fila,
e non farti cadere le braccia,
se vuoi minestra e patate”.

Lo sciocco si sedette e cominciò a pedalare. Da principio fu più la tela che riuscì a rovinare di quella che riuscì a tessere. Ma si mise di busso buono: con tanta volontà imparò il mestiere.
Da quel pomeriggio, e per lunghi anni, restò al servizio delle gianas, che in cambio gli davano cibo e giaciglio. E avevano preso a volergli bene come fosse un figlio.
Ma si stancò di stare sempre a quel monte, in quel bosco, in quella caverna. Aveva voglia di viaggiare, di conoscere nuova gente di avventurarsi per il mondo.
Un bel giorno decise di partire.
Le gianas allora, riconoscenti per il molto lavoro ch’era riuscito a fare, gli regalarono una pentola piena d’oro, e gli restituirono la sua bisaccia piena, questa volta, di provviste.
“Sta attento, Basuccu – dissero prima di lasciarlo partire – il mondo è grande e bello, ma pieno di furfanti che tenteranno di imbrogliarti. Tu fidati di chi ti da lavoro, e non di chi ti assicura tesori che non esistono”.
Fecero una gran festa d’addio, che durò tutta la notte, e mangiarono petali di viola e pernici di passo, e bevvero sidro e idromele.
L’indomani all’alba, colle guance consumate dai minuscoli baci delle gianas, commosso come un bambino, il giovane sciocco prese pentola e bisaccia e si rimise in cammino.

 
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