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Il Piccolo Popolo

Post n°1328 pubblicato il 04 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Origine degli Y Tylwyth Teg



Sin dai tempi più antichi sembra che uomini ed esseri fatati abbiano convissuto fianco a fianco. I miti e le leggende del passato raccontano di come, nella loro veste di Sidhe, (il popolo dei Tumuli), essi influenzassero i grandi eroi nei loro sforzi oppure di come vi si opponessero favorendo i loro nemici. Inizialmente queste creature erano probabilmente solo la personificazione di forze elementali, che i Celti credevano dimorare nell'ambiente che li circondava. In un secondo tempo, essi vennero considerati esseri di razza non umana, noti con una grande varietà di nomi. Ad esempio, come Tuatha de Danaan (il popolo della Dea Danu), erano conosciuti nell'antica Irlanda nelle vesti di grandi guaritori, ma anche temuti in quanto maghi potenti.



La dea Danu e i Tuatha de Danaan



Anu, Danu o Dana la grande Dea Madre dei Celti, della divina razza d’Irlanda, “il popolo della Dea Danu”, cioè i Tuatha De Danann.
Esiste discussione sul fatto se Anu e Danu siano la stessa Dea, ma si ritiene questo, la prima essendo collegata alla fertilità e la seconda come madre di una razza divina.
Altri nomi e successive rappresentazioni della Dea sono Boand (”Mucca Bianca”), Brigit, Etain.
Gli dèi, cioè i Tuatha Dé Danann (”figli della dea Dana”) la riconoscono tutti come madre, il che ha fatto ritenere che il più antico nucleo della religione celtica fosse di tipo matriarcale, considerando il ruolo particolarmente importante che le donne rivestivano all’interno della società, l’indicare spesso con il matronimico l’ascendenza e la libertà sessuale e giuridica di cui esse godevano.
Tutte le divinità femminili riconoscibili nei miti celti non sono che aspetti di Dana nelle sue molteplici facce.
Il Glossario di Cormac (X secolo) parla di Anu come “mater deorum hibernensium” e la lista dei nomi di “Còir Anmann” la rende responsabile in modo particolare della crescita del Munster cui è toccata la fertilità del paese poichè solo così è assicurato il bene di piante, animali ed esseri umani.
Le due colline leggermente arrotondate, a 696 m. sul livello del mare, a sud est di Killarney (contea di Kerry) sulle cui cime c’è un cairn, per renderne il profilo ancora più inequivocabile, si chiamano in irlandese “Dà Chich Annan”, “i due seni di Anu” (in inglese The Paps).
Qui la grande Dea Madre è distesa nel paesaggio, è la Dea Madre, la personificazione dell’Irlanda.
Nel cristianesimo è diventata la Santa Brigida irlandese, la Sant’Anna della Bretagna, la Black Annis in Inghilterra (spauracchio dei bambini), la docile Anna in Scozia, che ha il potere sulle tempeste.

Essi comparivano spesso come creature umanoidi, dalla pelle dorata e dai nobili tratti. La loro società, secondo la tradizione, era vagamente modellata sulla società celtica, di modo che gli umani che venivano catturati potessero compiere facilmente il passaggio tra i due piani dell'esistenza.




Gli esseri fatati possiedono, in Galles ad esempio, almeno tre nomi comuni e distintivi, oltre ad altri che attualmente non sono in uso.
Il primo nome, e il più generale, attribuito loro è Y Tylwyth Teg, o la Bella Tribù. Si parla di loro come popolo, e non come esseri mitologici o folletti, e di loro si afferma che sono una razza di creature gentili e di bell'aspetto.



Un altro nome comune per le creature incantate è Bendyth Y Mamau o "Benedizione di una Madre". E' un modo di dire assai singolare, e difficile da spiegare. Forse allude all'origine fatata, da parte di madre, di alcuni individui fortunati.
Il terzo nome attribuito alle creature magiche è Ellyll, che indica un elfo, un demone o un folletto. Questo consegna detti esseri al mondo degli spiriti, e li rende simili ai Geni orientali, e agli allegri spiritelli di Shakespeare.
Nel Pembrokeshire gli esseri magici sono chiamati Dynon Bach Teg, o Piccolo Popolo Fatato.





In Scozia esistono per lo meno due specie di elfi, i Brownie e le Fate. I primi sono caratterizzati dal colore bruno della loro pelle, le fate dalla loro leggiadria e bellezza.
Sembra che i primi amino darsi un gran daffare durante la notte nell'esecuzione di compiti gravosi, rendendosi ben accetti alla famiglia, unendosi alle fatiche domestiche e facilitandole con destrezza più che umana.



Nella mitologia dei greci e di altre nazioni si parla di divinità maschili e femminili che si innamorano degli esseri umani, e molte antiche genealogie hanno origine da un antenato celeste.
La stessa cosa in pratica degli esseri fatati. La tradizione narra di creature incantate innamorate degli abitanti della terra, e felici di avere per un certo tempo uno sposo o una sposa mortale.
Esistono anche delle famiglie nel Galles che, a quanto si afferma, hanno sangue fatato nelle loro vene.
Tutti i racconti che narrano di uomini che si uniscono in matrimonio a fate hanno un particolare in comune: in tali narrazioni la fata sposa l'uomo che ama, ponendo una condizione, e quando tale condizione viene infranta ella abbandona il marito ed i figli per tornare a rifugiarsi nel mondo incantato.
In altre narrazioni l'uomo può legare a se stesso una fata soltanto se riesce ad indovinare il suo nome.
Ciò è dovuto al fatto che i Celti, come accade per altre popolazioni, credevano nell'importanza e nel potere del nome proprio - che rappresentava, dopo tutto, l'identità di un individuo - e pronunciare il nome di una persona dava loro potere su di lei.


Da una leggenda, sembrerebbe che un sacerdote di nome Elidorus abbia vissuto in mezzo agi esseri fatati, nella loro dimora nelle viscere della terra, e ciò sarebbe avvenuto nella prima parte del dodicesimo secolo.
La leggenda parla di come un ragazzo, Elidorus appunto, che stava studiando da prete ed era ansioso di sfuggire ai suoi rigidi maestri, trovò rifugio in un mondo sotterraneo abitato da una razza di donne e di uomini di piccole dimensioni e che parlavano un linguaggio simile al greco.
Per un certo tempo egli visse con loro, ritornando al proprio ambiente solo di tanto in tanto, ma alla fine venne persuaso da amici e parenti a tornare definitivamente a casa e a riprendere i suoi studi per il sacerdozio. Cambrensis cita come fonte di questo racconto Davide II, ex vescovo di St David, morto nel 1176, e che secondo quanto si asserisce, aveva parlato ad Elidorus quando il sacerdote era ormai anziano e che aveva anche appreso da lui alcuni elementi del linguaggio del mondo sotterraneo
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