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Fra Dolcino

Post n°1470 pubblicato il 25 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Secondola Chiesa Cattolica fra Dolcino era, è lo è tuttora, un eretico che, con la legge falsa che predicava, disturbava la fede e la vita pacifica dei sudditi. I suoi seguaci erano dei delinquenti che non esitavano, per la propria sopravvivenza, a saccheggiare e depredare i beni delle popolazioni dove avevano posto i loro quartieri. Chi tentava di opporsi veniva ucciso e la sua casa data alle fiamme.

 

Dalla parte opposta fra Dolcino  viene considerato un riformatore della Chiesa e, soprattutto, un precursore dei principi informatori  della Rivoluzione Francese e dello stesso Socialismo.

 

Al di fuori delle passioni politiche e religiose vediamo qual è stata la storia di fra Dolcino e del movimento degli Apostolici  che, negli anni 1300 - 1307,   ha avuto il suo svolgimento, e tragico epilogo, sui monti della Valsesia e del Biellese.

 

Secondo gli storici gli Apostolici trassero la loro origine dallo stesso movimento francescano andato in crisi dopo la morte (1226) di  S. Francesco  d'Assisi. Il movimento Apostolico fu fondato nel 1260 da  Gherardino Segalelli, che iniziò a predicare  lo svincolo della Chiesa dalle ricchezze e dal potere, nonché il suo ritorno alle umili e paritarie condizioni delle origini. Gherardino, accusato di eresia, condannato al rogo, fu arso vivo nel 1300 a Parma. Fra Dolcino, suo discepolo, riorganizzò gli Apostolici e ne divenne ben presto il capo carismatico.

 

Fra Dolcino  viene definito come un uomo di rilevante intelligenza, capace, con le sue notevoli doti oratorie, di affascinare chiunque. I suoi seguaci erano contadini, artigiani, donne, bambini e  anziani, che  credevano nei suoi principi e ad una vita sociale migliore con la loro applicazione.

Accanto a quella di fra Dolcino spicca la figura della sua compagna Margherita, da tutti definita donna di rilevante bellezza, che lo segue in tutte le sue battaglie e che ne condivide la tragica  fine.

 

I concetti cardine della dottrina dolciniana possono essere così espressi:

 

- Abbattimento della gerarchia ecclesiastica e ritorno della Chiesa alle sue origini di umiltà e povertà.

­- Abbattimento dell'oppressivo sistema feudale.

- Liberazione umana da ogni costrizione e da qualsiasi potere costituito.

- Organizzazione di una società paritaria, di mutuo e reciproco aiuto, di comunione dei beni e di parità di diritti fra uomo e donna.

 

Come si vede fra Dolcino  più che un riformatore della Chiesa è da considerarsi un autentico rivoluzionario che ha anticipato i tempi di parecchi secoli. Proprio per questo non poteva che uscirne sconfitto.

Le sue teorie, che non restavano concetti astratti ma che venivano applicate fra la sua gente,  la  sua straordinaria capacità di fare proseliti non potevano che preoccupare seriamente le autorità costituite. Vennero assoldate milizie mercenarie per reprimere, sul nascere, un movimento che sviluppandosi avrebbe portato a conseguenze irreparabili.

Per sfuggire ai suoi persecutori  fra Dolcino  passa da Parma a Bologna ed in seguito si rifugia nel Trentino. Successivamente, sempre per sottrarsi alla caccia ostinata messa in atto dai  vescovi, dai feudatari e dall'Inquisizione passa, attraverso le montagne per sentirsi più sicuro, in quel di Brescia, Bergamo, Como e Milano.

In Valsesia fra Dolcino  arrivava  nel 1304 con un seguito di 3.000 persone. In quegli anni la valle era percorsa da  movimenti di insofferenza verso il sistema feudale, di rifiuto di pagare i balzelli e le decime, di resistenza armata. In questi fermenti di ribellione vi confluirono gli Apostolici di fra Dolcino  che vennero quindi accolti favorevolmente dai valsesiani. Il primo insediamento dei dolciniani fu a Gattinara, presumibilmente al castello di S. Lorenzo.  Questa sistemazione durò poco perché, pressati da milizie mercenarie assoldate dal Vescovo di Vercelli, i seguaci di fra Dolcino  furono costretti a ripiegare prima a Varallo ed in seguito a Campertogno. Dopo una permanenza di parecchi mesi in questa località  si videro nuovamente obbligati a cercare un rifugio più sicuro. In un primo tempo lo trovarono sulla Cima delle Balme e quindi, verso la fine dell'estate del 1305, sulla Parete Calva in Val di Rassa. Da questo rifugio i dolciniani, affiancati da ribelli valsesiani,  calavano a valle per compiere azioni di guerriglia nei riguardi dell'armata vescovile. Però questo rifugio, assolutamente inespugnabile con i mezzi bellici del tempo, si rivelò ben presto una trappola che avrebbe potuto diventare mortale. Al Vescovo di Vercelli si unì quello di Novara che assoldò nuovi mercenari, in modo particolare un corpo di balestrieri per contrastare i valsesiani abilissimi nel tiro con l'arco. La rinnovata armata vescovile bloccò tutte le vie di accesso alla Parete Calva impedendo ogni rifornimento, ogni azione di guerriglia e ogni via di fuga. Per la mancanza di viveri l'inverno 1305-1306 diventò terribile per i dolciniani. Nel marzo del 1306 fra Dolcino affrontò l'unica via libera che gli restava per abbandonare la Parete Calva e sfuggire all'accerchiamento. Con una marcia, che gli storici definiscono "incredibile", fra le montagne coperte da neve, passò in prossimità del Monte Bo, scese la Val Dolca approdando nel Biellese e attestandosi sui Monti Rubello, Tirlo e Civetta. I dolciniani erano ormai ridotti a poche centinaia, ma sufficienti per costruire apprestamenti difensivi attorno ai monti citati quali un fortino, cinte murarie, un pozzo e alcuni camminamenti. Partendo da questa base, con azioni di guerriglia contro i loro nemici, si procurarono viveri e quanto serviva alla loro sopravvivenza. Immediata fu la reazione del Vescovo di Vercelli che chiese aiuto ai feudatari e ottenne dal papa Clemente V che fosse bandita una crociata per reprimere, una volta per tutte, il movimento degli Apostolici di fra Dolcino. Tutte le vie di accesso e di ritirata dai Monti Rubello, Tirlo e Civetta furono bloccate. Ogni possibilità di rifornimento viveri preclusa. In queste condizioni i dolciniani dovettero affrontare un nuovo terribile inverno.

Il 23 marzo 1307  i Crociati, in rilevante superiorità numerica,  sferrarono l'attacco finale alle postazioni dolciniane. Dopo  un'intera giornata di combattimenti accaniti e cruenti riuscirono a  piegarne la resistenza.

Fra Dolcino, Margherita e Longino Cattaneo furono catturati vivi unitamente ad altri 150 prigionieri.

Margherita fu bruciata per prima sulle rive del Cervo alla presenza di fra Dolcino.

Fra Dolcino e Longino Cattaneo furono sottoposti a terribili torture. Furono ad essi strappate le carni con ferri arroventati,  prima di essere a loro volta bruciati vivi sul rogo.

 

Ai giorni nostri riesce difficile pensare come gli alti prelati siano riusciti ad infliggere una morte così orrenda, in nome della Chiesa Cattolica e della dottrina di Gesù Cristo da essa predicata.

 

Comunque si vogliano valutare le fedi,  le ideologie e i fatti, una cosa  è certa: il contenuto politico del messaggio lanciato da fra Dolcino annovera principi universalmente validi,  principi che non avranno mai fine.

 


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