« Ho conosciuto in te le m...Giulia Manzoni Beccaria »

Teresa Blasco

Post n°1496 pubblicato il 29 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Teresa Blasco Quell' amore contrastato e poi traditoNonna di Alessandro Manzoni, ebbe quattro figli: uno fu concepito fuori dal matrimonio Morì di sifilide non ancora trentenne Era sensibile ai corteggiamenti e alle lusinghe Pietro Verri la chiamava «ninfa» All' inizio la vita coniugale fu difficile tra ristrettezze finanziarie e privazioni Dopo vennero i salotti

 

Teresa Blasco, la nonna del Manzoni, non era uno stinco di santo. Lieve come una piuma, gli occhi più attenti alla moda di Parigi che ai libri sapienti, il sangue ribollente, sensibile ai corteggiamenti e alle lusinghe e fossero stati soltanto quelli. Il giuramento Cesare Beccaria, il nonno del Manzoni, l' autore Dei delitti e delle pene, gran libro della storia del mondo civile, se ne invaghì, pronubo il maestro di cappella Carlo Monza, detto il Monzino, che dava a entrambi lezioni di musica. Milano, 28 settembre 1760. Teresa Blasco aveva 16 anni, Cesare Beccaria ne aveva 22. «Io sottoscritto prometto e giuro avanti Dio e sulla parola di cavaglier d' onore alla signora Teresa de Blasco di sposarla in qualunque maniera, e qualunque contrasto mi venga fatto dalla parte de' parenti questa mia promessa intendo che abbia forza come se fosse rogata con pubblico istromento. Così Dio, che vede l' intimo del mio cuore e la rettitudine delle mie intenzioni, mi sia propizio, ed in fede Marchese Cesare Beccaria Bonesana». Dalla parte de' parenti i contrasti furono accesi. La famiglia Beccaria, ammessa da poco e con sottili artifizi al patriziato, non godeva di buona salute finanziaria, pressata com' era dai debiti e dai fedecommessi. Lamentava, dimentica della propria condizione o proprio per questo, la piccola nobiltà dei Blasco - fece condurre un' indagine da un genealogista di Firenze - lamentava soprattutto l' esigua disponibilità patrimoniale della famiglia della sposa perché una buona dote avrebbe sanato ogni difficoltà. I Blasco, originari del regno di Castiglia e d' Aragona, si erano insediati in Sicilia, a Messina. Il padre di Teresa, Domenico, era Tenente colonnello degli Ingegneri della Brigata d' Italia. Tra i suoi nove fratelli, due erano domenicani, altri due anch' essi militari, entrati nell' esercito imperiale nel periodo di soggezione del Regno di Sicilia agli Asburgo. A Milano si erano integrati nella società del tempo, non malamente se possedevano due ville in campagna, a Pizzighettone, sull' Adda, e a Gorgonzola, poco lontano da Gessate dove i Beccaria soggiornavano di frequente. Il conflitto, nutrito dalle ragioni del denaro e dell' ascesa e della discesa sociale e aggravato dall' origine forestiera dei Blasco, fu furibondo. Il marchese Gian Saverio Beccaria riuscì a ottenere gli arresti domiciliari del figlio ribelle nel palazzo della Contrada di Brera, al numero 6, dove Cesare rimase poco meno di tre mesi fin quando fu liberato dal Vicario di Giustizia. Fu allora che il giovane scrisse alla promessa sposa lettere in cui rinnegava la scelta del matrimonio per «l' invincibile dissenso del padre». Tornò sui suoi passi, si ricredette, inviò lettere appassionate, pensò a un «matrimonio di sorpresa» come Renzo e Lucia nei Promessi Sposi. Il 2 febbraio 1761 i due si sposarono. Ma la vita era grama, mancavano i soldi, i genitori vestivano a lutto, il padre aveva diseredato il figlio. Nonostante le strazianti preghiere al carissimo signor padre: «La supplico per le viscere di Gesù Cristo di non più oltre impedirmi l' esecuzione di questo matrimonio, né di più ulteriormente violentare la mia volontà e la mia coscienza». Il marchese padre non mutò giudizio. Cesare Beccaria scrisse allora due lettere al conte Carlo Giuseppe di Firmian, ministro plenipotenziario d' Austria a Milano: era «ridotto all' ultima desolazione», «ridotto all' ultima mendicità»; «costretto di vivere in continue strettezze per dovere fare casa da sé, senza che il padre gli somministri li dovuti alimenti necessari al supplicante e sua famiglia, il che dall' Eccellenza Vostra implora e spera». Scriveva anche: «Ora mi trovo colla moglie vicina al parto, con mille lire annue di solo assegnamento per vivere, circondato dalla miseria e dalla disperazione: prendo l' unico partito che mi resta, ed è di presentarmi colla moglie a' piedi di mio padre e cercare se lo spettacolo della mia rovina e le mie lagrime possono far parlar la natura. Vado quest' oggi umiliato e mendico ad implorare dalla carità di mio padre un posto per me e per mia moglie a quella tavola dove ogni giorno si usa ospitalità cogli estranei; vado a cercare ricovero in quelle stanze altre volte destinate a me ed ora vuote». La messa in scena fu efficace. Tra commedia dell' arte, tragedia e melodramma. Una sera, all' ora di cena, il marchese padre e la moglie Maria furono colti di sorpresa dal figlio mandato in esilio accompagnato dalla moglie. Cesare recitò con tono compito le sue parole di scusa, Teresa che aveva in grembo Giulia, la futura madre del Manzoni, svenne. Il ciglio asciutto dei marchesi si inumidì. I due sposi andarono ad abitare in via Brera nel palazzo severo e grigiastro dove ora, sopra il balcone e le finestre del primo piano, spuntano i medaglioni con i volti di Cesare Beccaria, di Pietro Verri, di Giuseppe Parini e di altri che furono i protagonisti dei fervori del Settecento, tra l' Accademia dei Pugni e Il Caffè, la Milano dei lumi che sembra far presentire gli slanci della Milano romantica, con le sue grandi opere - I promessi Sposi uscirono nel 1827 - e la sua intelligente, colta e progressiva classe dirigente. (Nella magnifica Edizione nazionale delle Opere di Cesare Beccaria, diretta da Luigi Firpo e Gianni Francioni, promossa da Mediobanca, dal 1984, sono raccolti in dieci volumi gli scritti e i documenti del grande illuminista lombardo). I giovani sposi Beccaria, ora, frequentavano i salotti. Pietro Verri, non insensibile alle sue grazie, chiamava Teresa Blasco «la marchesina» o «la ninfa». Nelle lettere al fratello Alessandro raccontò come in quelle festose serate gli sguardi si appuntassero su di lei: «Le cinquanta nobili matrone fissavano gli occhi sul suo copricapo appena venuto da Parigi quasi fosse l' apparizione di una prodigiosa cometa». Non era tenero, Pietro Verri, con Teresa. Definita «la ninfa», «quella testina» o, a volte, «la coglioncellina». Era geloso anche di Cesare: le sue Meditazioni sulla felicità pubblicate nel 1763 non avevano avuto di certo il successo immenso che in tutta l' Europa toccò a Dei delitti e delle pene pubblicato l' anno successivo. Nel 1766 Cesare Beccaria e i fratelli Verri - tutti quei nomi illustri, Beccaria, Manzoni, Verri, sembrano usciti, per un gioco del caso, da una pregiata macelleria milanese - andarono a Parigi. Il Beccaria fu accolto dai filosofi e dai giuristi sommi con i segni della gloria dovuta ai grandi. Conobbe d' Alembert, Diderot. Ma aveva il verme della lontananza nel cuore. A Teresa scriveva lettere appassionate: «Non credeva di amarvi tanto». «Sono in mezzo alle adorazioni, agli encomi, i più lusinghieri, considerato come compagno e collega dei più grandi uomini dell' Europa, guardato con ammirazione e con curiosità (...) e pure io sono infelice e malcontento perché lontano da te». I corteggiatori Teresa gli scriveva lettere più piatte, gli parlava della Marrianina e di Tognio, i domestici di casa Beccaria, gli parlava ogni volta del Calderara, il marchese Bartolomeo Calderara, del suo star bene, del suo star male e delle sue ville di delizia sul lago di Como. Già, perché di corteggiatori, Teresa ne aveva avuti parecchi, ricambiati, ma il marchese era l' amante. I Beccaria e Bartolomeo avevano instaurato una specie di ménage à trois. E uno dei quattro figli, Annibale, fu concepito quando Cesare si trovava a Parigi. Tra l' ironia dei Verri. Teresa Blasco morì il 14 marzo 1774, di mal francese, non ancora trentenne. Il grande amore doveva essere finito da tempo. Cesare Beccaria si risposò, tre settimane dopo la morte di Teresa, con Anna Barbò, gentildonna di un' antica nobile famiglia cremonese. «Amabilissimo sposo - scrisse Anna a Cesare -, la signora madre m' incarica di dirvi che sembra a lei non conveniente l' andare vestito a lutto a partecipare il matrimonio, e però ha dato a me il piacere di prevenirvi, acciò abbiate tempo di cambiare l' abito». Sposò Cesare Beccaria contro il volere della famiglia. Il marchese Calderara divenne il suo amante

 

 
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