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Scrittrici dimenticate:Willy Dias
Viveva a Genova da anni (dal primo dopoguerra) una singolare triestina, Willy Dias, giornalista in forza a "l'Unità", scrittrice rosa di successo un tempo e ora del tutto obliata, la cui autobiografia, Viaggio nel tempo (1958), merita attenzione per le non comuni frequentazioni triestine e viennesi dell'autrice, che vanno da Arthur Schnitzler, a Italo Svevo, a James Joyce ("dalla barbetta rossiccia e dagli occhi di porcellana azzurra") fino a un Franz Kafka, piacevole interlocutore a Gorizia. Nella sua vecchiaia genovese la Dias ha anche il merito di promuovere la pubblicazione di una sopravvissuta di Auschwitz: si tratta di Il fumo di Birkenau (1947) di Liana Millu, che al momento non riscuote particolare fortuna, come capita invece a Se questo è un uomo di Primo Levi edito nello stesso anno. La durezza di tali racconti risulta indigesta ai più, che preferiscono rimuovere un orrore così vicino, ma con il tempo il romanzo diventa un long-seller, tradotto nelle principali lingue europee.
Nascita di una giornalista antifascista: Willy Dias e il suo Viaggio nel tempo Scrittrice di punta dell'editore Cappelli, la triestina Willy Dias (Fortunata Morpurgo Petronio, 1872, Trieste -1956) pubblicò più di cinquanta romanzi rosa. Redattrice per lungo tempo del « Caffaro », collaborò poi alla sezione genovese dell'«Unità ». In Viaggio nel tempo (1958), la Dias mentre costruisce un'immagine solare di sé, dà rilievo all' identità di giornalista a scapito di quella di romanziera. Il romanzo autobiografico, in continua osmosi con il resto del corpus della scrittrice, ripercorre anche le tappe di un itinerario attraverso due guerre, dall'acceso irredentismo e interventismo al convinto antifascismo e femminismo. I ricordi della prima guerra mondiale sono filtrati attraverso memorie d'infanzia legate ai luoghi caldi del conflitto. (Cristina GRAGNANI - University of Illinois at Chicago)
Willy Dias - 1958
….Mi decisi per Genova. Del resto, Genova, che non avevo mai visto, mancava alla visione panoramica d’Italia che mi facevo sfilare davanti gli occhi…. Quel giorno non era proprio il più indicato per arrivare a Genova. Luglio? Agosto? Non ricordo. Questo so, che faceva un caldo tropicale e che tutte le fabbriche di Sampierdarena parevano ventarmi in faccia aliti di fuoco. Siccome ho sempre avuto la simpatica preveggenza d’avere degli amici nei più diversi luoghi, trovai a Principe un amico che pazientemente mi aspettava. Una piccola sosta all’albergo per depositare il bagaglio e poi via sotto il solleone in carrozza scoperta, a godermi la sfilata dei palazzi superbi che si allineavano per le strade…. E mi imbattei soltanto nel letto asciutto del Bisogno. Ebbi l’impressione … che a Genova l’acqua doveva essere una cosa piuttosto preziosa.
In Corso Torino, frusciante dei suoi begli alberi maestosi, m’accolse uno studio pieno di libri e d’ombra e mi trattenne fino a sera, quando dal mare sorse un po’ di vento che, con molta benevolenza, qualificammo di fresco e che ci decise a riaffrontare il caldo delle strade.
Il paziente amico mi chiese dove volevo andare. Ma, al Caffaro, naturalmente, dove nessuno mi conosceva, dove nessuno mi aspettava, sebbene io vi collaborassi, più o meno saltuariamente, da un gran numero di anni, da quando al liceo, invece di seguire le lezioni dei professori, architettavo delle novelle, tipo Matilde Serao, ma si capisce, infinitamente più false e più brutte.
Via Venti Settembre mi parve meravigliosa, i suoi portici affollatissimi e le sue vetrine scintillanti di mille luci. Poi salimmo in un tram, il famoso ventisette, che in quell’epoca non doveva aver raggiunto la celebrità di oggi, perché altrimenti la mia distrazione mi avrebbe alleggerito del peso della borsetta.
E scendemmo al Portello. Il Portello, s’intende, non esisteva per me. Esistette, per un momento, la buffa idea che c’era nel mondo la redazione d’un giornale alla quale non si poteva arrivare che attraversò un tunnel.
Entrai in quella redazione con la disinvoltura che può dare soltanto la più invincibile timidezza.Data l’ora c’erano pochi colleghi, ma la cordialità di Chiossone è sufficiente a riempire anche più vaste stanze. E subito sentii la simpatica famigliarità che vi regnava, non immaginando che proprio tra quei mobili, nel periodo più turbato della mia vita, avrei trovato la pace, il lavoro, il pane alla mia povertà improvvisata dalla guerra, la bontà di care e fedeli amicizie che mi hanno aiutato a sopportare l’angoscia di tutto quello che avevo lasciato, il rimpianto di tutto ciò che ho perduto .
Più tardi, un altro amico ch’era venuto a prendermi al Caffaro, mi fece salire in carrozza e mi portò in un divino posto da cui si scorgevano il porto, la lanterna, l’ampio mare tutto inargentato dal plenilunio, mentre dietro a noi qualche villa armoniosa e silenziosa si profilava con nitidezza.
Dove mi avevano portato quella sera? sulla terrazza di via Corsica? al Corso d’Italia ? al Lido? Non volli chiederlo mai: preferii sempre restare nel dubbio della inverosimile notte. Eppure sapevo l’incanto della luna sul mare.
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Inviato da: RicamiAmo
il 01/08/2014 alle 18:11
Inviato da: Dolce.pa44
il 26/07/2014 alle 18:22
Inviato da: do_re_mi0
il 23/04/2014 alle 18:01
Inviato da: odio_via_col_vento
il 14/04/2014 alle 20:57
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il 23/03/2014 alle 04:38