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Gioacchino Murat

Post n°1840 pubblicato il 09 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Gioacchino Murat, nato Joachim (Labastide-Fortunière, 25 marzo 1767 – Pizzo, 13 ottobre 1815), è stato un generale francese, re di Napoli e maresciallo dell'Impero con Napoleone Bonaparte.
Indice

Biografia
Da figlio di albergatore a Re

Murat è un grande esempio della mobilità sociale che caratterizzò il periodo napoleonico (e anche delle conclusioni tragiche di molte folgoranti carriere).

Figlio di un albergatore, studiò in seminario, ma ne fu espulso a vent'anni per rissa. Fece per tre anni il mestiere paterno, poi si arruolò come soldato semplice (febbraio 1787) e fece parte della guardia costituzionale di Luigi XVI.

Alla caduta della monarchia entrò nell'esercito rivoluzionario e divenne rapidamente ufficiale. Nel 1795 era a Parigi a sostenere Napoleone contro l'insurrezione realista. Lo seguì poi nella campagna d'Italia e in quella d'Egitto, dove fu nominato generale e fu determinante nella vittoria di Abukir contro i turchi.

Partecipò attivamente al colpo di Stato del 18 brumaio 1799 e divenne comandante della guardia del Primo console. L'anno seguente, il 20 gennaio, sposò la sorella minore di Napoleone, Carolina Bonaparte dalla quale ebbe quattro figli, due maschi e due femmine.

Eletto nel 1800 deputato del suo dipartimento, il Lot, poi nominato comandante della prima divisione militare e governatore di Parigi, al comando di sessantamila uomini, nel 1804 fu nominato maresciallo dell'Impero, e due anni dopo granduca di Clèves e di Berg, titolo che lasciò al nipote Napoleone Luigi Bonaparte (figlio del cognato Luigi Bonaparte), dopo essere diventato re di Napoli.
Murat soldato

Grande soldato e grande comandante di cavalleria, fu con Napoleone in tutte le campagne, pur non rinunciando alle proprie opinioni, come quando si oppose all'esecuzione del duca di Enghien.

Era in effetti un combattente nato, un uomo sprezzante del pericolo, pronto ad attaccare anche quando la situazione era rischiosa e pericolosa: il coraggio non gli fece mai difetto. Più volte le cariche travolgenti della sua cavalleria avevano risolto a favore dei francesi una situazione critica, come successe nella battaglia di Eylau, e determinante fu per il successo del colpo di Stato bonapartiano il suo contributo il 18 brumaio quando, insieme al Leclerc, comandava le truppe che stazionavano a Saint-Cloud di fronte alla sala ove era riunito il consiglio dei Cinquecento.
Murat re di Napoli

Tuttavia non eccelleva nell'arte militare e quando il coraggio e lo sprezzo del pericolo dovevano lasciare il posto al freddo calcolo, alla capacità di valutazione immediata della situazione sul campo di battaglia e alle relative decisioni strategiche, non dimostrava di capirci granché: si può dire che in battaglia avesse molto più fegato (e cuore) che testa. Quando agiva di propria iniziativa, anziché seguire le istruzioni minuziose che il cognato impartiva, combinava spesso dei guai. Esprime bene questo aspetto quanto lamentato dal generale Savary a proposito del comportamento avventato di Murat nella battaglia di Heilsberg (10 giugno 1807): «… sarebbe stato meglio che egli fosse dotato di meno coraggio e di un po' più di buon senso!»
Murat alla battaglia di Abukir

Altrettanto significativi delle qualità e difetti del maresciallo sono due episodi avvenuti fra la battaglia di Ulma e quella di Austerlitz. Il 12 novembre 1805 Murat giunse in vista di Vienna, dichiarata dagli austriaci “città aperta”, e stava per attraversare il Danubio nei sobborghi della città utilizzando l'ultimo ponte rimasto agibile che un contingente di genieri austriaci era quasi pronto a far saltare. Non potendo prendere il ponte d'assalto, nel timore che gli artificieri nemici facessero brillare le mine, Murat e Lannes accompagnati dal loro intero stato maggiore si presentarono sulla riva meridionale del Danubio in grande uniforme da parata ed iniziarono ad attraversare a piedi il ponte urlando “Armistizio, armistizio” e sfoggiando grandi sorrisi. Gli ufficiali austriaci che dirigevano le operazioni dei genieri erano interdetti e non osarono far aprire il fuoco sul gruppo di alti ufficiali francesi, apparentemente non più, al momento, belligeranti. Questi attraversarono il ponte e non appena giunti sulla riva settentrionale abbandonarono i sorrisi e, sfoderate le sciabole, si avventarono sugli artificieri più vicini neutralizzandoli. In quel momento una colonna di granatieri del generale Oudinot, che era rimasta celata nel bosco della riva meridionale, attraversò a passo di carica il ponte e sopraffece facilmente il reparto di genieri austriaci: il ponte era così salvo e le truppe di Murat e Lannes poterono attraversarlo senza pericoli.

L'episodio divertì molto Napoleone che “dimenticò” così un precedente, recente svarione del cognato. Poco dopo però, un paio di settimane prima della battaglia di Austerlitz, presso Hollabrunn, mentre l'armata francese stava tentando di accerchiare quella russa di Kutuzov, Murat fu convinto dal generale russo Wintzingerode, venuto a parlamentare, a sottoscrivere, senza averne i poteri, una tregua d'armi che ebbe l'unico risultato di consentire al generale russo Bagration di sganciarsi dalla morsa in cui era stato costretto per coprire la ritirata del collega Kutuzov. Ecco che cosa gli scrisse l'infuriato Napoleone quando seppe della tregua che l'incauto cognato aveva sottoscritto con l'astuto Wintzingerode: «Il tuo operato è veramente inqualificabile, e non ho parole per esprimere appieno i miei sentimenti! Tu sei solo un comandante della mia avanguardia e non hai diritto di concludere un armistizio senza un mio preciso ordine in tal senso. Hai buttato all'aria tutti i vantaggi di una intera campagna. Rompi immediatamente la tregua! Attacca il nemico! Marcia! Distruggi l'esercito russo! Gli austriaci si sono lasciati trarre in inganno al ponte di Vienna ma tu ora ti sei lasciato gabbare da un aiutante di campo dello zar!». Inutile dire che Murat non se lo fece ripetere, ma ormai il grosso delle truppe di Bagration si era tratto in salvo.
Murat a Napoli

Nel 1808 Napoleone lo nominò re di Napoli, dopo che il trono sottratto ai Borbone si era reso vacante per la nomina di Giuseppe Bonaparte a re di Spagna.

A Napoli il nuovo re, ormai noto come "Gioacchino Napoleone", fu ben accolto dalla popolazione, che ne apprezzava la bella presenza, il carattere sanguigno, il coraggio fisico, il gusto dello spettacolo e alcuni tentativi di porre riparo alla sua miseria, ma venne invece detestato dal clero.

Durante il suo breve regno, Murat fondò, con decreto del 18 novembre 1808, il Corpo degli ingegneri di Ponti e Strade (all'origine della facoltà di Ingegneria a Napoli, la prima in Italia), ma condannò alla chiusura, con decreto del 29 novembre 1811, la gloriosa Scuola medica salernitana, primo esempio al mondo di Università; inoltre avviò opere pubbliche di rilievo non solo a Napoli (il ponte della Sanità, via Posillipo, nuovi scavi ad Ercolano, il Campo di Marte ecc.), ma anche nel resto del Regno (l'illuminazione pubblica a Reggio di Calabria, il progetto del Borgo Nuovo di Bari, il riattamento del porto di Brindisi, l'edificazione dell'ospedale San Carlo di Potenza ecc.).

La nobiltà apprezzò le cariche e la riorganizzazione dell'esercito sul modello francese, che offriva belle possibilità di carriera. I letterati apprezzarono la riapertura dell'Accademia Pontaniana ad opera di intellettuali che si riunirono nella residenza di Giustino Fortunato, e l'istituzione della nuova Accademia reale, e i tecnici l'attenzione data agli studi scientifici e industriali. I più scontenti erano i commercianti, ai quali il blocco imposto ai commerci di Napoli dagli inglesi rovinava gli affari (blocco contro il quale lo stesso Murat tollerava e favoriva il contrabbando, il che costituiva un'ulteriore ragione per accordargli il favore popolare).


Molto efficace, anche se attuata con metodi di sconvolgente crudeltà, la repressione del brigantaggio affidata dapprima al generale Andrea Massena e poi al generale Charles Antoine Manhès. Non va tuttavia sottovalutato il ruolo avuto nel governo del periodo murattiano dalla moglie Carolina, donna intelligente ancorché molto ambiziosa.

Nel 1810 per tre mesi Murat governò il regno dalle alture di Piale, frazione di Villa San Giovanni, in provincia di Reggio Calabria. Egli, muovendosi da Napoli per la conquista della Sicilia (dove si era rifugiato il re Ferdinando I sotto la protezione degli inglesi, un esercito dei quali era accampato presso Punta Faro a Messina), giunse a Scilla il 3 giugno 1810 e vi restò sino al 5 luglio, quando fu completato il grande accampamento di Piale. Nel breve periodo di permanenza, Murat fece costruire i tre forti di Torre Cavallo, Altafiumara e Piale, quest'ultimo con torre telegrafica (telegrafo di Chappe). Il 26 settembre dello stesso anno, constatando impresa difficile la conquista della Sicilia, Murat dismise l'accampamento di Piale e ripartì per la capitale.
La caduta

Il nuovo ruolo non impedì a Murat di continuare ad essere un ardito comandante al comando della Cavalleria napoleonica e di un contingente di soldati del regno di Napoli, partecipando alla campagna di Russia e alla battaglia di Lipsia (1813). Dopo questa sconfitta cercò di salvare il trono facendo una pace separata con l'Austria, ma l'anno dopo, durante i Cento giorni, fu di nuovo a fianco dell'Imperatore, combattendo la guerra austro-napoletana per difendere il proprio trono, venendo tuttavia sconfitto nella battaglia di Tolentino (2 maggio 1815); il successivo trattato di Casalanza (20 maggio 1815), firmato presso Capua, sancì definitivamente la sua caduta ed il ritorno del Borbone sul trono

Dopo la seconda caduta di Napoleone, Murat, che aveva cercato di raggiungerlo a Parigi, fuggì a Rodi Garganico che lo ospitò nel proprio castello e da dove tentò di tornare a Napoli con un pugno di fedelissimi per sollevarne la popolazione. Dirottato da una tempesta in Calabria, fu arrestato, condannato a morte da un tribunale militare nominato dal generale Vito Nunziante, governatore delle Calabrie, secondo una legge da lui stesso voluta, e fucilato a Pizzo Calabro il 13 ottobre 1815. Circolarono voci che ritenevano Murat vittima di un complotto architettato da Giustino Fortunato e Pietro Colletta, i quali lo avrebbero attirato in Calabria facendogli credere di essere ricevuto ed acclamato dal regno, ma la vicenda si rivelò infondata. Otto giorni dopo la fucilazione il generale Nunziante fu nominato marchese mentre il tenente che eseguì la fucilazione diventò comandante.

Di fronte al plotone d'esecuzione si comportò con grande fermezza, rifiutando di farsi bendare. Pare che le sue ultime parole siano state:


« Risparmiate il mio volto, mirate al cuore, fuoco! »


Sull'epilogo della vita di Murat il suo illustre cognato espresse, nelle proprie memorie, un giudizio lapidario:
« Murat ha tentato di riconquistare con duecentocinquanta uomini quel territorio che non era riuscito a tenere quando ne aveva a disposizione ottantamila. »

 
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