Post n°4344 pubblicato il
27 Dicembre 2012 da
odette.teresa1958
«Le cartoline precetto che ordinavano ai giovani dai venti ai trent’anni di presentarsi ai distretti cominciarono ad arrivare in Sicilia tra la fine di novembre e i primi di dicembre del 1944. […] Quando i carabinieri presero a rastrellare i renitenti casa per casa, ci furono tumulti, scontri a fuoco, incendi dei municipi, occupazioni di interi paesi». Già dalla primavera, più volte, le forze dell’ordine avevano aggredito assembramenti pacifici di donne e bambini che chiedevano pane e lavoro o contadini che occupavano terre incolte confidando nella sponda politica dei decreti Gullo, mai rispettati nell’isola, e nella guida di tanti sindacalisti, destinati ad annodare un rosario di sangue che ancora oggi esige giustizia. Il 19 ottobre 1944, ad esempio, a mezzogiorno, fu perpetrata a Palermo la strage di via Maqueda: la fanteria sabauda aprì il fuoco su una folla inerme che dimostrava per il pane, uccidendo 24 persone e ferendone altre 158, la maggior parte minorenni! «Maria Occhipinti in quell’epoca ha ventitre anni, è incinta di cinque mesi e vive con il marito, i genitori, le sorelle nel quartiere dei ‘mastricarretti’, la zona più popolare di Ragusa». Ha trascorso un’infanzia e un’adolescenza senza amore e senza cultura, senza carezze e senza musica o poesia, ma è curiosa, e con passione confusa legge, si guarda intorno: la guerra le fa orrore, e pena quei profughi, uomini ridotti come ‘cani randagi’. Con grande scandalo del marito, del padre e di tutti gli uomini del vicinato si iscrive alla Camera del Lavoro, organizza le donne del quartiere mescolandosi alle prime manifestazioni contro il carovita e il mancato pagamento dei sussidi alle famiglie dei richiamati alle armi. La mattina del 4 gennaio 1945, l’ennesimo rastrellamento. ‘All’incrocio dello stradone, mi trovai dinanzi al camion, seguita dalle altre donne. Ci avvicinammo agli sbirri, che erano armati, cercando di persuaderli: Lasciate i nostri figli, per carità, lasciateli. Qualcuna tentava di disarmarli o s’inginocchiava per commuoverli. Dei giovani piangevano, altri avevano nello sguardo lampi d’odio. Ma i poliziotti erano impassibili, il camion riprendeva la sua marcia lenta e inesorabile. Allora urlai: Lasciateli! E mi stesi supina davanti alle ruote del camion […] Lo stradone in pochi minuti fu pieno di gente eccitata e pronta a tutto. […] Ma l’ira dei soldati fu tremenda, spararono sulla folla inerme.’ Maria viene condannata al confino ad Ustica, dove le nasce la bambina, e poi trasferita con la piccola al carcere delle Benedettine a Palermo, infine liberata per l’amnistia di Togliatti. Il racconto che Maria Occhipinti fa di questa sua esperienza è però ben più di una testimonianza personale: colpisce in questo suo primo libro la sensibilità con la quale raccoglie le storie di vita di altre donne, nel suo quartiere detto “la Russia”, proprio perché abitato da persone che si sono avvicinate alla Camera del Lavoro e sono tacciate, specie se donne, di essere “comuniste e ribelli”, e poi al confino e in carcere. Insomma si tratta, almeno in parte, di un libro-inchiesta, simile a quelli che scriverà Danilo Dolci da Partinico.
Un breve esempio: «la triste canzone che risuona in tutte le carceri siciliane:
Mamma, che mi facesti sfortunata,
il carcere mi desti tu per dote.
Carceratella sono di san Vito;
entro con la parola e n’esco muta.
Chi dice trenta e chi dice quaranta
Come riesce, la cosa si conta. »
A partire dagli anni Sessanta la Occhipinti viaggerà in Marocco, a Parigi, a Londra, in Canada, sempre attenta e sempre a servizio, come quando si troverà a lavorare in un ospedale psichiatrico alle Haway.
Tornata in Italia con la figlia, collaborerà a diversi quotidiani e riviste, proseguendo il suo impegno politico libertario, tra l’altro, contro l’installazione dei missili nucleari a Comiso.
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il 01/08/2014 alle 18:11
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