Messaggi del 29/10/2011

Invidia

Post n°1098 pubblicato il 29 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

C’era un tempo una matrigna….”Allora sarà cattiva?”, starà pensando qualcuno…No, questa favola è…al contrario!
Lidia era rimasta vedova con la sua unica figlia e quella dell’uomo che aveva sposato in seconde nozze. Le bambine si chiamavano rispettivamente Anna e Lea ed erano quasi coetanee; Lidia le amava entrambe e non c’era regalo fatto ad Anna che non venisse fatto anche a Lea, perché tra le due non esisteva per lei disparità alcuna. Dopotutto aveva cresciuto Lea fin da piccola e le voleva un bene grande pur non avendola partorita. Le bambine andavano d’accordo, tranne qualche piccolo litigio che, si sa, tra sorelle succede.
Quando però diventarono adolescenti, Lea cominciò a provare per la sorellastra una sorta di invidia morbosa. Anna era di statura normale, ma snella e con lunghi capelli neri, invece Lea era piuttosto bassa e proprio non sopportava i suoi capelli rossi. Inoltre si era accorta che Anna era ammirata dagli uomini, mentre lei nessuno la degnava di un solo sguardo. Finalmente tra i tanti corteggiatori Anna ne scelse uno e si fidanzò. “Accidenti a lei”, pensò la sorellastra, “quel giovane piace molto anche a me”; e qui si scatenò una gelosia indicibile, che però Lea molto furbescamente riusciva a celare.
Un pomeriggio che il fidanzato di Anna era andato a trovarla, Lea disse alla matrigna che sarebbe uscita a fare una passeggiata; aveva bisogno di allontanarsi per risparmiarsi la rabbia di vederli insieme. Nel parco poco distante dalla loro abitazione, vide una vecchina che era caduta a terra e non riusciva a rialzarsi; prontamente Lea la soccorse e la vecchina si rivolse a lei dicendole:
- Oh che cara ragazza. Per ricambiare la gentilezza, cosa posso fare per te?
Lea ne approfittò per sfogarsi e le confidò ciò che la tormentava. E la vecchina:
- Capiti bene, mia cara. Io sono una strega e mi chiamo Mandù. Sono vecchia come vedi, ma ancora qualche potere ce l’ho. Ecco qui questo grappolo d’uva - e nel dire ciò, tirò fuori dalla tasca della gonna un grappolo d’uva in cristallo – io posso comandargli quello che voglio, staccandone un chicco per ogni ordine che dò, il quale poi però ricresce sempre. Cosa vuoi che gli comandi?
La ragazza non ebbe esitazioni e disse:
- Voglio che il fidanzato di mia sorella muoia.
Ma la vecchia strega scandalizzata, le rispose:
- No cara, non posso chiedere questo. Io posso aiutare te; non chiederò mai il male per un essere umano. Potrei per esempio accontentarti se vuoi che un uomo ti corteggi.
Ma Lea aveva il cuore di ferro e la faccia di bronzo: non gli interessava essere corteggiata, ma voleva che l’uomo che lei desiderava morisse piuttosto che vederlo nelle braccia della sorella. Le venne allora un’idea: invece di chiedere favori a quella vecchia “befana” che non voleva nemmeno fare ciò che lei desiderava, poteva impossessarsi dell’oggetto magico e realizzare in tal modo ogni desiderio. Così le disse:
- Buona strega, va bene. Ma andiamo a sederci su quel muretto e potremo parlare con più calma. Lascia che ti aiuti; appoggiati a me e dammi il bastone, perché finche ci sono io tu non ne hai bisogno.
Ahimè! La strega si fidò, ma Lea appena ebbe il bastone in mano le diede un colpo in testa e la poveretta cadde a terra. Poi le sottrasse il grappolo d’uva e, curandosi di non essere stata vista da nessuno, scappò via. Tornata a casa, strappò un chicco dicendo: “Voglio che accada una disgrazia al fidanzato della mia sorellastra”. Non intese risposta, ma qualche giorno dopo qualcuno bussò alla porta della sua casa chiedendo di Anna, alla quale comunicò che il fidanzato purtroppo era morto cadendo da cavallo. Anna si disperò, consolata dalla madre e naturalmente dalla stessa Lea che, ottima attrice, finse un grande dolore.
Passarono alcuni mesi e Anna si deperiva ogni giorno di più, finchè Lidia decise di chiedere aiuto a una cugina che cercava qualche ragazza che tenesse compagnia alla sua unica figlia, quando lei si assentava per lavoro, essendo anch’essa rimasta vedova e dovendo mantenere sé stessa e la figliola. Lidia disse alla parente: - Forse rendersi utile farà bene ad Anna. Se starà ancora a casa non farà altro che pensare al suo amato, venuto a mancare così improvvisamente e tragicamente.
La cugina non ebbe remore ad accettare; ma quando lo seppe Lea, cominciò a provare una grande rabbia: no, Anna era tristissima e nel dolore doveva rimanere. Così, preso il grappolo d’uva che teneva nascosto nel cassetto del mobile che aveva in camera, lo implorò di far accadere qualcosa che impedisse ad Anna di allontanarsi da casa. E la ragazza si ammalò. Dovendo la cugina partire qualche giorno dopo, non potè aspettare e dovette chiamare un’altra persona che tenesse compagnia alla figlia. Intanto Anna soffriva nel corpo e nell’animo; Lidia e quell’infame della sorellastra le erano sempre accanto, ma nessun medico sapeva dire che cosa avesse. Un giorno però Lidia decise di consultare uno specialista famoso e quegli le disse:
- Signora, io non so dirle cosa abbia sua figlia. Ma la trovò molto depressa e credo che uscire da questa casa e andare un po’ in campagna non potrebbe che farle bene.
Lidia decise di ascoltare il suggerimento del medico, il quale però, siccome la ragazza aveva la febbre alta, le disse:
- Prima però le darò qualcosa che le faccia passare la febbre. E le prescrisse uno sciroppo da prendere mattina e sera. Quando se ne fu andato, Lea che aveva assistito alla visita medica, disse a Lidia:
- Madre non uscire tu, fai compagnia ad Anna; andrò io in farmacia a comprare lo sciroppo.
Povere donne che nutrivano tanta fiducia in lei! Lidia gliene fu grata; ma naturalmente quel demonio di Lea non andò a comprare lo sciroppo che serviva, bensì uno che faceva passare il mal di denti. Tornò a casa e lei stessa volle darne un cucchiaio ad Anna, dicendole amorevolmente:
- Su sorellina, tra qualche giorno starai meglio e andrai a fare un po’ di villeggiatura. Là respirerai aria pulita e ti sentirai meglio; io naturalmente verrò a trovarti.
E Anna:
- Grazie Lea, sei molto cara!
Per strani casi che talvolta non si spiegano, la febbre di Anna, nonostante lo sciroppo non avesse alcun effetto antipiretico, passò ugualmente. Lea strinse i denti sputando bile, ma non lo diede a vedere; anzi fingendosi contenta, aiutò Lidia a preparare le valigie. Quando madre e figlia partirono per raggiungere la villa di campagna, Lea promise che la settimana successiva sarebbe andata a vedere come stava Anna e abbracciando forte quest’ultima, le disse affettuosamente:
- Ti porterò le arance del nostro giardino che a te piacciono. Quando starai bene le coglieremo di nuovo insieme.
Anna, spirito buono, ricambiò sinceramente l’abbraccio e partì con la madre. Intanto Lea sapeva bene cosa fare: avrebbe staccato un chicco dal grappolo d’uva e, tenendo in mano un’arancia (la più grossa), avrebbe chiesto che l’agrume diventasse velenoso e quindi letale; poi, una volta andata a trovare Lidia ed Anna, lei stessa lo avrebbe dato da mangiare alla sorella, ma, per non destare sospetti, doveva chiedere che il veleno agisse lentamente in modo che l’odiosa Anna se ne andasse dopo qualche giorno, senza una spiegazione logica.
La sua mente malvagia attuò parte del piano: colse le arance, staccò un chicco dal grappolo d’uva e chiese che il frutto divenisse velenoso; l’arancia divenne di un arancione più vivo e questo fu per Lea il segno che il suo desiderio era stato esaudito. Doveva solo aspettare qualche giorno e poi recarsi in campagna.
Ma intanto…che fine aveva fatto la strega? Questa si era ripresa quel giorno nel parco, ma il colpo in testa le aveva procurato un’amnesia; fortunatamente però un giorno, visto che le giornate erano belle, vi si recò nuovamente per fare una passeggiata. Mentre camminava la sua mente venne come fulminata: ora sì che ricordava! E sapeva anche dove era finito il suo prezioso grappolo che non trovava più. Ma certo lei non sapeva il nome della ragazza che l’aveva colpita e derubata; quindi si informò da gente che era lì anch’essa a godersi il giorno di sole:
- Conoscete una ragazza coi capelli rossi, così e cosà….
Ed ebbe le informazioni che voleva. La strega possedeva nel suo giardino una vasca d’acqua con dei pesci; bastava avvicinarsi e dire il nome della persona di cui si voleva sapere qualcosa e l’acqua limpida mostrava tutto. Figuratevi come rimase la strega quando nello specchio d’acqua vide tutto ciò che aveva combinato Lea. Ora bisognava rimediare, e la vecchia corse subito nel luogo in cui si trovavano Lidia e Lea. Quando Lidia udì il racconto, dapprima non le credette:
- Vecchia megera - la insultò – come osi dire ciò della persona che ho cresciuto come fosse mia figlia?
Ma la strega insisteva e non voleva andarsene. Era una strega buona e voleva aiutare le due sprovvedute donne. Quando Lidia minacciò di metterla alla porta, a lei venne un’idea:
- Sentite signora – le disse – il giorno in cui aspettate la vostra figliastra io verrò qui e mi nasconderò dietro la tenda della camera di vostra figlia. Lea, come vi ho spiegato già, le sta portando delle arance di cui una avvelenata; naturalmente le porgerà quella. Vostra figlia non deve far altro che sbucciarla e invitare Lea a dividerla con lei; ovviamente la meschina rifiuterà, ma Anna dovrà insistere molto dicendo che se non la potrà dividere con la sorella, non metterà in bocca un solo spicchio di quel frutto. Sono sicura che mai e poi mai Lea assaggerà l’agrume; a questo punto io uscirò da dietro la tenda e la smaschererò. Facciamo questa prova: è per il vostro bene e per quello della vostra adorata figliola. E poi anche io voglio vendetta per ciò che quella disgraziata mi ha fatto.
Mandù era stata convincente e madre e figlia accettarono, non senza dubbi.
La sera stessa Lea mandò un biglietto indirizzato a Lidia in cui diceva che sarebbe andata a trovarle la mattina dopo; questa avvertì subito la strega.
Il piano di Lea era chiaro: eliminare definitivamente quella smorfiosa di Anna; in tal modo niente più invidia che non la faceva riposare la notte, e in più alla morte di Lidia tutti i beni del padre sarebbero spettati a lei. Ma non sapeva che un altro piano, altrettanto ben predisposto l’avrebbe incastrata.
Infatti quando fu in camera di Anna, dopo averle chiesto fingendosi mortificata come stava, le disse che le aveva portato delle arance e dalla cesta ne tirò fuori una, porgendola alla sorella. Anna, come convenuto con la madre e Mandù la supplicò di consumarla insieme a lei, ma Lea rifiutò adducendo varie scuse; disse che si sentiva sazia, che aveva bruciori di stomaco, che voleva che il frutto lo mangiasse tutto quanto l’amata sorella…A questo punto, da dietro la tenda venne fuori Mandù e Lea quando la vide, dovette aggrapparsi alla spalliera del letto per non svenire. La strega inferocita disse:
- Quel giorno nel parco venni derubata del mio magico grappolo di cristallo; quante ne hai combinate servendosi di esso, vipera! Ho visto tutto nella mia vasca d’acqua che riflette tutto ciò che ha fatto e fa una persona di cui si sa il nome. Meno male che ho fatto in tempo ad avvertire Lidia ed Anna: povera anima! Volevi ammazzarla, essere spregevole!
Lea cercò di negare, dicendo che Mandù era una strega e come tale cattiva e poi era vecchia e quindi arteriosclerotica. Lidia, cercando di mantenere il controllo, disse alla figliastra:
- Dunque non hai problemi a mangiare l’arancia. Fallo e dimostrerai la tua innocenza.
Negli occhi di Lea si vide il terrore: era in trappola. Proprio non sapeva che dire o che fare. Questo bastò a madre e figlia per capire che Mandù aveva ragione. Allora Lea, senza neanche scomporsi, confessò: l’invidia e la gelosia per la sorellastra che considerava più bella di lei, l’avevano indotta ad agire così. Quale dolore e meraviglia per madre e figlia! Mentre Anna per lo stupore era ammutolita, Lidia si riprese poco dopo e disse:
- Ingrata! Ti ho cresciuta come se fossi stata nel mio ventre e tua sorella ti ha voluto bene come me. Come hai potuto arrivare a tanto?
Le uscivano di bocca le parole, mentre la testa le rimbombava tutta. Dopodiché Anna scoppiò in lacrime, dicendo:
- Madre, mandala via, non la voglio più vedere…per favore…per favore!
E Lidia, rivolgendosi alla strega, con voce severa le disse:
- Strega buona, tu sia benedetta per averci aperto gli occhi! Ora, ti prego, porta con te questo essere schifoso; che essa non compaia più davanti a me o a mia figlia. Fanne tu quello che vuoi e noi cercheremo di fare come se non fosse mai esistita. Lea non mostrò alcun segno di pentimento, mentre la strega si pronunciava:
- Verrà a casa mia e mi farà da serva, obbedendo perennemente ai miei comandi. E, presa la ragazza per un braccio, la condusse con sé, mentre Lidia ed Anna si abbracciavano.


 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Il senso della vita

Post n°1097 pubblicato il 29 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Quella notte Aristocleo non riusciva a prendere sonno. Doveva capire una cosa importante: il senso della vita.
Aveva capito che mangiare gli serviva a procurarsi energia, bere a non far disidratare il suo corpo, dormire a far si che la sua mente non crollasse e continuasse a funzionare….ma tutto questo perché doveva essere fatto?
Dato che Aristocleo era un grande scienziato, era in grado di inventare qualcosa che lo aiutasse a capire quello che tanto desiderava capire, ma cosa poteva aiutarlo? Dopo notti insonni gli venne un’idea: inventò un macchinario che lo trasformò in un fiocco di neve che cade su una montagna. Qualcosa fatto d’acqua, l’elemento più trasparente e apparentemente debole, in realtà la cosa più forte in natura, diventato neve, cioè purezza, che cade sulla vetta di una montagna ad altezze immacolate, vicino al cielo, cioè alla risposta. Cosa ci poteva essere di più perfetto per il suo scopo!
Così si trovo a fluttuare nell’aria. Il vento lo accarezzava portandolo con sé, nell’aria limpida, il sole lo riscaldava nella sua discesa, fino a che non atterrò sul pendio di un’altissima montagna, dove attese, attese di sapere, attese che il cielo gli desse una risposta, ma la risposta non arrivò.
Ad un tratto, il mondo gli crollò sotto. Iniziò a precipitare vertiginosamente nel vuoto e si ritrovò ad essere una goccia d’acqua e insieme ad altre milioni di gocce stava rotolando verso la valle.
“Cosa succede?” chiese.
“Ci stiamo sciogliendo” rispose un altro fiocco di neve.
La discesa era molto ripida, l’acqua viaggiava a forte velocità e Aristocleo cominciò ad avere paura. L’altra goccia d’acqua che, si scoprì chiamarsi Leo, lo capì e gli strinse la mano, spiegandogli che non avrebbero potuto farsi male, di stare tranquillo.
Un giorno la corsa si fermò, Aristocleo non capì perché, poi vide Leo riunire in adunata tante altre gocce:
” Ragazzi, qualcuno ci ha raccolti in un secchio e ci stanno portando via dal fiume! Uniamoci e dondoliamoci da una parte all’altra del secchio!”
Così fecero e a loro si unì anche Aristocleo. Dopo alcune spinte volarono fuori , fortunatamente ricadendo nel fiume.
La corsa continuò e arrivarono alle rapide e la velocità divento' altissima. Aristocleo cominciò ad avere meno paura, urtava contro le rocce, rimbalzava e ricadeva nel fiume. Il suo amico Leo era a poca distanza da lui e questo lo rincuorava.
Leo gli si avvicinò e gli disse:” Tra poco faremo una caduta, non avere paura. C’è un grande salto alla fine delle rapide ma cadremo su molti di noi già arrivati giù che ci accoglieranno, non ci faremo niente”. E così fu.
Dopo la cascata il fiume si calmò sempre più, diventando sempre più grande e loro sempre più numerosi. Accolsero altre gocce d’acqua che arrivavano da altri viaggi e che raccontarono loro di tanti posti diversi e bellissimi.
Aristocleo era felice, ora poteva guardare la natura che lo circondava, la meta era vicina e infatti la raggiunsero: il mare, e lì la sua felicità fu totale! Una tale immensità, una tale libertà….non c’era più un'unica direzione davanti a sé dove andare, ma sceglievi tu dove! Certo c’era da lottare anche lì ma….che grandi spazi!
Leo gli sorrideva:” Vedi quella barca di pescatori?”.
“Certo!” rispose Aristocleo.
“ Vieni con me, insieme ad altri amici, la aiutiamo a uscire in mare aperto!”.
Si accostarono all’imbarcazione e la spinsero fino in alto mare, loro piccole e deboli gocce d’acqua!.
Il tempo passò e un giorno Aristocleo cominciò a volare. Inizialmente si spaventò, Leo che era rimasto in mare, gli sorrise:
” Non ti preoccupare, fatti cullare dalla natura”!
Allora si rilassò. Il vento lo trasportò e si ritrovò in una nuvola e …..quale meraviglia! Vide il mondo dall’alto: mari, laghi, montagne e sulle montagne ricadde come fiocco di neve…..ormai aveva capito.
Atterrò sulle sue gambe di uomo e guardò il mondo immenso e fantastico sotto di lui…e rise.

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

La macchina del tempo

Post n°1096 pubblicato il 29 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

homas era un inventore geniale, ma cosi’ geniale che non c’era piu’ spazio nella sua mente e la sua fantasia e la sua creativita’ ne avrebbero voluto di piu’!
Aveva inventato di tutto: dalle scarpe per camminare sull’acqua, alle ali che avrebbero permesso all’uomo di volare, alla vernice che si autodipinge, al cibo che si cucina da solo, senza fuoco.
Aveva battuto anche se stesso e superato tutti i limiti….tranne uno e per Thomas era una mancanza non da poco. Non era mai riuscito a fermare il tempo!
IL Tempo passava, l’uomo invecchiava e moriva, il futuro diventava sempre presente, il presente, immancabilmente, diventava passato e il passato spesso scompariva quando si affievoliva il ricordo.
Che bello sarebbe stato bloccare il tempo in un determinato momento felice e continuare a viverlo all’infinito!
La parola futuro, la parola ricordo, la parola vecchiaia e la parola tristezza non avrebbero avuto piu’ significato.
Invento’ cosi’ una macchina per bloccare il tempo, attese un momento felice e l’aziono’.
L’esperimento funziono’ e cosi’ ogni giorno Thomas viveva quel momento, la felicita’ non aveva limiti, non sarebbe mai invecchiato e morto e mai piu’ un pensiero triste avrebbe transitato nella sua mente.
Cosi’, giorno dopo giorno, la felicita’ faceva da regina nella vita di Thomas.
Giorno dopo giorno….la felicita’….e poi ancora e solo la felicita’.
Dopo un po’ di tempo comincio’ a non riuscire piu’ a chiamarla felicita’ ma fu costretto a chiamarla normalita’.
Allora si accorse che il bianco non sarebbe cosi’ bianco se non ci fosse il nero, il giorno sarebbe meno luminoso se non ci fosse la notte e si chiese perche’ dovremmo chiamarli sorrisi se non esistesse la tristezza.
Distrusse quindi la macchina del tempo e da quel giorno in avanti si affido’ solo alla macchina della vita.



 

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

La prova (Pirandello)

Post n°1095 pubblicato il 29 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Vi parrà strano che io ora stia per fare entrare un orso in chiesa. Vi prego di lasciarmi fare perché non sono propriamente io. Per quanto stravagante e spregiudicato mi possa riconoscere, so il rispetto che si deve portare a una chiesa e una simile idea non mi sarebbe mai venuta in mente. Ma è venuta a due giovani chierici del convento di Tovel, uno nativo di Tuenno e l’altro di Flavòn, andati in montagna a salutare i loro parenti prima di partire missionari in Cina.
Un orso, capirete, non entra in chiesa così, per entrarci; voglio dire, come se niente fosse. Vi entra per un vero e proprio miracolo, come l’immaginarono questi due giovani chierici. Certo, per crederci, bisognerebbe avere né più né meno della loro facile fede. Ma convengo che niente è più difficile ad avere che simili cose facili. Per cui, se voi non l’avete, potete anche non crederci; e potete anche ridere, volendo, di quest’orso che entra in chiesa perché Dio gli ha dato incarico di mettere alla prova il coraggio dei due novelli missionari prima della loro partenza per la Cina.
Ecco intanto l’orso davanti alla chiesa che solleva con la zampa il pesante coltrone di cuojo alla porta. E ora, un po’ sperduto, ecco che s’introduce nell’ombra e tra le panche in doppia fila della navata di mezzo si china a spiare, e poi domanda con grazia alla prima beghina:

– Scusi, la sagrestia?

È un orso che Dio ha voluto far degno di un Suo incarico, e non vuole sbagliare. Ma anche la beghina non vuole interrompere la sua preghiera, e, stizzita, più col cenno della mano che con la voce indica di là, senza alzare la testa né levar gli occhi. Così non sa d’aver risposto a un orso. Altrimenti, chi sa che strilli.
L’orso non se n’ha a male; va di là e domanda al sagrestano:

– Scusi, Dio?

Il sagrestano trasecola:

– Come, Dio?

E l’orso, stupito, apre le braccia:

– Non sta qui di casa?

Quello non sa ancor credere ai suoi occhi, tanto che esclama quasi in tono di domanda:

– Ma tu sei orso!

– Orso, già, come mi vedi; non mi sto mica dando per altro.

– Appunto, orso vuoi parlar con Dio?

Allora l’orso non può fare a meno di guardarlo con compassione:

– Dovresti invece meravigliarti che sto parlando con te. Dio, per tua norma, parla con le bestie meglio che con gli uomini. Ma ora dimmi se conosci due giovani chierici che partono domani missionari in Cina.

– Li conosco. Uno è di Tuenno e l’altro di Flavòn.

– Appunto. Sai che sono andati in montagna a salutare i loro parenti e che debbono rientrare in convento prima di sera?

– Lo so.

– E chi vuoi che m’abbia dato tutte queste informazioni se non Dio? Ora sappi che Dio vuol sottometterli a una prova e ne ha dato incarico a me e a un orsacchiotto amico mio (potrei dir figlio, ma non lo dico perché noi bestie non riconosciamo più per nostri figli i nostri nati pervenuti a una certa età). Non vorrei sbagliare. Desidererei una descrizione più precisa dei due chierici per non fare ad altri chierici innocenti una immeritata paura.

La scena è qui rappresentata con una certa malizia che certo i due chierici, nell’immaginarla, non ci misero; ma che Dio parli con le bestie meglio che con gli uomini non mi pare che si possa mettere in dubbio, se si consideri che le bestie (quando però non siano in qualche rapporto con gli uomini) sono sempre sicure di quello che fanno, meglio che se lo sapessero; non perché sia bene, non perché sia male (ché queste son malinconie soltanto degli uomini) ma perché seguono obbedienti la loro natura, cioè il mezzo di cui Dio si serve per parlare con loro. Gli uomini all’incontro petulanti e presuntuosi, per voler troppo intendere pensando con la loro testa, alla fine non intendono più nulla; di nulla sono mai certi; e a questi diretti e precisi rapporti di Dio con le bestie restano del tutto estranei; dico di più, non li sospettano nemmeno.
Il fatto è che sul tramonto, tornandosene al convento, quando lasciarono il sentiero della montagna per prendere la via che conduce alla vallata, i due giovani chierici si videro questa via impedita da un orso e un orsacchiotto.
Era primavera avanzata; non più dunque il tempo che orsi e lupi scendono affamati dai monti. I due giovani chierici avevano camminato finora lieti in mezzo ai lavorati già alti che promettevano un abbondante raccolto e con la vista rallegrata dalla freschezza di tutto quel verde nuovo che, indorato dal sole declinante, dilagava con delizia nell’aperta vallata.

Impauriti, si fermarono. Erano, come devono essere i chierici, disarmati. Solo quello di Tuenno aveva un rozzo bastone raccattato per strada, discendendo dalla montagna. Inutile affrontare con esso le due bestie.
D’istinto, per prima cosa, si voltarono a guardare indietro in cerca d’aiuto o di scampo. Ma avevano lasciato poco più sù soltanto una ragazzina che con un frusto badava a tre porcellini.
La videro che s’era anch’essa voltata a guardare verso la vallata, ma senza il minimo segno di spavento cantava lassù, agitando mollemente quel suo frusto. Era chiaro che non vedeva i due orsi. I due orsi che pure erano lì bene in vista. Come non li vedeva?
Stupiti dell’indifferenza di quella ragazzina ebbero per un attimo il dubbio che, o quei due orsi fossero una loro allucinazione, o che lei già li conoscesse come orsi del luogo addomesticati e innocui; perché non era in alcun modo ammissibile che non li vedesse: quello più grosso, ritto là e fermo a guardia della strada, enorme controluce e tutto nero, e l’altro più piccolo che si veniva pian piano accostando dondolante su le corte zampe e che ora ecco si metteva a girare intorno al chierico di Flavòn e a mano a mano girando l’annusava da tutte le parti.
Il povero giovane aveva alzato le braccia come in segno di resa o per salvarsi le mani e, non sapendo che altro fare, se lo guardava girare attorno, con tutta l’anima sospesa. Poi, a un certo punto, lanciando uno sguardo di sfuggita al compagno, e vedendosi pallido in lui come in uno specchio, chi sa perché, si fece tutto rosso e gli sorrise. Fu il miracolo. Anche il compagno, senza saper perché, gli sorrise. E subito i due orsi, alla vista di quello scambio di sorrisi, come se a loro volta anch’essi si fossero scambiati un cenno, senz’altro tranquillamente se n’andarono verso il fondo della vallata.

La prova per essi era fatta e il loro còmpito assolto.

Ma i due chierici non avevano ancor capito nulla. Tanto vero che lì per lì, vedendo andar via così tranquillamente i due orsi, restarono per un buon tratto incerti a seguire con gli occhi quell’improvvisa e inattesa ritirata, e poiché essa per la naturale goffaggine delle due bestie non poteva non apparir loro ridicola, tornando a guardarsi tra loro, non trovarono da far di meglio che scaricare tutta la paura che s’erano presa in una lunga fragorosa risata. Cosa che certamente non avrebbero fatto, se avessero subito capito che quei due orsi erano mandati da Dio per mettere il loro coraggio alla prova e che perciò ridere di loro così sguajatamente era lo stesso che ridersi di Dio. Se mai una supposizione di questo genere fosse passata per la loro testa, piuttosto che a Dio per la paura che s’erano presa avrebbero pensato al diavolo che all’uno e all’altro aveva voluto farla mandando quei due orsi.
Capirono che invece era stato proprio Dio e non il diavolo allorché videro i due orsi voltarsi alla loro risata, fieramente irritati. Certo in quel momento i due orsi attesero che Dio, sdegnato da tanta incomprensione, comandasse loro di tornare indietro e punire i due sconsigliati, mangiandoseli.

Confesso che io, se fossi stato dio, un dio piccolo, avrei fatto così.
Ma Dio grande aveva già tutto compreso e perdonato. Quel primo sorriso, per quanto involontario, dei due giovani chierici, ma certo nato dalla vergogna di aver tanta paura, loro che, dovendo fare i missionari in Cina, s’erano imposti di non averne, quel primo sorriso era bastato a Dio, proprio perché nato così, inconsapevolmente, nella paura; e aveva perciò comandato ai due orsi di ritirarsi. Quanto alla seconda risata così sguajata era naturale che i due giovani credessero di rivolgerla al diavolo che aveva voluto far loro paura, e non a Lui che aveva voluto mettere il loro coraggio alla prova. E questo, perché nessuno meglio di Dio può sapere per continua esperienza che tante azioni, che agli uomini per il loro corto vedere pajono cattive, le fa proprio Lui, per i suoi alti fini segreti, e gli uomini invece credono scioccamente che sia il diavolo.

Inizio pagina

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Un marito per Kuccikù

Post n°1094 pubblicato il 29 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Cari lettori,rieccomi avoi!
Chi è Kuccikù? Giusta domanda.
E' la figlia minore del grande stregone Zibidè,sorella di Taitù e cognata di Isaia.
Se Taitù è bellissima,sua sorella invece è così scorfana che anche gli scorfani veri al vederla muoiono d'infarto.è alta 1,20,pesa 130 kg,è strabica e ha un solo dente.C'è da meravigliarsi se ancora non ha torvato marito?
Il povero Zibidè le ha provate di tutte,invano, e così Isaia,da bravo genero,ha pensato di aiutarlo portandosi Kuccikù a S.Tobia dove gli scapoli (e anche i grulli) abbondano.
L'intenzione era senz'altro meritoria,ma i risultati sono stati catastrofici,come vedrete.
LUNEDI'- Isaia ha tentato di appioppare Kuccikù al fratello Orestino.Quello,alla sua sola vista,è scappato via urlando.
MARTEDI'- Dopo che la Clementina lo ha abbandonato per sposare Melchiorre,lo Sgozzaloca è solo.
Isaia gli ha combinato un appuntamento al buio con Kuccikù.
Anatolio ha impugnato la famosa ferrata del suo celebre antenato,il capitano di ventura Spaccamontone Sgozzaloca,detto il Massacratore,ed ha costretto i due ad una fuga ultrarapida.
MERCOLEDI- Isaia ha rivolto le sue attenzioni a Ladislao Trogoloni.
Quello,prima di cadere in stato catatonico,ha liberato Cesarone.
Isaia e Kuccikù detengono il nuovo record di salto sul campanile.
GIOVEDI'- Isaia ha provato a convincere Libertario a sposare Kuccikù.Siccome è la discrezione fatta persona,lo ha fatto in presenza della fidanzata del Libertario,Zeffirina Panciutelli,che non ha affatto gradito.
Libertario ha il posteriore impallinato,il fidanzamento è rotto e Kuccikù è ancora nubile
VENERDI'- Isaia ha presentato Kuccikù al fratello gemello del Cuccurullo,Pantaleone.
In dieci secondi il poveraccio ha raggiunto Firenze di corsa.
SABATO- Kuccikù,visto Ireneo,si è innamorata di lui.
Il povero pretone si è ritrovato addosso la racchiona farneticante,che bisbigliava frasi hard in swahili e gli leccava freneticamente il naso ( in Burundi baciano così).
Per staccargliela di dosso ci sono voluti i 10 uomini più forti di S.Tobia.
DOMENICA- Isaia e Kuccikù sono stati espulsi da S.Tobia.
Sono passate due settimane.
Libertario èdisperato perchè la Zeffirina non lo vuol più vedere manco dipinto.
Pantaleone corre ancora:ha fatto due volte il giro dell'Italia e non intende fermarsi.
Ireneo è ricoverato nella clinica Luminaris insieme al Trogoloni.
Kuccikù ha trovato marito!
Erode Cuccurullo ha inviato al camorrista pluriomicida Totonno O'Scornacchiato la foto di Kuccikù e quello se n'è innamorato.Fra un mese si sposeranno.
Contento lui...
Stretta la foglia larga la via dite la vostra che ho detto lamia.

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Il trionfo di Bacco e Arianna (Lorenzo il Magnifico)

Post n°1093 pubblicato il 29 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

Quant'è bella giovinezza
che si fugge tuttavia!
Chi vuol essere lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
Quest'è Bacco e Arianna,
belli, e l'un dell'altro ardenti:
perché 'l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe ed altre genti
sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
per caverne e per boschetti
han lor posto cento agguati;
or da Bacco riscaldati,
ballon, salton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
Queste ninfe anche hanno caro
da lor esser ingannate:
ora insieme mescolate
suonon, canton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
Questa soma, che vien drieto
sopra l'asino, è Sileno:
così vecchio è ebbro e lieto,
già di carne e d'anni pieno;
se non può star ritto, almeno
ride e gode tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
Mida vien drieto a costoro:
ciò che tocca, oro diventa.
E che giova aver tesoro,
s'altri poi non si accontenta?
Chi vuol esser lieto, sia:
del doman non c'è certezza.
Ciascun apra ben gli orecchi,
di doman nessun si paschi;
oggi sian, giovani e vecchi,
lieti ognun, femmine e maschi;
ogni tristo pensier caschi:
facciam festa tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.
Donne e giovinetti amanti,
viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti!
Arda di dolcezza il core!
Non fatica, non dolore!
Ciò c'ha esser, convien sia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Libri dimenticati:Il figlio dell'Impero

Post n°1092 pubblicato il 29 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

E' solo un bimbo di 4 anni quando il padre viene esiliato a S.Elena e la sua vita cambia drammaticamente.
E' Il Re di Roma,l'Aiglon.
In questo intenso romanzo di Francesca Sanvitale viene ricostruita la sua breve,tragica vita

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 

Frase del giorno

Post n°1091 pubblicato il 29 Ottobre 2011 da odette.teresa1958

I mali che fuggi sono in te (Seneca)

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
 

Archivio messaggi

 
 << Ottobre 2011 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
31            
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 4
 

Ultime visite al Blog

giovirocSOCRATE85comagiusdott.marino.parodisgnudidavidamoreeva0012lutorrelliDUCEtipregotornacrescenzopinadiamond770cdilas0RosaDiMaggioSpinosamaurinofitnessAppaliumador
 

Ultimi commenti

Ciao, serena serata
Inviato da: RicamiAmo
il 01/08/2014 alle 18:11
 
Ciao per passare le tue vacanze vi consigliamo Lampedusa...
Inviato da: Dolce.pa44
il 26/07/2014 alle 18:22
 
Buon pomeriggio.Tiziana
Inviato da: do_re_mi0
il 23/04/2014 alle 18:01
 
i gatti sono proprio così.:)
Inviato da: odio_via_col_vento
il 14/04/2014 alle 20:57
 
questi versi sono tanto struggenti quanto veritieri. Ciao e...
Inviato da: Krielle
il 23/03/2014 alle 04:38
 
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963