Messaggi del 13/11/2011

La storia della cipolla del casale

Post n°1198 pubblicato il 13 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Nella montagna del casale abitava una cipolla.
Durante l’inverno, amava dormire sonni beati e tranquilli ma arrivata la primavera si svegliava e andava alla ricerca di qualcuno con cui fare amicizia.
E così incominciava a girare per la montagna del casale fischiettando e salutando. Ed ecco che incontra un bel pomodoro rosso, con tutti i suoi pomodorini.
“Buon giorno signor pomodoro” disse la cipolla “facciamo amicizia visto che abitiamo nella stessa montagna ?”
Il pomodoro rosso vedendo la cipolla bianca rispose: “io non faccio amicizia con chi non ha colore”.
La cipolla si rattristò un pochino ma dopo riprese a girare in cerca di qualcun’altro.
Vide una patata e pensò “questa mi sembra più seria”.
“Buon giorno signora patata, sono la sua vicina di montagna facciamo amicizia?” La patata vedendo la cipolla si mise a piangere e subito le rispose: “vai via da questa montagna, io non faccio amicizia con chi fa piangere”. La cipolla sempre più triste cercò ancora Vide una fagiolino e fra sè e sè disse: “che linea , che signorilità! che bel colore pieno di speranza sicuramente faremo amicizia”.
“Buon giorno signor fagiolino sono la sua vicina di montagna le va di fare amicizia?”
Il fagiolino vedendo la cipolla cosi grassa, con grande superbia disse: “come ti permetti di avvicinarti alla mia nobiltà io non faccio amicizia con chi è grassa”.
La cipolla sempre più triste cercò un’ultima volta.
Ecco che incontra il mais, con quella luce che sprigionava dai suoi chicchi dorati e disse: “non ci sono dubbi ho trovato chi farà amicizia con me”. “Buon giorno signor mais” il mais la interruppe bruscamente e scappò via dicendo: “vai via brutta cipolla non c’è posto in questa montagna per chi è grassa, non ha colore e fa pure piangere”.
La cipolla triste e sconsolata non volle più girare in cerca di qualcuno e mestamente si ritirò in cantina.

Non mi vuole più nessuno
Triste sono
Mi ritiro in cantina.
Solo il grillo mi consola
Triste sono
Non mi resta che dormire.
Dormirò sognando l’uccelin
Dormirò sognando cri cri cri.
Non mi vuole più nessuno
Sono sola
Non mi vuole più nessuno.
Non mi vuole più nessuno.



Arrivato il momento del pranzo, la patata, il pomodoro, il mais e il fagiolino si sedettero a tavola e dove stava una bellissima insalatiera che disse: “facciamo l’insalata del casale che piace tanto a Giovannino”.
L’idea piacque a tutti e subito si buttarono dentro l’insalatiera.
Si divertirono molto nel fare l’insalata e aveva davvero un bellissimo aspetto.
“Adesso”: dissero tutti in coro “andiamo da Giovannino a fargliela assaggiare”.
Bussarono alla porta di Giovannino e gli dissero: “abbiamo preparato questa insalata per te, sappiamo che ti piace tanto”.
Giovannino assaggiò l’insalata ma…non gli piaceva per niente.
“Non è possibile che non ti piaccia”, dissero in coro, tutti erano increduli e non sapevano che fare. La patata dall’alto della sua sapienza disse: “forse manca qualcosa!”.
“Sicuramente manca qualcosa” ribattè il mais, “andiamo in giro per il casale a cercare!”.
Per primo andò il pomodoro seguito dai suoi pomodorini.
Il pomodoro incontrò il fiore della zucchina e disse: “vieni con noi nell’insalata sei tu che ci manchi!”.
IL fiore della zucchina rispose: “non mi piace l’insalata preferisco la frittata!”.
Anche la patata si mise alla ricerca. La patata incontrò una melanzana e gli disse: “sei sicuramente tu che ci manchi nell’insalata! Vieni con noi”.
La melanzana rispose: “non mi piace l’insalata preferisco la caponata!”.
Persino il fagiolino si mise alla ricerca. Il fagiolino incontrò un peperone verde e disse: “vieni con noi a fare l’insalata del casale”.
Il peperone rispose “non mi piace l’insalata preferisco la peperonata!”.
Tutti erano disperati ma il mais si ricordò della cipolla e disse: “proviamo con la cipolla forse è lei che ci manca!”.
Di malavoglia andarono dalla cipolla, nessuno era disposto a scommette un solo centesimo che fosse proprio lei che mancava nell’insalata.
Arrivati in cantina chiamarono la cipolla e dissero “per favore signora cipolla, perdonaci per non avere fatto amicizia con te , vieni a fare l’insalata con noi forse sei tu che ci manchi!”.
La cipolla dapprima non voleva, ma dopo pensando di fare felice Giovannino si fece convincere e andò a fare l’insalata.
Giovannino assaggiò nuovamente l’insalata con la cipolla e gli piacque moltissimo. Era proprio la cipolla che mancava nell’insalata del casale.

Finalmente in compagnia
Ho trovato
L’allegria ho trovato.
Tanti amici per giocare
Per parlare,
Per giocare, per parlare.
Giocherò pure col fagiolin
E con la Patata parlerò
L’amicizia ho trovato nel casale.

 



Illustrazioni di Maria di Fiore
Giovanni Ferraro (giugno 2004)

 
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Strumenti e mezzi

Post n°1197 pubblicato il 13 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Attorno alla grande quercia del bosco, quella presso l’ansa del torrente, un congruo gruppo di animali discute animatamente.
Dall’alto di un ramo Avio, la rondine, afferma nervoso:
-Non ne possiamo più. I cieli sono invasi. Gli uomini, con i loro aerei hanno monopolizzato l’aria. Usano il mezzo alato, fatto a imitazione di noi uccelli, per ogni cosa. Per trasportare i passeggeri. Per trasferire merci. Persino per fare la guerra, sganciando bombe imponenti, con drastiche conseguenze!-
Assai angosciata è anche Pina, la Tortora:
-Io sono appena tornata dalla città, dove sono stata per andare a trovare Piero, mio cugino piccione. Le case, il cemento e i mattoni stanno invadendo il mondo, e gli uomini stanno distruggendo tutto.
Disboscano ove stanno i grandi boschi, per utilizzare senza ritegno il legno, e disporre poi di aeree edificabili!-
Dal ruscello sbuca Argentea,la Trota:
-A me, ha riferito Fred, il salmone, mentre risaliva come al solito la corrente, come anche nei mari la situazione sia catastrofica. Lì l’uomo ha voluto copiare i pesci, e spostarsi nell’acqua velocemente come loro. Le navi sono tantissime, ma soprattutto ci sono le petroliere, a spargere quel nauseabondo e letale liquido nero, con l’esito di inquinare ogni dove!-
Interviene poi Rino, il Cinghiale:
-Io, proprio l’altra sera, sono stato quasi investito da un’automobile nella strada del sottobosco. I motori li misurano in cavalli vapore, ma le vetture si muovono senza quadrupedi, con tanto fumo e smog!-
La poiana, Alice, dà notizia della situazione nelle zone ove sorgono industrie e fabbricati:
-Là, con lo scarico dovuto alla combustione di carbone e nafta, non si riesce neanche più a volare! L’uomo ha trattato e lavorato il mondo a suo piacimento. Tutto è artefatto, finto, virtuale, vano e senza valore!-
A questo punto interviene Dotto, il gufo, e spiega:
-Tutti possiamo disporre di strumenti e mezzi, ma tutto dipende da come li usiamo. Così mentre Frigia,la giumenta dell’azienda agricola, usa gli zoccoli per difendersi, ma non per prendere a calci il suo puledro , l’uomo usa gli aerei per fare la guerra, mentre essi potrebbero essere adoperati per tantissime opere di salvataggio, sia per aiutare la gente, spengere gli incendi, e trarre in salvo chi è in pericolo.-
Interviene, Aculeo, l’Istrice:
-E’ vero! Io non impiego le mie irsute spine per lanciarle contro gli amici; l’uomo invece con le ciminiere distrugge il suo stesso habitat!-
Dotto allora fà il suo commento da grande saggio:
- Ciascuno è dotato di qualità particolari, ma deve usarle nella maniera opportuna, nel rispetto della dignità di tutti!
L’uomo costruisce e uccide ogni cosa: persino i propri simili.......ma Dio li(e ci) aiuterà.....


 
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Un nuovo sogno

Post n°1196 pubblicato il 13 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Qualcuno narra che un giorno, in un campo, un campo qualsiasi, in un luogo qualsiasi, un contadino stesse zappando la terra o meglio, la neve. Già, perché la neve aveva nascosto la terra sotto uno strato bianco. Corrado però non si dava per vinto. Avrebbe spalato tanta neve, quanta ne sarebbe servita per ritagliare un pezzetto di terra coltivabile, nel quale sotterrare i semi che avrebbero procurato il suo sostentamento per i mesi invernali, anche se sapeva che si trattava di un’ impresa praticamente impossibile. Era da pazzi infatti cercare di seminare nella terra dura e morta dell’inverno ma, dato che Corrado era testardo e nella vita aveva fatto tante cose sfidando l’impossibile, continuava a scoprire tratti di terra zappando senza sosta.
Il silenzio regnava intorno e solo il rumore della zappa sul duro terreno, echeggiava nella valle. Corrado si fermò un attimo per riprendere respiro e il suo fiato uscì dalla bocca in una nuvola, come un genio invernale che esce da una lampada congelata. Si osservò le nocche delle mani ormai arrossate dal freddo, chiedendosi se la sua caparbietà l’avrebbe condotto a qualcosa. Quasi trasalì quando vide quella creatura.
“E tu chi sei?” chiese.
Il bambino era appollaiato su una roccia, a pochi metri da lui e Corrado, nonostante il silenzio, non aveva avvertito il suo arrivo. Era vestito di stracci e aveva uno sguardo triste ma vivo, di una vita immensa e incuriosita.
“Io vivo in un luogo non lontano da qui” disse il bambino, “per caso ti ho spaventato?”
“Non mi hai spaventato, moccioso, non so ancora come hai fatto ad arrivare qui, senza che io ti vedessi, ma non mi hai spaventato. Cosa ci fai qui? Fa freddo! Vai a casa o ti ammalerai, tuo padre e tua madre sanno che sei qui?”
“Non so dove sono i miei genitori, ma non ti preoccupare, nel luogo dove vivo, nessuno si preoccuperà della mia assenza. Tu vivi qui vicino?”
“Io vivo dietro al bosco, a est e questo è il mio campo …anche se devo ammettere che ha perso le sue sembianze. Maledetto inverno! Ho perso il raccolto lo scorso autunno, dopo quell’uragano e non avevo scorte per affrontare l’inverno. Che stupido sono stato a non prevedere quella calamità. Adesso devo ottenere qualcosa da questa brulla e morta terra! Ma tu, bambino, come puoi non sapere dove sono i tuoi genitori? C’è qualcosa che non mi quadra, tu non me la racconti giusta!”
“Vedi” disse il bambino “nel luogo dove vivo ho tutto quello di cui necessito. Lì io sono protetto e mi sento coccolato. Potrei dormire un sonno tranquillo e qualcuno, mentre sono tra le braccia di Morfeo, veglierebbe su di me. Sono nutrito e la pace regna in quel luogo”.
“Sono contento per te, però come puoi notare io non sono ne coccolato, ne ho tutto quello di cui necessito , ma sono sottobraccio alla disperazione e vorrei tanto sganciarmela di dosso, ma penso che non sarà facile. La vita è dura e vorrei tanto avere un moccioso come te, così lo metterei subito a zappare la terra e a darmi una mano. Io sono ormai avanti con gli anni e stanco, ho bisogno di braccia forti che sostituiscano le mie.”
“Sei sicuro che vorresti un figlio solo per metterlo a lavorare come un mulo da soma? Be’ in fondo imparerebbe molto da questo. E’ bello stare a contatto con la terra, vero? Si impara molto, vero? Io ti dicevo, ho tutto ma sento che mi manca tutto. E’ come se il luogo dove vivo mi nasconda tante avventure che ci sono intorno a me. Come dire….penso che il mondo sia un grande e bellissimo scrigno che nasconde tesori inimmaginabili e io vorrei tanto aprirlo quello scrigno e…..”
“Senti, basta chiacchiere! Io devo lavorare e non ho tempo da perdere. Visto che sei troppo piccolo per aiutarmi, levati dai piedi! Il mondo dici……il mondo è là fuori e chi l’ha mai visto. La terra….è terra! Ti dà il cibo e non c’è altro. Io non ho viaggiato e non ho grilli per la testa, e non ne posso avere e …….”
Si fermò un attimo. Il bambino lo stava fissando e i suoi occhi, gli stavano dicendo che lo specchio che nascondeva i suoi sogni era stato infranto ed questi ultimi adesso, stavano rovesciandosi per terra frantumandosi a loro volta.
“Be’” continuò “veramente ho sognato anch’io alla tua età, ma la vita mi ha preso tra le sue ruvide mani e mi ha accompagnato lontano da quei sogni e ora chissà dove sono finiti. A quindici anni lavoravo in una fattoria, mi alzavo alle quattro di mattina e andavo e andavo a letto alle sette di sera. Non avevo tempo di fare altro che lavorare. Vedevo la vita nascere ogni giorno davanti a me e compiangevo quei poveri esseri, che venivano al mondo. Parlo di cavalli, mucche, capre e altri animali. Non dimenticherò mai gli occhi di quel cavallino, il giorno in cui nacque. Sembravano i tuoi, teneri e bisognosi di affetto e io ero giovane. Piansi, quel giorno, perché almeno i suoi sogni si realizzassero. Io ero giovane ma la mia vita aveva imboccato una strada che non aveva vie laterali da prendere. Era un unico viale, dritto e lunghissimo e io avrei dovuto percorrerlo tutto, senza guardarmi troppo intorno. Ma io non mi diedi per vinto: cominciai a leggere e spesso crollavo dopo aver letto poche righe, però negli anni riuscii lo stesso a conoscere quello che non avrei probabilmente mai visto”.
“E il cavallino? Che fine ha fatto?”
“Be’ lui corse libero per i campi. Era bellissimo guardarlo, perché i suoi sogni erano tutti in quei movimenti. Lui il mondo lo assaporava tutto sotto i suoi zoccoli e nell’aria che respirava. In quella corsa c’era il mondo appeso a quella criniera, che correva con lui”. Ora Corrado piangeva.
Il bambino sorrise. “E insieme al mondo c’eri anche tu!”
Corrado sorrise a sua volta tra le lacrime.
“Vedi” continuò il bambino “io andrò via dal luogo dove attualmente vivo e mi incamminerò per il mondo in cerca di fortuna. Forse sarò meno protetto ma quante cose imparerò. Vedi, tu hai imparato a proteggerti da solo, perché sai capire dalla vita cosa vuoi avere e cosa no e non ti sei fermato nel luogo che la vita ti aveva assegnato. Adesso ho capito cosa significa vivere, vuol dire desiderio di conoscere ed esso abbatte le barriere materiali della possibilità. Tu hai visto la vita nascere, hai assimilato la vita da parole scritte sulla carta, hai corso con la vita nelle movenze di un cavallo. Io vorrei avere la vita che hai avuto tu e se dovessi esplorare il mondo lo vorrei fare con un uomo come te”.
Con queste parole, il bambino si alzò dalla roccia e si incamminò per un sentiero. La nebbia avvolgeva il suo incedere lento. Si girò un’ultima volta: “Ah, comunque io mi chiamo Mattia.”
Corrado lo guardò scomparire nella vegetazione , chiedendosi se l’avesse mai rivisto. La giornata volgeva ormai al termine e il contadino si caricò la zappa sulle spalle. Il giorno dopo sarebbe stata una nuova giornata di lavoro. Le parole del bambino risuonarono nella sua testa, mentre si incamminò verso casa. Forse aveva veramente vissuto più intensamente di quello che aveva pensato fino a quel momento e ora desiderò con tutte le sue forze, avere a fianco un altro Corradino a cui insegnare tante cose e non solo zappare la terra.
Era così immerso in questi pensieri che non si accorse neanche che, nell’ultimo pezzo di terra che aveva scoperto e seminato, una piccolissima piantina aveva fatto la sua comparsa.
Era ormai buio, quando bussò alla porta della sua casa. Sandra corse ad aprirgli con un sorriso che era più grande della porta che aveva aperto:
“Caro, ho due notizie una bella e una brutta. Quella brutta è che diventerò grossa come una balena e quella bella è che ci sarà una persona nuova in casa nostra a cui potremo insegnare a guardare il mondo, nel miglior modo in cui riusciremo a farlo”.
La zappa cadde dalle spalle dell’uomo. Ormai non ci sperava più che un nuovo sogno potesse diventare una vita umana nella sua casa ma a quanto pare il destino non la pensava così.
Sorrise e fu certo, mentre abbracciava la moglie, che dal giorno dopo la vita non l’avrebbe più vista con gli stessi occhi.
Sorrise e subito un pensiero si materializzò nella sua mente: Mattia era veramente un gran bel nome.

 
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Sgombero (Pirandello)

Post n°1195 pubblicato il 13 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Squallida stanza a terreno. Un lettuccio su cui giace rigido, ma non ancora composto nel consueto atteggiamento dei morti, il cadavere d’un vecchio, con la barba messa da malato e i globi degli occhi stravolti, quasi trasparenti sotto le palpebre esili come veli di cipolla. Le braccia fuori delle coperte e le mani giunte sul petto. Il letto ha la testata contro la parete, e un Crocefisso è appeso al capezzale. Accanto al letto è un tavolinetto da notte con qualche bicchiere di medicinale, una bottiglia e un candeliere di ferro. Nel mezzo, un usciolo semiaperto; e più là, un antico canterano con l’impiallacciatura crepacchiata, con su qualche rozza suppellettile. Inginocchiata alla sponda destra del letto e arrovesciata su esso con tutto il busto e la faccia e le braccia lungo distese, è la vecchia moglie del morto, vestita di nero, con un fazzoletto violaceo in testa. Non dà segno di vita. Davanti all’usciolo semiaperto è una ragazzina di otto o nove anni, del vicinato, con gli occhi sbarrati e un dito alla bocca, in sgomenta contemplazione del cadavere. Nell’ombra dell’andito, attraverso la semiapertura dell’usciolo, s’intravedono uomini e donne del vicinato che spiano e non osano entrare. Nella parete destra è una finestra che dà sul cortile; e anche di qua s’intravedono, attraverso i vetri, altri visi di curiosi che spiano. Nella parete sinistra è un decrepito armadio di legno tinto, a due sportelli. Sedie impagliate; un tavolino.

Si sente dall’andito la voce di Lora:

- Fate largo! Lasciatemi passare!

Entra.
Ha poco più di vent’anni. Aria equivoca. Modi bruschi.
Porta avvolto nella carta un cero, e in mano frutta di vivaci colori: arance, mele.
Appena entrata, dice alla ragazza:

- Ah, brava, t’han lasciata entrare? Così poi da grande ti rammenti quando hai visto un morto la prima volta. Vuoi anche toccarlo col ditino? No? E allora vattene!

La prende e la mette fuori dell’uscio, dicendo a quelli dell’andito:

- C’è un funerale di prima classe in capo alla via: l’ho visto io passando: tiro a quattro, cocchiere e famigli in parrucca bianca, una sciccheria! correte, correte a vederli! Amate il sudicio come le mosche? E tira a sé l’usciolo.

- Ma già, l’ippopotamo... - esclama in mezzo alla stanza, scrollando le spalle. - Quando hai visto al Giardino Zoologico che Dio ha creato anche l’ippopotamo, di che ti vuoi più maravigliare? C’è l’ippopotamo, come c’è chi si piglia le bambine e poi le ammazza; e c’è chi deve far la sgualdrina, e chi ti butta in mezzo alla strada. E le mosche. Le mosche.

Posa sul canterano il cero e la frutta. Gli occhi le vanno allora a quegli altri che stanno a spiare dai vetri della finestra. Vi corre, irritata:

- Ma guarda, anche qua, appiccicate ai vetri!

Appena apre la finestra, quelli scappano via. E allora lei si sporge a gridar fuori:

- Ma sì, ma sì, sono io! Che peste, eh, Bigiù? Ma mi sai dire perché sei da più di me tu? perché vendi a casa all’ingrosso, a pezze intere, e io faccio la mercantina di strada e vendo a metro? Che vuoi! Tu l’assaggi ancora col pollice e l’indice la stoffa; io non l’assaggio più, stoffetta di liquidazione. Va’, va’ su, che la scala può darsi che toccherà di scenderla anche a te. Allegra, comare. Siamo entrati in due, a braccetto, stamattina, la Morte e il Disonore, già, il Disonòòòre! Ma guarda che faccia! Toh, cara, aspetta: ti butto una meluccia.

Prende una mela rossa dal canterano e fa per gettarla alla ragazzina messa fuori poc’anzi.

- Scappi? Non la vuoi! Be’, me la mangio io.

L’addenta e richiude la finestra, facendo, subito dopo, l’atto di turarsi il naso:

- Fffff, questo puzzo ardente di lavatojo!

Guarda sul letto il cadavere del padre:

- Mangio, sì, mangio, e mi possa far veleno! Digiuna da jeri. Le mani, eh, ora non le stacchi più! Certi schiaffoni! E mi sputavi anche in faccia, m’acciuffavi pei capelli, mi sbattevi di qua e di là a furia di pedate! Ragazzina, che vuoi? ne sapevo già più d’un’immagine sacra a capo del letto. Ora le tieni l’una sull’altra, così sul petto, le mani, fredde come la pietra.

Va a scuotere per la spalla la madre.

- Su, mamma: sei digiuna da jeri anche tu: bisogna che prenda qualche cosa.

D’improvviso ha il dubbio che non le abbiano reso giusto il resto, e fa il conto:

- Quattro e otto, dodici, e cinque, diciassette. Aspetta. Che altro ho comprato? Ah, già, da quell’imbecille, la frutta. Vendeva gli uccellini a mazzo, legati pei fori del becco, e me li ha sbattuti in faccia, mascalzone, senza neppur vedere che portavo un cero. Sobbalza, sovvenendosene: - Ah già, il cero. Lo va a prendere dal canterano e lo scartoccia. - Perché non si dica che non te l’abbiamo acceso. Prende il candeliere di ferro dal tavolinetto da notte. - Speriamo che lo regga. Pianta il cero nel bocciolo del candeliere. - Toh, guarda, come fatto su misura.

C’è sul tavolinetto una scatola di fiammiferi. Accende il cero e lo posa lì.

- Ardere e sgocciolare: bella professione. Come le vergini.

- Tu lo vedi? No. E neppure i santi di legno su l’altare. Ma noi li vediamo illuminati i santi, e c’inginocchiamo. È tutta fede, la fabbrica dei ceri. Ora crediamo che tu stia godendo di là. Ma non lo dai a vedere, poveretto. Su, mamma, oh: bisognerà pur vestirlo prima che s’indurisca. Piangi, sì, seguita a piangere. Bella professione anche la tua, lì buttata per morta anche tu. Bisogna far presto. E grazia che abbiano aspettato che morisse. Vogliono fuori tutto prima di sera. E alle quattro verranno quelli della Misericordia. Non daranno neanche al cero il tempo di consumarsi tutto.

Guarda il cero acceso, poi alza gli occhi al Crocefisso appeso al muro.

- Ah, il Crocefisso tra le mani.

Va all’altra sponda del letto; accosta una sedia e vi monta; stacca il Crocefisso; lo tiene un po’ tra le mani:

- Ah Cristo! I poveri che ricorrono a Te... L’hai fatto apposta! Chi può avere più il coraggio di lagnarsi della sua sorte con Te, e di tutto il male che gli altri gli fanno, se Tu stesso senza peccato Ti sei lasciato mettere in croce con le braccia aperte, Cristo! La speranza che si godrà di là, sì. La fiamma di questo cero da quattro soldi.

Salta dalla sedia e mette il Crocefisso tra le mani del morto, dicendo alla madre:

- Oh, bada che gli si sono davvero indurite: tu non lo vesti più, o bisognerà spaccar di dietro la giacca per infilargli le maniche di qua e di là. Ah, non vuoi muoverti? Aspetti che ti prendano per un braccio e ti buttino fuori della porta? Be’, guarda!

Prende la sedia e vi si siede.

- Mi metto ad aspettare anch’io che venga uno spazzino con la pala e la scopa a buttarmi sul carretto delle immondizie. Beato chi s’è levato il pensiero di muoversi; anche di qui là, anche d’alzare una mano per portarsi un boccone alla bocca! Tanto poi, alla fine, hai ragione, tutto si fa da sé, quando non hai più voglia di nulla. Entrano, ti tirano per le braccia a rimetterti in piedi; tu non ci stai; ma non ti confondere, se non ti ci vogliono, non ti danno neanche il tempo d’abbatterti, t’allungano una pedata o ti tirano uno spintone alle spalle e ti mandano a ruzzolare nella strada. Gli stracci, il letto col morto, il canterano, tutto in mezzo alla strada: se lo pigli chi vuole! E tu lì per terra, bocconi, come ora sul letto, tra la gente che si ferma a guardarti. Viene una guardia: «Proibito dormire sulla strada». E allora dove? «Sgombrate!» Tu non sgombri. Niente paura. Qualcuno se proprio non vuoi, ci penserà a farti sgombrare. Avrà pur diritto, chi non ha più casa, a un posto dove stare, sulla terra: su un paracarro come un fantoccio posato; su un gradino di chiesa; su un sedile di giardino; accorrono i bambini: sì, la nonnina. Che dici, bello mio? Cecce? Non ti capisco. Ah; ti vuoi mettere a cecce qua con me? Babba non vuole. Va’ a vedere i pesciolini nella vasca. Rossi, sì. Uh, Dio sia lodato! Poi ti metti con la mano così, e qualcuno passando ti butterà un soldo o un tozzo di pane. Ma io no, sai; guarda: puh, uno sputo! La mano, io piuttosto che a chiedere, la stendo a graffiare, rubare, ammazzare; e poi, sì, la galera: da mangiare e dormire gratis. Si alza, esasperata, e va a dire al padre:

- M’approfitto che non puoi più sentire e mi sfogo per tutti gli schiaffi che mi desti. Non lo volesti mai capire come fu, che ci si può arrivare senza saperlo, quando meno ci pensi, che ti ci trovi preso, mentre piangi e ti disperi, perché il tuo corpo, toccato senza intenzione, ha sentito da sé una dolcezza che ti si fa viva in mezzo alla disperazione e te l’avvampa, tutt’a un tratto insieme con tutte le cose che non vedi più, cieco, abbracciato e disperato, in un piacere che non t’aspettavi. Fu così. Fu così. Qua. Me lo lasciasti tu, qua, tuo nipote tradito dalla moglie. Piangeva, seduto qua su questo stesso letto; gli presi così la testa per confortarlo; si mise a smaniare, a frugarmi con la faccia sul petto: eh, donna, così, che ci si debba sentir piacere, non mi sono fatta da me! S’accese il sangue a tutt’e due; e anche lui dopo, rimase lì steso come morto, dallo spavento d’avermi avuta. E poi se ne tornò dalla moglie consolato, vigliacco! d’aver conosciuto da me, disse, che tutte le donne, tanto, sono uguali, e oneste non ce n’è; uguali come gli uomini, la stessa carne; e che dunque non c’è perché - disse - se lo fa un uomo tante volte, e non è nulla, se lo fa poi la donna, una volta, debba parer tanto da considerarla perduta per sempre. «Infine, ti sei preso un piacere anche tu!» Vigliacco, e il figlio? Per te non fu nulla; ma per me... Ah, padre, sei morto e ti perdono, ma se mi sono dannata così, lo debbo a te. Tutti uniti nel giudizio d’una donna, voi uomini: tutti: non c’è padre; non c’è fratelli; anzi loro, i più feroci. E il più feroce di tutti fosti tu, che mi buttasti come una cagna sulla strada. Ma io così, guarda, mi levai lagrime e sputi dalla faccia, e la presentai al primo che passò. La strada, la rabbia di gettarti in faccia la vergogna che non volesti tenere nascosta. Ma poi il figlio, il figlio... Non è vero quello che si dice; sarà vero dopo, ma prima no; sentirselo, cosa spaventosa! E poi quando nasce... È vero dopo; la creaturina che ti cerca... Te lo venni a lasciare qua, d’otto mesi, una notte, dietro la porta, nella cesta del suo corredino. Dev’esserci ancora, il corredino; o l’avete venduto? Dio, ti ringrazio d’essertelo preso con Te così bambino! Su su, vestiamo lui adesso!

Va ad aprire l’armadio; ne cava un abito di panno marrone appeso alla gruccia. Si volta alla madre:

- È vero che l’addormentava lui, ogni sera, con quella canzone... com’era? che la cantavi anche tu, a me bambina. Me lo vennero a dire, una notte che pioveva, uno che passò di qua e lo sentì dal cortile. E poi voleva da me... capisci? dopo avermi detto questo!

Guarda l’abito del padre che ha ancora in mano; l’esamina:

- Oh, ma quest’abito è ancora buono. Quasi quasi... Tanto, se ha già fatto la sua comparsa davanti a Dio, per quelli che tra poco se lo verranno a prendere, che gli serve più l’abito? E tu, stretta come sei... qua c’è dell’altra roba... potresti intenderti con un rigattiere. Oh, mi senti? Bisogna far fagotto! Ci sarà altra roba nel canterano...

Va al canterano; ne apre il primo cassetto; rovista dentro: stracci. Apre il secondo; non c’è nulla. Apre il terzo: c’è il corredino.

- Ah, è qui.

Lo guarda. S’accascia a terra. Ne tira fuori qualche capo: una fascia arrotolata, una camicina, un bavaglino; poi alla fine, una cuffietta: introduce una mano a pugno chiuso nel cavo di essa, e come se cullasse un bimbo si mette a canticchiare con una voce lontana la vecchia canzone della madre. E mentre canta, tutto a mano a mano s’oscura, finché, spenta ogni luce, si vede soltanto la fiamma del cero.

Silenzio.

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Fragilità il tuo nome è donna!

Post n°1194 pubblicato il 13 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Di certo chi ha scritto questa bellissima frase non ha mai conoscouto la prof d'inglese Laudomia Croccolotti,lettori miei!
A prima vista ella sembra una piccola donnina fragile ed eterea,,da proteggere e coccolare.In realtà è una tosta che più tosta non si può,che non si fa mettere i piedi in testa neanche dal Padreterno.
Non ci credete? Leggete un po'!
LUNEDI'- La Croccolotti ha una 500 decrepita che adora,Oggi il guidatore più indisciplinato e prepotente di S.Tobia e fintroni,Odoacre Puzzettoni,gliel'ha ammaccata e pretendeva anche di aver ragione.
Non vi dico com'è rimasto quando quel donnino indifeso prima lo ha investito con parolacce tali fa far ammutolire qualsiasi scaricatore di porto e poi,con un sorriso angelico, ha impugnato il cric e con quello gli ha vibrato una botta tremenda là dove il sol tace.
MARTEDI'- La Saccentoni e la Croccolotti si detestano.
Oggi l'Euterpe,per l'ennesima volta,le ha deliberatamente fregato il posto macchina.
Quando è uscita dalla scuola, della sua Y10 rosa shocking restava solo un monticello di viti e bulloni,su cui troneggiava un bigliettino che recitava "Così impari!"
MERCOLEDI'- Da giorni la Croccolotti diceva al bidello Rimestoni di chiamare l'idraulico perchè il water del bagno insegnanti stava per intasarsi e da giorni quello se ne infischiava.
Oggi il disastro annunciato si è verificato e la Laudomia ha usato la testa del Rimestoni per sturare il water (per la cronaca, ci è riuscita perfettamente)
GIOVEDI'- Ogni giovedì sera i prof Trambelloni,Tremarelli,Sciroppati e Maccoppi si ritrovano in una saletta del bar per giocare a poker.
Oggi mancava il Maccoppi e la Laudomia ha chiesto ai colleghi di giocare al posto suo.
Quelli,sicuri di aver trovato il pollo,hanno prontamente accettato.
Risultato: toma toma e cacchia cacchia,la Croccolotti ha vinto i loro stipendi di tre mesi
VENERDI'- Asmodeo Cuccurullo voleva spaventare la Croccolotti e le ha infilato un gigantesco scarafaggio finto nel registro.
Per nulla intimorita,la Laudomia gli ha fatto trovare nello zaino una biscia acquaiola lunga tre metri (vera)
SABATO- Disturbata dal baccano della classe accanto,la Croccolotti si è fatta prestare il kalashnikov da ireneo e ha ripristinato l'ordine con quello
DOMENICA- La Croccolotti ha chiesto un periodo di aspettativa:secondo lei, una povera,fragile donna indifesa non può restare in quella scuola senza prendersi l'esaurimento nervoso (bisogna proprio dire che la faccia tosta non le manca)
E' passata una settimana.
Odoacre gira con l'armatura.
La Saccentoni sta ricomponendo l'Y10.Se le va di lusso,dovrebbe finire per il 2018.
Il Rimestoni è ricoverato nella clinica Luminaris,convinto che tutti i water dell'universo vogliano papparselo.
Le consorti dei prof Trambelloni,Tremarelli e Sciroppati hanno chiesto la separazione e l'interdizione dei mariti.
Asmodeo ha la febbre a 44.
La Croccolotti è alle Maldive in convalescenza (una parola è poca, due troppe)
E mentre lei si abbronza, io passo e chiu

 
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Ti amo (Neruda)

Post n°1193 pubblicato il 13 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Ti amo,
amante, ti amo e m’ami e ti amo:
son corti i giorni, i mesi, la pioggia, i treni:
son alte le case, gli alberi, e siam più alti:
s’avvicina sulla sabbia la spuma che vuol baciarti:
emigrano gli uccelli dagli arcipelaghi
e crescono nel mio cuore le te radici di frumento.

Non v’è dubbio, amor mio, che la tempesta di
Settembre
Cadde col suo ferro ossidato sopra la tua testa
E quando, tra raffiche di spine ti vidi camminare
Indifesa,
presi la tua chitarra d’ambra, mi misi al tuo fianco,
sentendo che non potevo cantare senza la tua bocca,
che morivo se non mi guardavi piangendo nella pioggia.
Perché le pene d’amore sulla riva del fiume,
perché la cantata che in pieno crepuscolo ardeva
nella mia ombra,
perché si richiusero in te, chillaneja fragrante,
e restituirono il dono e l’aroma che abbisognava
il mio vestito sciupato da tante battaglie d’inverno?

 
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Libri dimenticati:Il diario di Ellen Rimbauer

Post n°1192 pubblicato il 13 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Romanz poco conosciuto die Stephen king,incentrato su un csa e sulla maedizione che incmbe sulle donne che vi abitano

 
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Frase del giorno

Post n°1191 pubblicato il 13 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Ridi e il mondo riderà con te piangi e sarai solo

 
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