Messaggi del 17/11/2011

IPCA Cirič

Post n°1232 pubblicato il 17 Novembre 2011 da odette.teresa1958

La fabbrica della città

L'IPCA (Industria Piemontese dei Colori di Anilina) era una fabbrica
di colori, fondata nel 1922, a pochi chilometri da Torino lungo il corso del torrente Stura, ai piedi delle valli canavesane. In questa terra "priva di fulgidi passati, ma verde di riposi ristoratori, dove l'anima si adagia come una buona borghese" (Guido Gozzano), si è purtroppo consumato il dramma dei suoi operai:
la fabbrica del cancro.
La situazione interna allo stabilimento era estremamente pesante: le condizioni di lavoro inumane, la grande nocività e gravosità delle mansioni, erano estese e non sufficientemente conosciute ed indagate. Il dramma Ipca con i suoi morti divenne noto grazie alta tenacia di due ex operai: Benito Franza ed Albino Stella che si impegnarono nella lotta per la sicurezza nelle fabbriche; il loro obiettivo era di non vedere più morti sul lavoro.

i colori a Ciriè
visita l'IPCA di Ciriè
alcuni dei 5677 fusti dell'IPCA di Ciriè

L'Autorità Giudiziaria del tempo, vigile e presente, recepì il problema ed il processo penale che nacque grazie all'allora Pretore Enzo Troiano segnò l'inizio, non solo in Piemonte, della storia dei processi sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Nel mentre la tragedia continuava; all'Ipca era succeduta Interchim che aveva stoccato, nell'area una quantità impressionante di rifiuti abusivi gravemente tossici per l'ambiente. L'eredità del processo è stata raccolta dai movimenti ambientalisti e sindacali cittadini, negli anni 90 ed è di questo sito e di consacrarlo alla memoria e alla ricerca. Il sito è stato acquistato dal Comune di Ciriè per circa 650 milioni. Nel novembre 1996 il Comune di Ciriè ottiene dal Ministero dell'Interno un finanziamento di circa 6 miliardi per smaltire i 5677 fusti (contenenti solventi, diluenti, residui di verniciatura, coloranti e reagenti), eliminare 4.660.220 kg di liquami tossici e bonificare 50 serbatoi e 13 vasche di decantazione. La bonifica è terminata il 31 agosto 1998.

l'area dell'IPCA dopo la bonifica terminata nel 1998 è stata inserita in un progetto finanziato dalla Regione Piemonte e dalla Provincia di Torino, in cui si prevede l'utilizzo per la realizzazione di un'ecomuseo. Partendo dalla cultura materiale e dai musei etnografici sono state analizzate le possibili interazioni con le avanguardie dell'arte contemporanea. In seguito sono stati avviati una serie di laboratori di trasformazione artistica in alcuni ecomusei ed in tre siti: nel complesso museografico-artigianale di Crumiro (ex feltrificio in val Pellice), nel museo laboratorio tessile di Chieri, e nell'area Ipca di Ciriè. Sono stati "cantieri di sperimentazione" attivati tra artisti di arte contemporanea e comunità locali per elaborare progetti di valorizzazione della memoria locale. In questo contesto il "cantiere" ha elaborato un progetto per Ciriè nell'ambito di un'iniziativa congiunta Regione Pimonte Provincia di Torino, denominato "cultura e territorio 2", da cui il Manifesto Ciriè. Le proposte uscite dal laboratorio riguardano la sfera artistica, estetica e culturale. Orientata a sperimentare nuovi ruoli per l'arte contemporanea in rapporto alle tematiche territoriali. Hanno partecipato a questo laboratorio di trasformazione artistica l'artista Claire Roudenko Bertin della Scuola Superiore d'Arte di Cergy-Paris, l'Accademia Albertina, la Scuola d'Arte di Castellamonte, l'Amministrazione Comunale, l'Associazione Parenti delle Vittime ipca, i proprietari dei terreni confinanti lo stabilimento, le scuole locali.

calendule
la fasciatura della città

Queste spinte propositive hanno dimostrato che è possibile la sperimentazione culturale ed artistica anche per temi e scenari inconsueti nei percorsi della cultura contemporanea, come negli ecomusei o le politiche ambientali. Politiche e strategie culturali dirette ad affrontare temi enormi come la conservazione della propria memoria e del proprio ambiente. Con questo obbiettivo sono state coinvolte le scuole con il progetto "gesto consapevole" rivolto alle tematiche dei rifiuti, recupero, compostaggio, scelta di elementi non inquinanti.... Per creare la consapevolezza della ripercussione dei nostri gesti sul sistema ambiente. Uno degli interventi della Roudenko è stato il giardino delle calendule, ed è stato realizzato nelle vicinanze dell'Ipca ricoprendone all'incirca la stessa superficie.

 

Questo giardino aveva una funzione autovaccinante e cicatrizzante delle ferite aperte dalle tragedie provocate dalla fabbrica. La funzione autocurativa della calendula avrebbe anche assorbito e ricompostato naturalmente, le eventuali sostanze nocive presenti nel terreno. Da qui sono partiti alcuni interventi artistico culturali della Rudenko , dell'Accademia Albertina, dell'Istituto d'Arte Faccio di Castellamonte che sono confluiti nella giornata mondiale dell'ambiente il 6 giugno 2001 , con la rappresentazione di postazioni e installazioni artistiche presso l'Ipca da parte del la stessa Roudenko, degli studenti dell'Accademia di Parigi-Cergy, dell'Accademia Albertina di Torino, degli elaborati della Scuola d'Arte di Castellamonte, del Giardino della memoria, piante fitodepurative della facoltà di Agraria, e del lavoro svolto dai ragazzi delle Scuole di Ciriè, più di mille, che hanno simbolicamente fasciato i muri della fabbrica con le tele donate dall'ecomuseo del chierese, colorate con i colori buoni. (Oltre a vivacizzare e colorare gran parte della città per tutta la giornata.)

 

visita l'ipca il 6 giugno 2001
calendule

Il campo è fiorito in pieno a luglio e nella giornata mondiale dell'ambiente, la fioritura era appena incominciata. Un paio di grandinate in agosto ne hanno compromesso il taglio e la successiva rifioritura, e si è quindi passati al suo compostaggio naturale nel terreno. L'artista prevedeva inoltre di coltivare la calendula nell'area agricola di villa Remmert, previa analisi del terreno per verificarne la compatibilita, per una sua produzione biologica, dalla quale si sarebbero estratti olii essenziali, creme, balsami, (una piccola parte sarà prelevata e distillata.... La sofferenza finalmente distillata e visibile). Questa parte del progetto non è stata realizzata, non essendo disponibile l'area. L'Istituto Faccio di Castellamonte è stato coinvolto nel progetto per la realizzazione di bozzetti per un contenitore per olii essenziali che rappresentasse la base del ciclo di crescita della calendula.

 
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Cirič una vergogna

Post n°1231 pubblicato il 17 Novembre 2011 da odette.teresa1958

n seguito a numerosi dati epidemiologici, si è riscontrato che i lavoratori di fabbriche di vernici, esposti a diverse ammine aromatiche, sono a rischio per il cancro alla vescica.

Negli anni successivi al 1950, vi furono un centinaio di casi di cancri alla vescica tra i dipendenti di una fabbrica di coloranti e vernici nella provincia di Torino. La fabbrica era l’IPCA di Ciriè (TO), fondata nel 1922. Nel 1981 vi furono 41 morti per cancro alla vescica tra i dipendenti. Studi compiuti negli anni precedenti avevano già dichiarato le ammine aromatiche, tra cui l’anilina e la beta-naftilamina, sostanze cancerogene. In diversi paesi europei si era interrotta la produzione della beta-naftilamina: nel 1938 in Svizzera, nel 1942 in Germania, nel 1951 in Unione Sovietica, nel 1952 in Inghilterra e soltanto nel 1960 all’IPCA di Ciriè, come dichiarò la stessa azienda che confermò anche di aver prodotto benzidina sino al 1967.

Nel 1969 venne pubblicata una consistente monografia sui tumori professionali ed ambientali dell’apparato urinario (Hueper, 1969) dove si sottolineò la correlazione tra tumori alla vescica e beta-naftilamina.

All’inizio degli anni ’70, il comune di Ciriè finanziò una borsa di studio per valutare gli effetti delle ammine aromatiche sulla salute umana. Nel 1970, il Tribunale Civile e Penale di Torino, con la sentenza n. 2489 del 20 giugno 1977, dichiarò colpevoli dei reati di omicidio colposo i proprietari, i dirigenti ed il medico di fabbrica dell’IPCA di Ciriè (Carnevale, 1999).

 
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Basuccu e le Gianas

Post n°1230 pubblicato il 17 Novembre 2011 da odette.teresa1958

A Tempu, in quel tempo lontano, vivevano le Gianas. Erano fatine piccoline, alte come il pollice di un bambino di nove anni compiuti.
Si vestivano di rosso, portavano sul capo minuscoli fazzoletti fioriti e attorno al collo diademi d’oro e di bacche di rosa.
Cucivano e filavano le proprie vesti e lavoravano la terra.
Dentro le case tenevano mobili ricavati dalle foglie di quercia e piatti fioriti.
In un monte là vicino, in una grande caverna, conservavano un telaio d’oro col quale ricamavano le gonnelle, le babbucce e i fazzoletti, con fili di seta color del cielo, colore di papavero e colore di sabbia.
Ma a furia di tessere e filare e lavorare la terra, le gianas erano sempre stanche, e si lamentavano per il troppo lavoro.
Quel giorno per riposare un pochino, stavano passeggiando nel bosco . Videro Basuccu addormentato sotto l’albero, e una di loro disse alle altre:
“Guardate questo giovane forte e robusto col viso scioccherello. Non pensate che ci possa essere utile?”
Svegliarono Basuccu che, vedendosi circondato da quelle creaturine piccolissime si spaventò non poco, e urlò come un indemoniato:
“Oh deu, Deu, deu…
sono già morto,
sotterrato e arrivato all’inferno
e non me ne sono neanche accorto!”

Le gianas scoppiarono a ridere e, saltellandogli attorno con gli abitini rossi svolazzanti e battendo le mani risposero in coro:
“Stupidotto che sei!
Forse i morti
si agitano e parlano
come fai tu ora?”

Basuccu cominciò a pensarci, ed ebbe la certezza di essere ben vivo quando sentì i crampi della fame, da cui il sonno prima e lo spavento poi lo avevano distratto.
“Ho fame”, disse.
“In questo paese chi non lavora non mangia - rispose una delle gianas - se vuoi abbiamo il lavoro che potrebbe fare per te. Ti assicuriamo vitto abbondante e alloggio comodo”.
Basuccu accettò senza starci tanto a riflettere.
Si incamminarono verso il monte. Le gianas davanti, in fila, piccole piccole come tante ciliegie, e dietro il giovane sciocco, grande grande e con la bisaccia vuota.
Infine arrivarono. Entrarono nella caverna e giunsero al telaio d’oro.
“ Eh, Oh, Uh,Ah, It’è, It’è?” non faceva che ripetere Basuccu allo spettacolo inatteso. Le gianas gli spiegarono il funzionamento e gli dissero:
“Siedi e fila,
e non farti cadere le braccia,
se vuoi minestra e patate”.

Lo sciocco si sedette e cominciò a pedalare. Da principio fu più la tela che riuscì a rovinare di quella che riuscì a tessere. Ma si mise di busso buono: con tanta volontà imparò il mestiere.
Da quel pomeriggio, e per lunghi anni, restò al servizio delle gianas, che in cambio gli davano cibo e giaciglio. E avevano preso a volergli bene come fosse un figlio.
Ma si stancò di stare sempre a quel monte, in quel bosco, in quella caverna. Aveva voglia di viaggiare, di conoscere nuova gente di avventurarsi per il mondo.
Un bel giorno decise di partire.
Le gianas allora, riconoscenti per il molto lavoro ch’era riuscito a fare, gli regalarono una pentola piena d’oro, e gli restituirono la sua bisaccia piena, questa volta, di provviste.
“Sta attento, Basuccu – dissero prima di lasciarlo partire – il mondo è grande e bello, ma pieno di furfanti che tenteranno di imbrogliarti. Tu fidati di chi ti da lavoro, e non di chi ti assicura tesori che non esistono”.
Fecero una gran festa d’addio, che durò tutta la notte, e mangiarono petali di viola e pernici di passo, e bevvero sidro e idromele.
L’indomani all’alba, colle guance consumate dai minuscoli baci delle gianas, commosso come un bambino, il giovane sciocco prese pentola e bisaccia e si rimise in cammino.

 
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Il pastore crudele

Post n°1229 pubblicato il 17 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Coloro che hanno già percorso la Val Zebrù, avranno certamente notato lassù nel cielo sopra il monte Cristallo, una strana nube, con la sagoma di un pastore che il vento si diverte a scaraventare nel crepaccio della montagna.
Prima che il crepaccio la inghiotta, una raffica violenta, in senso contrario, simile ad una frustata, la riporta sulla cresta, sbatacchiandola avanti e indietro, incurante dei suoi lamenti.
E' lo spirito di Bortolo, il pastore crudele, che da vivo infierì sugli animali e che sta ora scontando questa terribile pena.
In una delle ultime contrade della bellissima Val Zebrù, viveva in una baita mezzo diroccata, che a prima vista sembrava disabitata tale era lo stato di incuria e di abbandono in cui si trovava, il pastore Bortolo.
Quando la mattina usciva sulla soglia sgangherata della sua catapecchia, ci si accorgeva subito che lì non ci poteva abitare altri che lui. Il suo volto era cupo, tanto che sembrava minacciare un temporale da un momento all'altro, o peggio ancora un terremoto, quando per un nonnulla, incominciava a lanciare contro chiunque gli capitasse a tiro, tutto quello che gli veniva tra le mani. Quando si scatenava sembrava la furia personificata, quasi che le varie parti della sua personalità non si fossero assestate solidamente in modo equilibrato, ma appoggiate, appena appena le une alle altre, come i sassi della sua stalla, che rotolavano giù al minimo temporale.
I suoi animali ne facevano quasi sempre le spese: li trattava male, dava loro poco da mangiare e tante, tante bastonate così che ogni tanto qualcuno moriva. Aveva un cane che lo seguiva ovunque, così, per abitudine. Tutto spelacchiato e triste, col muso a terra come il suo padrone. Anche a lui però non risparmiava i suoi maltrattamenti: poco cibo e molte botte. Una sera in cui Bortolo era più arrabbiato del solito, incominciò a bastonarlo furiosamente, ma il povero animale riuscì a spezzare la corda che lo legava e si allontanò.
Nessuno lo vide più. Solo la sera, per un po' di tempo si sentirono dei gemiti lugubri simili a quelli di un lupo, poi più nulla.
Così Bortolo finì col restare ancora più solo, non aveva neanche il cane da prendere a calci. Ne fecero le spese quelle poche pignatte che aveva in casa, o gli sgabelli o le povere mucche. A volte qualcuno aveva pietà di lui e cercava di avvicinarlo, ma in cambio riceveva solo sgarberie.
E Bortolo restò sempre più solo.. Perfino i gatti, quando lo incontravano, sgattaiolavano via rapidi per paura di qualche calcio o di qualche sassata. A nulla servivano i rimproveri degli altri pastori. Bortolo infieriva peggio di prima, e le povere bestie erano ormai ridotte pelle e ossa.
"Povere bestie, cosa ti hanno fatto di male, Bortolo?" Gli chiedeva ogni tanto qualcuno.
"Non sono forse bestie? E allora faccio quello che mi pare". Ribatteva sogghignando torvo.
Ma un giorno" en fulet" (un folletto), amico degli animali, prese le sembianze di un caprone, si sdraiò davanti alla porta della stalla impedendo al pastore di entrare.
Questi, infuriato come al solito, si armò di bastone e giù botte !! Ma come per incanto il caprone svanì nel nulla e si trasformò in un vortice freddo e impetuoso, sollevò da terra Bortolo e incominciò a sbatterlo qua e là, in una folle corsa senza fine, sull'orlo dei crepacci del monte Cristallo e della cima che da questa vicenda prese il nome la cima degli Spiriti.


Leggenda della provincia di Sondrio

 
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Strane avventure

Post n°1228 pubblicato il 17 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Tre fratellini di Barletta una volta, camminando per la campagna, trovarono una strada liscia liscia e tutta marrone.
"Che sarà" disse il primo.
"Legno non è," disse il secondo.
"Non è carbone," disse il terzo.
Per saperne di più si inginocchiarono tutti e tre e diedero una leccatina.
Era cioccolato, era una strada di cioccolato. Cominciarono a mangiarne un pezzetto, poi un altro pezzetto, venne la sera e i tre fratellini erano ancora li' che mangiavano la strada di cioccolato, fin che non ce ne fu più neanche un quadratino. Non c'era più ne' il cioccolato ne' la strada.
"Dove siamo?" domandò il primo.
"Non siamo a Bari," disse il secondo.
"Non siamo a Molfetta," disse il terzo.
Non sapevano proprio come fare. Per fortuna ecco arrivare dai campi un contadino con il suo carretto.
"Vi porto a casa io," disse il contadino. E li portò fino a Barletta, fin sulla porta di casa. Nello smontare dal carretto si accorsero che era fatto tutto di biscotto. Senza dire ne' uno ne' due cominciarono a mangiarselo, e non lasciarono ne' le ruote ne' le stanghe.
Tre fratellini così fortunati, a Barletta, non c'erano mai stati prima e chissa' quando ci saranno un'altra volta.



Il signor Fallaninna

Il signor Fallaninna era molto delicato, ma tanto delicato che se un millepiedi camminava sul muro lui non poteva dormire per il rumore, e se una formica lasciava cadere un granellino di zucchero balzava in piedi spaventato e gridava:
- Aiuto, il terremoto.
Naturalmente non poteva soffrire i bambini, i temporali e le motociclette, ma più di tutto gli dava fastidio la polvere sotto i piedi, perciò non camminava mai neanche in casa, ma si faceva portare in braccio da un servitore molto robusto. Questo servitore si chiamava Guglielmo e dalla mattina alla sera il signor Fallaninna lo copriva di strilli:
-Piano, Guglielmo, fa ben pianino, se no mi rompo.
A non camminare mai diventava sempre più grasso, e più diventava grasso più diventava delicato. Perfino i calli sulle mani di Guglielmo gli davano noia.
- Ma Guglielmo, quante volte ti devo dire che per portarmi devi mettere i guantini.
Guglielmo sbuffava e si infilava a fatica certi guantoni che sarebbero andati larghi a un ippopotamo.
Ma il signor Fallaninna era ogni giorno più pesante e il povero Guglielmo sudava d’inverno come d’estate, e una volta gli venne in mente:
- Che cosa succederebbe se buttassi giù il signor Fallaninna dal balcone?
Successe che proprio quel giorno il signor Fallaninna si era messo un vestito di lino bianco e quando Guglielmo lo buttò giù dal balcone cadde su una cacchettina di mosca e si fece una macchiolina sui calzoni. Per vederla ci voleva la lente, ma Fallaninna era tanto delicato che morì dal dispiacere.


 
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Chi non sgrana in compagnia...

Post n°1227 pubblicato il 17 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Pensavate che Isaia Martellacci,dopo il fallimento del pet shop,avesse messo la testa a posto?Beh,sbagliavate!
Il nostro ci ha rifatto.
Stavolta,in società col suocero Zibidè,Bradamante Trogoloni e Domitila Lugubrescu ved,Mortulescu ha aperto un ristorante multietnico,dove alla cucina nostrana si affiancano specialità transiilvane e burundesi.
L'idea era buona,ma poteva funzionare,visti gli elementi?
Se volete saperne di più,continuate a leggere
LUNEDI'-Il critico lettterario Dagoberto Pampalughi,innamorato da tempo di Pandora Strombazzoni-Bon,ha pensato bene di portarla al ristorante multietnico e lì dichiararle il suo amore.
Disgraziatamente a cucinare stasera toccava alla Lugubrescu,che,da buona transilvana,ficca l'aglio ovunque,anche nei tiramisù.
A causa dell'alito fetente del Pampalughi,la Pandora è svenuta.
MARTEDI'- Stasera toccava a Zibidè.
La famosa critica gastronomica Zenaide Frittimpiè era presente insieme al marito e i due hanno mangiato tutto facendo anche il bis e sperticandosi in lodi al cuoco.
L'asino è cascato quando la Zenaide,collezionista di ricette di cucina, ha voluto parlare con Zibidè per sapere che avevano mangiato (il menu èscritto in lingua originale)
Ha così scoperto di aver mangiato zuppa di ragni giganti,fondoschiena di scimmia piangina arrosto e frittelle di lombrichi.
C'è da meravigliarsi se i Frittimpiè sono stati colti da malore?
MERCOLEDI'- La Marianna ha portato a cena il sindaco di S.Giosuè,Terenzio Battichiodo.
La Bradamante ha cucinato spaghetti al gorgonzola,pollo ripieno al gorgonzola,torta di mele ripiena al gorgonzola.
Il Battichiodo,manco a dirlo, è allergico ed è finito all'ospedale.
GIOVEDI'-Al ristorante sono arrivati i coniugi giapponesi Nakakata con figli,generi,nuore e nipoti.
Ai 60 giapponesi la Lugubrescu ha servito il famigerato e piccantissimo spuntino del vampiro.
I 60 hanno fatto un tuffo collettivo nella fontana,entrando nel Guinness.
VENERDI'- La duchessa Clodovea de Stronfionibus,famosa attivista mondiale per la salvaguardia delle formiche nane, ha cenato al ristorante.
Zibidè le ha servito zuppa di formiche nane,arrosto di formiche nane,budino di formiche nane.
La Clodovea ha avuto una crisi isterica.
SABATO- Ireneo ha invitato a cena l'Orapronobis e la Bradamante ha messo in tavola il pastone del porco.
Solo la lavanda gastrica ha evitato il peggio
DOMENICA-Isaia e soci hanno deciso di chiudere i battenti per lo scarso volume d'affari.
Non vi dico la gioia dei paesani
Sono passate tre settimane.
La Pandora è diventata allergica all'aglio e al Pampalughi,che per la delusione è partito per il Tibet,deciso a farsi monaco buddista.
I Frittimpiè sono alla Luminaris:credono di essere l'Uomo Ragno e signora e non capiscono perchè non riescono a scalare i muri.
Il Battichiodo ha denunciato la Marianna per tentato omicidio.
I Nakakata hanno ingaggiato un killer della mafia giapponese per togliere dal mondo la Lugubrescu.
La Clodovea invece ha messo una taglia sulla testa di Zibidè.
L'Orapronobis invece sta cercando di mettersi in contatto con Bin Laden perchè gli uccida Ireneo.
Il pretone,molto saggiamente,è sparito dalla circolazione.
Isaia e soci hanno aperto il loro ristorante in Burundi e fanno soldi a palate.
Tutti si augurano che ci restino
Unendomi ai loro auspici passo e chiudo




 
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Mesotelioma:leggere per capire

Post n°1226 pubblicato il 17 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Cos'è il mesotelioma

Il mesotelio è un tessuto che riveste, come una sottile pellicola, la parete interna di torace e addome e lo spazio intorno al cuore.
Questa membrana riveste anche la maggior parte degli organi interni e li protegge grazie alla produzione di un particolare liquido lubrificante che ne facilita i movimenti.

Il mesotelio assume diversi nomi a seconda dell’area che riveste: si chiama pleura nel torace, peritoneo nell’addome e pericardio nello spazio attorno al cuore.

Il tumore che nasce dalle cellule del mesotelio (cellule mesoteliali) viene definito mesotelioma e può avere origine in 4 zone del corpo: nel torace, nell’addome e, molto raramente, nella cavità attorno al cuore e nella membrana che riveste i testicoli.

Dal mesotelio possono avere origine anche tumori benigni (tumori adenomatoidi, mesotelioma cistico benigno eccetera) che in genere vengono rimossi chirurgicamente e non richiedono ulteriori trattamenti.


Quanto è diffuso

Diffusione in Italia del mesotelioma

Il mesotelioma maligno è un tumore raro che colpisce più frequentemente gli uomini e in Italia rappresenta lo 0,4% di tutti i tumori diagnosticati nell’uomo e lo 0,2% di quelli diagnosticati nelle donne. Ciò equivale a dire che si verificano 3,4 casi di mesotelioma ogni 100.000 uomini e 1,1 ogni 100.000 donne.

Nelle diverse regioni italiane si osservano enormi differenze nel numero di casi di mesotelioma dal momento che questo tumore è associato soprattutto all’esposizione all’amianto: in provincia di Alessandria, dove era presente un’importante industria per la produzione di materiali con amianto, si parla per esempio di 16 casi su 100.000 per gli uomini e 13 casi su 100.000 per le donne.

Il mesotelioma è raro prima dei 50 anni e presenta un picco massimo attorno ai 70; la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi si ferma poco al di sotto del 20 per cento nella fascia di età compresa tra i 45 e i 54 anni e diminuisce progressivamente con l’aumentare dell’età. Dai dati più recenti sembra che questo tumore nelle donne italiane sia in lieve ma costante aumento.


Chi è a rischio

Il principale fattore di rischio nel mesotelioma è l’esposizione all’amianto: la maggior parte di questi tumori riguarda infatti persone che sono entrate in contatto con tale sostanza sul posto di lavoro.

Il termine amianto indica una famiglia di minerali piuttosto comuni in natura, con una struttura fibrosa molto resistente al calore. L’amianto è pericoloso per la salute poiché le fibre che lo compongono, oltre mille volte più sottili di un capello umano, possono essere inalate e danneggiare le cellule mesoteliali provocando in alcuni casi il cancro.

Se si depositano nei polmoni, queste piccole fibre possono dare origine ad altre malattie come, per esempio, l’asbestosi (sorta di cicatrici nel tessuto polmonare che impediscono la corretta espansione dell’organo) o il tumore polmonare. È importante ricordare che possono passare anche più di 20 anni tra la prima esposizione all’amianto e l’insorgenza del mesotelioma e che il rischio non diminuisce una volta eliminata completamente l’esposizione, ma rimane costante per tutta la vita.

Non esiste una soglia oltre la quale si può essere certi della pericolosità dell’amianto: in teoria anche una sola fibra può provocare il cancro, ma i rischi aumentano con l’aumentare dell’esposizione sia in termini di tempo sia di quantità e sono quindi molto elevati nelle persone che hanno lavorato in fabbriche per la produzione o la lavorazione di oggetti contenenti amianto. Anche i familiari di questi lavoratori sono a rischio, dal momento che le fibre di amianto si possono attaccare ai vestiti e arrivare dal posto di lavoro fino a casa.

Altri fattori di rischio meno comuni per il mesotelioma sono l’esposizione agli zeoliti (minerali con caratteristiche chimiche simili a quelle dell’amianto), le radiazioni a torace e addome o le iniezioni di diossido di torio (utilizzato in medicina fino al 1950) e, secondo alcuni studi, anche l’infezione da virus SV40.


Tipologie

A seconda del distretto corporeo nei quali hanno origine, i mesoteliomi si suddividono in:

Mesotelioma pleurico: nasce nella cavità toracica e rappresenta la tipologia più diffusa (circa 3 casi su 4);

Mesotelioma peritoneale: nasce nell’addome e rappresenta la quasi totalià dei mesoteliomi rimasti escludendo quelli pleurici;

Mesotelioma pericardico: nasce nella cavità attorno al cuore ed è estremamente raro;

Mesotelioma della tunica vaginale: nasce dalla membrana che riveste i testicoli ed è molto raro.

Se invece si prende in considerazione il tipo di cellula maligna presente nel tumore, si distinguono tre tipi di mesotelioma:

Epitelioide: il più comune (60-70% dei casi) e quello che tende ad avere una migliore prognosi;

Sarcomatoide (o fibroso): rappresenta dal 10 al 20% dei mesoteliomi;

Misto (o bifasico): con aree epitelioidi e aree sarcomatoidi, rappresenta dal 30 al 40% dei mesoteliomi.


Sintomi

I sintomi del mesotelioma sono inizialmente molto poco specifici e spesso vengono ignorati o interpretati come segni di altre malattie più comuni e meno gravi.

I segni precoci del mesotelioma pleurico possono includere dolore nella parte bassa della schiena o a un lato del torace, fiato corto, tosse, febbre, stanchezza, perdita di peso, difficoltà a deglutire, debolezza muscolare.

Dolore addominale, perdita di peso, nausea e vomito sono invece sintomi più comuni in caso di mesotelioma peritoneale.


Prevenzione

Il modo migliore per prevenire il mesotelioma è evitare o comunque limitare al massimo l’esposizione all’amianto: le nuove leggi obbligano a verificare la presenza di amianto negli edifici pubblici come per esempio le scuole, ma anche nelle vecchie case possono essere presenti tracce di questo materiale.

È importante in questi casi contattare dei tecnici specializzati che provvederanno a controllare i materiali di fabbricazione e a rimuovere le parti non a norma. Affidarsi alla rimozione “fai da te” è una scelta da evitare assolutamente, dal momento che con un lavoro svolto male si corre il rischio di contaminare anche altre zone della casa e di inalare fibre pericolose.


Diagnosi

Il mesotelioma è una patologia piuttosto rara e per questo motivo non sono previsti screening per la diagnosi precoce in persone non a rischio.

Nel caso di persone esposte all’amianto per periodi più o meno lunghi, alcuni medici consigliano degli esami periodici (raggi x o tomografia computerizzata) per tenere sotto controllo nel tempo eventuali cambiamenti nella struttura del polmoni che potrebbero indicare la presenza di mesotelioma o tumore polmonare. Tuttavia non è ancora chiaro se questa strategia possa portare a una diagnosi precoce.

Il primo passo verso una corretta diagnosi resta comunque la visita dal proprio medico di base o da uno specialista che porrà domande sulla storia clinica per determinare una eventuale esposizione all’amianto e valuterà la presenza di liquidi nell’addome o nella cavità attorno al cuore.
In caso di sospetto mesotelioma si procede poi con alcuni esami più specifici:

Radiografia del torace: può mostrare anomalie nel mesotelio della cavità toracica, detto pleura (modificazioni dello spessore o presenza di depositi di calcio), o nei polmoni.

Tomografia del torace (TC): permette di determinare la presenza del tumore, la sua posizione esatta e la sua eventuale diffusione ad altri organi, aiutando anche il chirurgo a definire il tipo di intervento più adatto. Recentemente è stata messa a punto la cosiddetta TC spirale, che rispetto a quella tradizionale è più veloce e permette di ottenere immagini più dettagliate.

PET: permette di identificare le cellule che stanno crescendo più velocemente e che corrispondono alle cellule tumorali. Le immagini ottenute non sono dettagliate come quelle della TC ma possono aiutare i medici a capire se le anomalie del mesotelio sono realmente tumori o lesioni di altro genere e se il tumore si è diffuso ai linfonodi o ad altre parti del corpo. Oggi esistono strumenti in grado di effettuare in un’unica seduta sia TC sia PET.

Risonanza magnetica: permette di ottenere immagini dettagliate dei tessuti molli del corpo, come la TC, ma senza utilizzare raggi X. In caso di mesotelioma può essere utile per valutare la salute del diaframma, la sottile membrana muscolare al di sotto dei polmoni, indispensabile per la respirazione.

Biopsia: è lo strumento più efficace per confermare il sospetto di mesotelioma. In alcuni casi con un ago lungo e sottile vengono prelevati campioni di liquido presenti nel torace (toracentesi), nell’addome (paracentesi) o nella cavità attorno al cuore (pericardiocentesi) e si verifica al microscopio la presenza di cellule tumorali. In altri casi, invece, è necessario prelevare piccole porzioni di tessuto mesoteliale con un ago sottile inserito sottopelle o con l’inserimento di una sonda dotata di videocamera attraverso un piccolo taglio nella pelle: in questo modo il medico può vedere le aree sospette e prelevare i campioni che vengono poi analizzati al microscopio. Per distinguere con certezza il mesotelioma da altri tipi di tumore, i campioni prelevati con la biopsia possono essere sottoposti ad analisi immunoistochimiche (per vedere le proteine presenti sulla superficie della cellula) o genetiche (per individuare l’espressione di geni tipica del mesoelioma). -esami del sangue: non sono in genere utilizzati per arrivare a una diagnosi, ma possono essere utili per confermarne una ottenuta con altre tecniche o per seguire l’andamento della malattia durante e dopo il trattamento. Si misurano in particolare i livelli di osteopontina e SMRP, molecole presenti in dosi più elevate in caso di mesotelioma


Evoluzione

Determinare lo stadio del tumore, ovvero quanto la malattia è estesa, è essenziale per decidere il tipo di terapia. Per il mesotelioma vengono individuati 4 stadi sulla base dei criteri TNM che tengono conto della grandezza del tumore (T), dell’eventuale coinvolgimento dei linfonodi (N) e delle metastasi (M).

Come per la maggior parte dei tumori, anche per il mesotelioma minore è lo stadio maggiori sono le probabilità di buona riuscita del trattamento, anche se spesso la diagnosi di questo tumore arriva quando la malattia ha già superato gli stadi iniziali e risulta difficile da trattare.


Come si cura

La scelta del tipo di trattamento più adatto per un tumore, incluso il mesotelioma, è in genere complessa e dipende da molteplici fattori come, per esempio, lo stadio della malattia, le regioni del corpo interessate, la presenza di metastasi e le condizioni di salute generali della persona.
Nel caso del mesotelioma la decisione è resa ancora più difficile dal fatto che si tratta di un tumore raro e quindi non è semplice per i medici confrontare l’efficacia dei diversi trattamenti o avere l’esperienza necessaria per compiere la scelta giusta.

Ecco perché è necessario rivolgersi a centri specializzati nel suo trattamento.

Nella decisione del trattamento tipo di cura viene innanzitutto valutata la possibilità di intervenire chirurgicamente: un tumore “resecabile”, cioè che può essere asportato con la chirurgia, ha infatti più probabilità di essere curato rispetto a uno non operabile. In linea di massima i mesoteliomi di stadio I, II e III sono operabili, ma possibilità di essere rimosso non dipende solo dalle dimensioni del tumore, ma anche dal sottotipo, dalla sua posizione e dalle condizioni del paziente.

Una volta effettuati tutti gli accertamenti necessari, i medici hanno a disposizione diverse opzioni per il trattamento del mesotelioma: chirurgia, radioterapia e chemioterapia.

La chirurgia può avere uno scopo curativo o palliativo. Nel primo caso l’intervento è mirato a rimuovere completamente il tumore che deve essere ben localizzato, mentre nel caso della chirurgia palliativa il tumore è già diffuso e lo scopo principale è quello di prevenire o ridurre i sintomi.
Esistono anche altri trattamenti, meno invasivi dell’intervento chirurgico vero e proprio, che possono essere utilizzati a scopo palliativo: la rimozione di liquido mediante un ago lungo e sottile dalla cavità toracica (toracentesi), addominale (paracentesi) o attorno al cuore (pericardiocentesi) è in grado per esempio di dare sollievo, ma ha il difetto di dover essere ripetuta periodicamente, dal momento che il liquido tende a riformarsi.

In alcuni casi si opta per la radioterapia, che può essere utile per le persone che, per diversi motivi, non possono essere sottoposte a intervento chirurgico o può avere uno scopo palliativo. Questo tipo di terapia può essere usata anche dopo la chirurgia (radioterapia adiuvante) per distruggere i piccoli gruppi di cellule tumorali non visibili e quindi non asportabili nel corso dell’operazione.

La chemioterapia per il mesotelioma si basa sull’uso di un singolo farmaco o di combinazioni di più farmaci e può contribuire a rallentare la progressione della malattia anche se difficilmente riesce a curarla in modo definitivo.
Il farmaco può essere somministrato per via sistemica, ovvero con una iniezione intravenosa che lo porta in tutto l’organismo, oppure direttamente nella cavità toracica (per via intrapleurica) o addominale (per via intraperitoneale). Questa somministrazione localizzata permette di colpire il tumore con dosi più alte di chemioterapico, che a volte viene riscaldato per aumentarne l’efficacia chemioterapia ipertermica, limitando gli effetti collaterali al resto dell’organismo.
Se la chemioterapia è effettuata prima dell’intervento chirurgico per ridurre la massa e facilitarne la rimozione si parla di chemioterapia neoadiuvante, se invece la somministrazione del farmaco avviene dopo l’operazione si parla di chemioterapia adiuvante, che ha in genere lo scopo di rimuovere le cellule tumorali non visibili a occhio nudo e di migliorare quindi gli esiti dell’intervento



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L'amianto a Casale Monferrato:una storia da sapere!

Post n°1225 pubblicato il 17 Novembre 2011 da odette.teresa1958

A Casale la maledizione dell'amianto: ne ha uccisi moltissimi per ottant'anni

Neanche l’ultima guida del Touring ne parla, ma a Casale Monferrato, accanto al Castello, al Duomo, alla Sinagoga, al palazzo Anna d’Alençon c’è un monumento di archeologia industriale che una citazione la meriterebbe, eccome: le vestigia di una fabbrica che per ottant’anni, dal 1906 al 1986, anche se fuori Casale pochi ne hanno scritto e parlato, ha drammaticamente segnato la storia della città. È ciò che rimane dell’«Eternit», la fabbrica del noto, omonimo prodotto per l’edilizia.

L’«Eternit» a Casale ha lasciato di sé un pessimo ricordo. Ciò che essa produceva era un composto di cemento e di amianto che sarebbe stato innocuo, anzi benefico, se non avesse contenuto appunto l’amianto, che, oltre ad essere uno dei più pericolosi agenti cancerogeni che si conoscano, è causa di altre gravi malattie professionali, asbestosi compresa, soprattutto alle vie respiratorie. Con l’amianto hanno dovuto fare i conti non solo i lavoratori, dagli operai agli impiegati ai dirigenti dell’«Eternit», ma tutta la città. Sono infatti morti di tumori al polmone, e più in generale di affezioni indotte dall’amianto, non solo dipendenti dello stabilimento, ma anche, e forse soprattutto, persone che all’«Eternit» non hanno mai lavorato. Mentre l’asbestosi e i tumori al polmone e alla laringe hanno colpito quasi esclusivamente i lavoratori «Eternit», i casi di morte per mesotelioma pleurico, un tumore specificamente causato dall’amianto, hanno riguardato per i due terzi del totale persone che non hanno mai avuto rapporti professionali con la fabbrica.

Ma che cos’è l’amianto? È un minerale suddiviso in varie sottospecie di silicato di magnesio che si presenta in forme filamentose. Se viene a contatto con le vie respiratorie provoca quasi sempre gravi malattie broncopolmonari e in particolare una gravissima forma di tumore, il mesotelioma pleurico, che, oltre ad essere inguaribile è anche difficilmente curabile, al punto che porta rapidamente a morte per soffocamento. Le malattie da amianto poi hanno un lunghissimo periodo di latenza e manifestano i loro tragici effetti anche dopo decine di anni.

Perché a Casale patologie amiantifere hanno colpito anche non lavoratori dell’«Eternit»? Perché, per varie ragioni, l’amianto si è diffuso in tutta la città. Ad esempio: l’amianto, tutto di importazione, veniva trasportato dalla stazione ferroviaria alla fabbrica dapprima con un trenino e successivamente con autocarri, l’uno e gli altri con cassoni scoperti, che percorrevano la parte nord-occidentale della città. Il carico e lo scarico dell’amianto avveniva all’aperto, si diffondeva nell’aria e veniva a contatto con l’apparato respiratorio anche di persone non direttamente impegnate nello stabilimento. Inoltre, i residui del minerale contenuti negli abiti di lavoro dei dipendenti contagiavano anche i loro familiari.

Chiarisce il prof. Leonardo Santi, direttore scientifico dell’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Genova: «Le fibre di amianto lunghe e tortuose sono le meno dannose, mentre veramente pericolose sono quelle piccole e lanceolate. Penetrano nei polmoni provocando una fibrosi, poi arrivano alla pleura, generando una neoplasia, il mesotelioma pleurico appunto, che non lascia speranze».

Bruno Pesce prima, e successivamente Nicola Pondrano, entrambi segretari della Camera del lavoro di Casale e componenti il Comitato vertenza Amianto (cui aderisce anche l’Associazione vittime dell’amianto) e con loro molti altri sindacalisti non solo della Cgil, si sono impegnati allo stremo per liberare i lavoratori dell’«Eternit» e l’intera città di Casale dai pericoli dell’amianto. I loro appassionati interventi verso il mondo scientifico e politico hanno condotto nel 1986 alla chiusura dell’azienda e, nel 1992, alla legge che non solo ha vietato il totale impiego, l’importazione e l’esportazione dell’amianto, ma ha anche dettato norme per la decontaminazione dei siti inquinati.

Sarebbe però illusorio pensare che il problema amianto sia definitivamente risolto. La dottoressa Daniela De Giovanni, oncologa all’ospedale di Casale, allunga lo sguardo: «Il problema vero di Casale oggi». sostiene, «è rappresentato dai manufatti di cemento amianto. Nei prossimi anni il loro deterioramento e gli interventi di bonifica spontanea, prevedibilmente inadeguati, provocheranno una spaventosa dispersione di fibre d’amianto. Ciò causerà nei decenni venturi un aumento dei casi di mesotelioma tra il 30 e il 40 per cento. Purtroppo i casi di mesotelioma crescono tra le persone in età tra i 30 i 40 anni che furono esposte all’amianto da ragazzini, quando il sistema immunitario era meno in grado di fornire difese».

Come è noto, una delle ragioni per le quali la gente della Valle di Susa si oppone alla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità, o ad alta capacità (Tav o Tac, a seconda delle convenienze di chi le sostiene) e del nuovo tunnel del Frejus, è che gli scavi che si effettueranno per realizzare le due opere emetteranno enormi quantità di rocce contenenti uranio e amianto. Le fibre di quest’ultimo, se immesse nell’atmosfera per effetto degli scavi, produrranno gravi danni alla salute pubblica. Basta riflettere sul caso di Casale Monferrato per convincersi che i valsusini hanno ragioni da vendere. Il rischio per la Tav o la Tac è, come accade all’«Eternit», di vedersi recapitare una valanga di citazioni in giudizio con richieste di indennizzi per le morti da amianto.

E a Casale, intanto, le tristi aspettative della dottoressa De Giovanni hanno trovato una conferma qualche giorno fa. Il mesotelioma pleurico, il "killer" dell’amianto, ha ucciso un uomo di 66 anni, vicedirettore di banca in pensione, che non solo non ha mai avuto niente a che fare con l’«Eternit», né per lavoro né per vicinanza residenziale alla fabbrica, ma che da giovane abitava addirittura a Popolo. Una frazione di Casale distante due chilometri dal capoluogo.

 
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Non t'amo come se fossi rosa di sale (Neruda)

Post n°1224 pubblicato il 17 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Non t'amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t'amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, entro l'ombra e l'anima.
T'amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sè, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.
T'amo senza sapere come, nè quando nè da dove,
t'amo direttamente senza problemi nè orgoglio:
così ti amo perchè non so amare altrimenti
che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.

 
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Libri dimenticati:L'ultimo padrino

Post n°1223 pubblicato il 17 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Ultimo libro di Mario Puzo,parla di Cross Di Lena,erede di una grande famiglia mafiosa,e del suo conflitto quasi mortale con il cugino Dante.Personaggi indimenticabili,sullo sfondo di Hollywood e Las Vegas

 
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Frase del giorno

Post n°1222 pubblicato il 17 Novembre 2011 da odette.teresa1958

Prima di guardare il bruscolo nell'occhio di tuo fratello,guarda la trave che hai nel tuo (GesùCristo)

 
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