Messaggi del 10/12/2011

Gli zozzoni ruspanti

Post n°1370 pubblicato il 10 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

No,lettori miei,non parlo di un gruppo folk o qualcosa di simile (credetemi,sarebbe assai meglio!) ma del titolo che quel caposcarico di Isaia Martellacci ha dato al calendario che ha visti ritratti senza veli 12 dei nostri paesani,senza dubbio caposcarichi quanto lui!
La preparazione del capolavoro è durata ben tre mesi,e gli ostacoli sono stati molteplici.Per comodità li elencherò mese per mese,così conoscerete pure gli scellerati protagonisti di questa cronaca.
GENNAIO- Asmodeo Cuccurullo doveva posare languidamente sdraiato su una moto (quella del Libertario,nda).Beh,l'ha messa in moto con l'alluce (non chiedetemi come)e il mezzo si è spatagnato contro il cancello del cimitero,disintegrandosi.Libertario è stato colto da malore.
FEBBRAIO- Geppo aveva scelto di essere immortalato circondato dai suoi 15 cani.Dispettoso come pochi,Cagliostro è zompato in mezzo al branco,dando vita a una rissa felino-canina.Geppo è vivo per miracolo
MARZO- L'Astorre se ne stava in groppa a Cesarone che,accecato dal falsh,ha dato vita a un estemporaneo rodeo.Il Trogoloni è vivo grazie a un mucchio di letame su cui è atterrato.
APRILE- Lo Sgozzaloca ha voluto posare in piedi su un'altalena.
Per il peso il ramo a cui era fissato ha ceduto e Isaia è stato travolto.
MAGGIO- L'Anarchico si è fatto ritrarre mollemente disteso su un tappeto di petali di rose,innaffiato di Pisch du Chat n5.
Gli è venuta un'orticaria da Guinness
GIUGNO- Virgilio Scozzagalli si è fatto ritrarre mente faceva il bagno di mezzanotte nella fontana,ti po sirenetto (per favore non vomitate!)Inghiottito un pesce rosso,ha rischiato la morte per soffocamento
LUGLIO- Geremia si è fatto immortalare dentro una bara.
Non si sa come,il coperchio si è chiuso e ci son volute tre ore per liberarlo.
AGOSTO- Caino Trogolini si è fatto ritrarre nudo appeso a una liana (leggi:filo dei panni) come un Tarzan ruspante.
E' finito a testa ingiù nella concimaia di Teobaldo.
SETTEMBRE- Be'erino si è messo in mostra a mollo in una botte di vino.Manco a dirlo l'ha prosciugata ed è finito nel mondo dei sogni per 72 ore
OTTOBRE- Berengario stava in cima a un monte di castagne.
Isaia ne ha presa una,ha provocato il crollo delle castagne e Berengario è finito travolto.
NOVEMBRE- Ritratto mentre sollevava pesi,Teseo Scozzagalli,colto da singhiozzo fulminante, ha mollato l'attrezzo ,che gli è finito sui piedi.
Le urla hanno spaventato pistoiesi,pratesi e fiorentini.
DICEMBRE-Vestito solo del berretto e della barba posticcia di Babbo Natale,Melchiorre ha posato sul tetto di casa.
Scivolato.è caduto ed è finito sui fichi d'India dello Scannafù,Solo dal posteriore gli hanno estratto 14.543 spine
Una settimana fa il calendario è arrivato in tutte le edicole della Toscana.
La reazione di madri,mogli,sorelle e fidanzate,ovviamente all'oscuro di tutto,non si è fatta attendere.
La Cleopatra ha tentato di uccidere il figlio a forchettate e Cuccurullo per la vergogna ha chiesto asilo agli orsi marsicani.
La Marianna ha chiesto la separazione.
I Trogoloni vivono barricati sul campanile.
La madre dello Sgozzaloca ha ingaggiato un mago brasiliano perchè faccia il vudù al figlio e la liberi da un essere simile.
L'Anarchico è rintanato nel porcile.La moglie lo aspetta pazientemente,armata di kalashnikov e mattarello.
L'Elvira, disconosciuti marito,figlio e suocero è partita per Tukambakabalo.
La Fidalma e i figli sono irreperibili.
Pippipù si è fatta venire la colica dal ridere.
Berengario e Isaia hanno trovato rifugio in Burundi.
La Carolina e i figli han fatto richiesta di cambiare identità come i pentiti.
Compiuto il mio dovere di cronista,passo,chiudo,vi saluto e vado a comprarmi il calendario di Pamela Anderson.Almeno mi rifaccio gli occhi,no?

 
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Ciao Mamma Angela

Post n°1369 pubblicato il 10 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Eri uno scricciolo di donna,fragile e determinatissima.Volevi riportare a casa tuo figlio e per farlo andasti in Calabria,ti incatenasti,sfidasti la ndrangheta nel loro territorio.Riuscisti a farlo tornare,e ricordo ancora la commozione che provai quando lo riabbracciasti.
Te ne sei andata oggi,21 anni dopo,in punta di piedi.
Ciao Mamma Angela,un bacio

 
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Costanza Monti Perticari

Post n°1368 pubblicato il 10 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Costanza, amatissima figlia del poeta, nasce a Roma il 7 giugno 1792 dove vive fino all’età di 5 anni, quando i genitori, costretti a lasciare la città, si trasferiscono prima a Bologna, poi a Milano, a Venezia, in Francia ed infine di nuovo a Milano dopo il 1801. In questi anni tormentati, Costanza trascorre lunghi periodi a Maiano, in Romagna, presso la casa degli zii paterni che continuerà a considerare per tutta la sua vita un rifugio felice e prediletto. Studia a Ferrara, presso il collegio delle Orsoline, lontana dai genitori, con i quali ha talvolta rapporti conflittuali, lamentando il dominio assoluto della madre, donna bellissima ed austera, nei confronti del padre. Proprio per volere dei genitori, pur innamorata del giovane Mustoxidi, un greco amico del padre, sposa nel 1812 il conte Giulio Perticari di Savignano sul Rubicone, uomo di nobile famiglia e valente filologo. I primi anni del matrimonio sono i più felici per la giovane donna che, dotata di cultura e sensibilità poetica, intrattiene numerosi rapporti intellettuali e d’amicizia, frequenta Accademie Letterarie e scrive lei stessa componimenti poetici, tra i quali il più celebre è il poemetto l’Origine della Rosa, largamente apprezzato dal Monti stesso e dagli ambienti letterari del tempo. Grazie a questa spiccata personalità, Costanza diviene un punto di riferimento per la cosiddetta scuola pesarese - romagnola e ciò la porta a frequentare ambienti aperti e vivaci rispetto all’angusto ambito provinciale. Se da un lato l’amore per le lettere rappresenta il vero punto di unione tra lei ed il marito, dall’altro questo suo carattere estroverso dà adito a numerose invidie ed infondate accuse sulla sua condotta morale, che la costringono a lasciare Pesaro. La situazione poi peggiora drasticamente quando il Perticari muore a causa di un tumore al fegato e Costanza viene accusata dai familiari del marito, ormai decisi a congiurare contro di lei, di avere avvelenato il proprio sposo. Cacciata ed umiliata, cade in uno stato di depressione che si aggrava quando il padre, colpito da un ictus, muore nel 1828 dopo lunghe sofferenze. Esclusa anche dal testamento del Monti per volere della madre, Costanza cerca un po’ di quiete presso i cugini in Romagna e dal 1836 si trasferisce a vivere presso il Convento delle Orsoline a Ferrara dove morirà il 7 settembre del 1840 per una malattia al seno, dopo aver trascorso gli ultimi anni fiaccata da continui tormenti fisici e morali.

 
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Antonietta Fagnani Arese

Post n°1367 pubblicato il 10 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Una famiglia stravagante

Antonia Barbara Giulia Faustina Angiola Lucia nasce a Milano il 19 novembre 1778 nella parrocchia di S. Babila, ultimogenita del conte Giacomo Fagnani, marchese di Gerenzano e di Costanza Brusati dei marchesi di Settala (vedi on line i discendenti di Costanza Brusati).

I genitori passeranno nella storia di Milano per essere due personaggi dissoluti ed eccentrici. Appena sposati nel 1767, intrapresero come di consueto il grand tour a Firenze, Roma e Napoli. Ritornati a Milano nel 1769 attirarono l'attenzione pubblica lui per la frenesia che mostrava nel dilapidare le cospicue fortune paterne come giocatore d'azzardo; lei per le sue civetterie e stravaganze nel vestire all'ultima moda, con acconciature monumentali. Alcune pettinature si alzavano quasi di un metro e avevano alla sommità fiori e frutta e tortore svolazzanti, come nel caso del famoso puff di sentimento. Era un tale personaggio che Laurence Sterne la citò nel cap. XXXV del suo Viaggio sentimentale (1768).

Nel 1770 i due ripresero il grand tour per Parigi e Londra. Qui, il 25 agosto 1771 Costanza partorì una bimba, figlia pare di W. Douglas conte di March, anch'egli famoso libertino. La bimba, Mie-Mie, rimarrà a Londra e sposerà nel 1798 il conte di Yarmouth, morendo nel 1856 ricchissima e pure lei votata al libertinaggio a Parigi.

Giacomo Fagnani assunse nel gennaio 1776 con altri due gentiluomini la gestione del ridotto della erigenda Scala, relativamente al gioco d'azzardo che vi si teneva, ma il 1° giugno 1781 dovette essere interdetto per l'avanzato degrado fisico a causa della sifilide. Costanza si mostrò in questo frangente una moglie "comprensiva e devota". C'è una sua ironica descrizione in un "Avviso" di Milano, una sorta di Gazzettino del tempo: "Trovasi alla campagna il cieco mentecatto Fagnani. L'amorosa sua moglie vi si porta a visitarlo regolarmente una volta alla settimana in compagnia del professor antiprolifico (Pietro) Moscati. Vanno ambi vestiti a "la Levite" color carne con fasce celesti, cappelli e scarpe bianche, in un magnifico carrettino con livree e postiglioni che non volgonsi indietro, infine un equipaggio che tutta spira asiatica galanteria". Il Fagnani morì cieco e demente il 7 giugno 1785, a 45 anni. Costanza, convertitasi dopo una vita sregolata, morì a Milano il 24 gennaio 1805, a 58 anni.


Un cuore di cervello

Antonietta Fagnani AreseMarco Arese LuciniAntonietta sposa il 20 febbraio 1798 in S. Maria alla Porta il marchese Marco Arese Lucini, nato a Milano il 9 febbraio 1770 e, ancora giovanissimo, entrato a far parte del collegio milanese di giureconsulti. All'arrivo dei Francesi era stato chiamato da Napoleone a partecipare all'amministrazione centrale del Dipartimento dell'Olona (22 luglio 1797) e in novembre era stato eletto a far parte del Consiglio degli Juniori per il dipartimento della Montagna. Un austero magistrato, quindi, sposa la frivola Antonietta.

Dopo il grand tour d'obbligo, Marco Arese viene nominato nella Consulta di Lione deputato dei notabili per il Dipartimento dell'Olona al posto dell'anziano padre. L'Arese è deciso a battersi per la proporzionalità dei tributi, l'abolizione della libertà di stampa e la restaurazione della religione, interpretando i sentimenti della nuova politica napoleonica. E' un vero conservatore. Viene inviato con incarichi speciali presso Napoleone a Parigi nel 1805 e nel 1811 e nel 1812 è creato barone del Regno.

La moglie Antonietta è considerata una delle figure di maggior spicco della brillante società milanese del Consolato e dell'Impero, venendo ammessa alla corte del vicerè Eugenio e legandosi con un caldo rapporto d'amicizia alla regina d'Olanda Ortensia Beauharnais.

La Fagnani conosceva il francese, l'inglese e il tedesco, tanto che aiutò il Foscolo nella revisione della prima stesura del 1798 delle Ultime lettere di Jacopo Ortis (1802), traducendogli letterariamente I dolori del giovane Werther di Goethe. La sua passione per Ugo Foscolo fu breve ma intensa e si snodò sullo sfondo del palco della Scala F n° 14 del 1° ordine. Ci è noto attraverso le sole lettere del Foscolo e sembra aver avuto inizio nel torrido luglio 1801. A lei l'esuberante poeta dedicò All'amica risanata (vedi testo on line). "La contessa in sul principio sentì l'orgoglio di avere nel proprio dominio quella fiera generosa e indomita", ma si stancò ben presto, suscitando la gelosia del poeta che arrivò a somministrarle una scudisciata quando la colse in atteggiamento inequivocabile con un giovane graduato.

Il 4 marzo 1803 l'avventura amorosa era già conclusa, con uno strascico di malattie veneree di cui i due si palleggiavano la responsabilità del contagio. Foscolo scrisse al Pecchio che Antonietta "aveva il cuore fatto di cervello" e come tale la Fagnani passò alla storia. Ma la sua immagine è in ogni caso molto controversa: Stendhal la definì "femme de génie", Monti la stimava moltissimo, Rovani la immortalò nel cap. XV del suo libro Cent'anni (vedi testo on line):

" La contessa A..., bellissima fra le belle, aveva molto spirito, molto ingegno, molta coltura (parlava quattro lingue); era buona, generosa e affabile; costituiva insomma il complesso rarissimo di egrege qualità; ma tutte parevano sfasciarsi sotto l'uragano di un difetto solo. Ella faceva dell'amore l'unico passatempo; ma un passatempo tumultuoso, fremebondo, irrequieto; né occorre il dire che quell'amore era parente di quello rimasto nudo in Grecia, come disse Foscolo. Ma lo stesso Foscolo si trovò un bel giorno avvolto e impigliato nell'ampia rete che la contessa teneva sempre immersa nella grande peschiera della capitale lombarda.

Il lettore non può immaginarsi quanti belli e cari giovinetti si trovarono a sbatter le pinne convulse in quella rete ognora protesa: giovani cari e belli, e, ciò che fu il danno, senza punto d'esperienza, che pigliando fieramente in sul serio le care lusinghe di quella sirena, ebbero poi a subire disinganni orridi. Ma non solo i giovinetti di prima cottura, non solo i paperi innocenti del ruscelletto, ma frolli don Giovanni e grossi topi veterani del Seveso, dovettero sovente parer novizi al contatto maliardo di quella donna. Colei, lo ripetiamo, non era cattiva, ma nel suo intelletto e nel suo cuore non era mai penetrata l'idea della costanza in amore. Né è a credere che non amasse; amava assai, amava ardentemente; e nei primi istanti che le entrava nel sangue la scintilla incendiaria, ella non aveva pace e si struggeva finché non avesse potuto accostare l'oggetto dei suoi desideri. Ma un amante nelle sue mani non era né più né meno di un cappone messo in sul piatto di un ghiotto. In pochi momenti non rimanevano che le ossa, e la fame chiedeva tosto altro cibo. Ella era tanto bella e cara e seducente, e nel periodo acuto del suo innamoramento faceva provare tali estasi a chi ne era il passeggero oggetto, che questi subiva tosto quella passione acuta che non soffre commensali alla medesima tavola. Ognuno voleva essere il solo possessore di quel caro bene. Ma il caro bene non volendo vincoli di sorta, e dando accademia d'amore, metteva tosto alla porta i pretendenti che ambivano un trono assoluto, ed erano avversissimi alla monarchia mista."

Più psicologico il giudizio di Giuseppe Pecchio, che disse di lei "si fa gioco degli uomini perché li crede nati come i galli per amare, ingelosirsi e azzuffarsi".


Una madre invadente

Marco Arese finse di non accorgersi di questo trambusto sentimentale della moglie. Ebbero cinque figli, dei quali solo tre sopravvissero: Margherita (1798-1828), sposata a C.E. Cotti; Costanza Maria (1803-1822) e Francesco (12.8.1805-1881).

Alla caduta di Napoleone, Marco Arese si ritirò a vita privata. Il Comune di Milano lo mandò quale inviato speciale presso Francesco I d'Austria, ma non entrò mai a far parte del governo cittadino, preferendo appartarsi. Non così fecero, con suo grande disappunto, suo fratello Francesco Teodoro e suo figlio Francesco.

Francesco Teodoro aveva legami d'amicizia con G. Pecchio e F. Confalonieri per cui appoggiò i moti carbonari, pur senza aderire alla società segreta dei Federati. Falliti i moti del 1822, l'Arese venne arrestato e, per seguire il suo personale codice d'onore, preferì confessare la verità piuttosto che negare o mentire, compromettendo ulteriormente il Confalonieri. Passò così tre anni di reclusione allo Spielberg.

Antonietta, anche se era stata ben inserita presso la corte del Regno d'Italia, non si perse d'animo con la Restaurazione, stringendo nuovamente buoni rapporti con la corte austriaca. Suo figlio Francesco rimase inizialmente filo-bonapartista, nonostante l'ostilità della madre, più che determinata a farlo sposare con una damigella austriacante. Antonientta aveva brigato per ottenere un'amnistia per il figlio, concessa a patto che fosse lui stesso a chiederla all'imperatore. Francesco rifiutò con sdegno e Antonietta, "abituata a dirigere tutto e imperiosa" gli tolse i viveri.

Francesco aderì nell'autunno 1831 alla Giovane Italia di Mazzini, promossa a Milano da Luigi Tinelli, l'industriale ceramista di S. Cristoforo sul Naviglio. Alla fine del 1833 si ebbero già i primi arresti per i cospiratori, fra cui Cesare Cantù e nel settembre 1834, quando si riaprirono inchieste e processi, Francesco si arruolò per tre anni nella Legione straniera.

Riparò presso la regina Ortensia, amica della mamma, nel castello di Arenenberg (CH) e qui rinsaldò i legami d'amicizia con Luigi Carlo Napoleone (nato nel 1808), figlio dell'ex re di Olanda, che aveva partecipato nel febbraio 1831 all'insurrezione della Romagna contro lo Stato pontificio. Luigi Carlo si era sentito investito della missione di rappresentare l'idea bona partista dopo la morte del cugino, figlio di Napoleone, nel 1832. Quando Francesco Arese lo raggiunse in Svizzera, Luigi Carlo aveva appena pubblicato le sue Fantasticherie politiche (1833), che esponevano la sua idea di nazionalità e l'obiettivo del miglioramento delle condizioni di vita del popolo, realizzabili con la restaurazione dell'impero.

Francesco Arese seguì Luigi Carlo nel 1836 a New York, dove dal marzo 1835 si trovava F. Confalonieri, graziato in seguito all'incoronazione di Ferdinando I. Non è escluso che Francesco partecipasse al tentativo di rovesciare Luigi Filippo, fatto a Strasburgo il 30 ottobre 1836 e fallito miseramente. Rientrato in Italia dopo l'amnistia concessa il 6 settembre 1838 per l'incoronazione a re del Lombardo-Veneto dell'imperatore Ferdinando, Francesco si piegò finalmente alla ferrea volontà materna e accondiscese a sposare nel 1839 Carolina Fontanelli, figlia del generale Achille, già ministro della guerra nel regime napoleonico, rientrato nell'esercito austriaco.

Gravemente malata, nell'ottobre 1847 Antonietta fu spostata a Genova, dove si spense l'11 dicembre 1847. A suo ricordo rimase il balconcino di casa Arese in corso Venezia e la leggenda del suo fantasma, che si affacciava con in testa il cappello di paglia forse a scrutare i bei giovanotti che si attardavano lungo il corso nelle notti di luna piena.

Marco Arese la seguì il 16 gennaio 1852, Francesco Arese continuerà la sua carriera politica nel governo del Regno dell'Italia unita.

 
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Teresa Guiccioli

Post n°1366 pubblicato il 10 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

È impossibile stabilire con esattezza la sua data di nascita: al tempo dei processi di separazione dal marito risultò utile attribuirle solo 16 anni al momento del matrimonio, sicché i Gamba resero irreperibile il suo atto di battesimo. Tuttavia, basandosi sui dati concernenti i fratelli è possibile collocare la sua data di nascita tra gli ultimi mesi del 1799 e i primi del 1800.

La famiglia, stabilitasi a Ravenna verso la metà del sec. XV, aveva espresso alcuni personaggi distintisi per cariche e cultura. Sia il nonno, Paolo (1744-1827), sia il padre (1770-1846) erano stati coinvolti nei moti giacobini, ricoprendo poi alte cariche napoleoniche e, in seguito, obbligati a lasciare Ravenna per lunghi periodi. Dei due fratelli maschi, Pietro (1800-27), acceso carbonaro, fu intimo di lord Byron e lo segui in Grecia dove mori, mentre Ippolito divenne un importante uomo politico. Ebbe anche cinque sorelle: Faustina, Vittoria, Olimpia, Giulia e Laura.

La prima educazione le fu impartita nel collegio di S. Chiara a Faenza con criteri nuovissimi, che offrivano alle allieve una «educazione forte» simile a quella dei maschi: non è un caso che dalla stessa classe siano uscite due fra le donne più trasgressive del secolo, lei stessa e Marianna Bacinetti di Ravenna, traduttrice di G.W. Schelling e discussa amica del re Luigi I di Baviera. Lasciato il collegio nel 1817, la sua istruzione fu completata sotto la guida del filologo Paolo Costa, che probabilmente contribuì a spingerla verso atteggiamenti di sensiblerie romantica e di ammirazione per i letterati.

Sposata il 7 marzo 1818 al conte Alessandro Guiccioli - ricco libertino ultrasessantenne, due volte vedovo e padre di numerosi figli - trascorse con il marito l’inverno 1818-19 a Venezia, dove Byron, poeta già di gran fama, si trovava da qualche mese, presso palazzo Mocenigo da lui preso in affitto. Egli le fu presentato nel non troppo formale salotto della contessa Marina Querini Benzone: fu un vero colpo di fulmine per entrambi.

Quando il conte Guiccioli lasciò Venezia con la moglie il 7 giugno 1819 per visitare i suoi beni a Isola d’Ariano e poi proseguire per Ravenna, gli amanti si scambiarono lettere ardenti; durante il primo giorno di viaggio ella svenne tre volte e a Ravenna, caduta malata, supplicò il poeta di raggiungerla. Sebbene riluttante, questi lasciò Venezia e giunse a Ravenna il 16 giugno; la trovò gravemente provata, ne fu molto impressionato e fece giungere da

Venezia l’allora famoso medico F. Aglietti. Lei si riprendeva lentamente: Byron arrivò a proporle di fuggire con lui, mentre ella fantasticava su un suicidio simulato alla maniera di Giulietta. Quando col marito partìper Bologna, dove il conte possedeva molti beni (fra cui il palazzo Savioli), Byron - che, sebbene imbarazzato, era entrato in familiarità con il Guiccioli - acconsenti a seguirli prendendo alloggio all’albergo del Pellegrino. Quando il conte dovette poi rientrare d’urgenza a Ravenna e lasciare la moglie non completamente ristabilita a Bologna, affidò a Byron l’incarico di ricondurla a Ravenna.

Invece mossero verso Venezia e presero stanza nella villa Foscarini a La Mira, ove iniziarono una breve convivenza costretti a vita ritiratissima dalla disapprovazione della pur tollerante società veneziana. Verso la fine di ottobre 1819 il Guiccioli si presentò di persona a Venezia. Dopo una vivace spiegazione fra coniugi (il conte era un temperamento violento, e vi era stata persino qualche diceria che avesse ucciso la sua ricchissima prima moglie, Placidia Zinanni),Teresasi piegò a tornare sotto il tetto coniugale. Byron passò un periodo di grande agitazione, programmando lunghi viaggi: stava per partire per !’Inghilterra quando fu fermato da una malattia della figlia naturale Allegra (che aveva allora 5 anni), da lui posta per educazione in un collegio di monache a Bagnacavallo (presso Ravenna), nonché da un attacco di malaria. Fu raggiunto da molte lettere della Guiccioli che lo supplicava di raggiungerla: egli, dopo aver affidato alla sorte la decisione, a Natale era già a Ravenna. Qui fu ospitato nel lussuoso appartamento al pian terreno del palazzo Guiccioli che aveva preso in affitto e vi condusse la sua consueta vita stravagante. Si legò allora di grande amicizia con Pietro, fratello di Teresa, noto per la sua appassionata adesione alle idee liberali; fu lui, insieme con la contessa, ad avvicinarlo alla causa e alla cultura italiane, fino a spingerlo a iscriversi alla carboneria, cui fornì notevoli aiuti in denaro e armi. Insomma divenne inviso al governo, pur essendo intoccabile grazie alla sua qualità di lord inglese.

La Guiccioli nonostante il parere contrario dell’amante, venne ai ferri corti col marito, il quale il 12 luglio 1820 ottenne un rescritto papale che autorizzava la separazione per colpa di lei, con l’obbligo per la contessa di risiedere in convento o sotto il tetto paterno. Ella dapprima si ritirò nella villa Gamba di Filetto, presso Ravenna, dove Byron «rode to see her only once or twice a month». Nel gennaio 1821 però ella era di nuovo a Ravenna, che abbandonò poi definitivamente per sfuggire alle minacce del marito, raggiungendo il padre a Firenze dove - insieme con suo figlio Ippolito, gravemente coinvolti nei moti del 1821 si erano dovuti trasferire.Byron, nella speranza di riuscire a farla tornare, rimase a Ravenna, dove fu raggiunto da P.B. Shelley. Infine, pressato da lei, decise di partire per Pisa, ove frattanto i Gamba si erano trasferiti, prendendo alloggio a palazzo Lanfranchi, di cui gli stessi Gamba occupavano un’altra ala.

Qui . visse con il poeta quasi more uxorio, in grande in intimità con Percy e Mary Shelley, fino al marzo 1822 quando, a causa di una rissa di strada in cui un domestico del Byron pugnalò un ussaro coinvolgendo anche Pietro Gamba, l’intera comitiva preferì allontanarsi, trascorrendo i mesi estivi nella villa Dupuy a Montenero, presso Livorno; lì però, in un’altra baruffa fra servitori, Pietro Gamba fu ferito, e il governo toscano, che ne aveva abbastanza di questi turbolenti forestieri, li obbligò a partire.

Ripararono dunque nella villa Saluzzo ad Albaro, presso Genova: in quel periodo B furono colpiti dalla morte della piccola Allegra il 20 aprile 1822 e, poco dopo, da quella tragica dello Shelley (8 luglio). Nel frattempo il rapporto fra i due aveva cominciato a dare segni di logoramento: il poeta, per il quale quell’amore costituiva il più durevole che la sua incostante affettività gli avesse consentito, aveva incominciato a vagheggiare l’impresa di Grecia, suggestionato dal comitato che si formò a Londra nel 1823. Non ci mise molto a completare dispendiosi preparativi, dei quali Teresa fu informata il più tardi possibile: ella reagì con disperazione e chiese inutilmente di far parte della spedizione.

Byron salpò la mattina del 15 luglio 1823: la notte precedente gli addii erano stati strazianti, e fu l’ultima volta che lo vide, anche se ebbe continue notizie, sia da lui sia, soprattutto, dal fratello Pietro, che fu uno dei componenti del gruppo (riportò lui in Inghilterra le ceneri del Byron).Egli mori il 19 aprile, ed ella ne ebbe notizia a Bologna, dove si trovava con uno dei figliastri che vi si era stabilito per motivi di studio.

Poco prima, sempre nel 1824, aveva ottenuto l’annullamento della sua separazione per colpa e, nel luglio 1826, dopo un breve disastroso esperimento di riconciliazione col marito, ebbe la meglio in un nuovo processo di separazione per incompatibilità, ottenendo una lauta pensione che le permise una vita agiata e la possibilità di viaggiare.

Nel 1826 era a Roma, dove durante il capodanno 1827 incontrò a un ballo in casa Torlonia Alphonse de Lamartine, con cui ebbe una relazione, come poi con alcuni altri, tutti giovanissimi, quali Henry Edward Fox, lord Holland a Napoli e lord Fitzharris Games Howard Harris, successivamente terzo conte di Malmesbury), che portò con sé a Filetto. Nel 1832 decise d’intraprendere il lungamente desiderato pellegrinaggio in Inghilterra, e in primavera visitò la tomba di Byron a Hucknell Torkard. Nel 1840 il conte Guiccioli mori a Venezia, ed ella ebbe con i figliastri una controversia giudiziaria, che si concluse con ulteriori vantaggi economici.

Da tempo aveva conosciuto Hilaire-Octave Rouillé marchese di Boissy, ricchissimo ed eccentrico pari di Francia e senatore, il quale s’innamorò di lei, le fece visita a Filetto, la segui a Firenze e a Roma, e finalmente la sposò il 15 dic. 1847 nella cappella del Lussemburgo a Parigi. La coppia si installò nel grandioso palazzo al n. 95 di rue St.-Lazare, dove la Guiccioli tenne uno dei salotti letterari più frequentati della città. Ella occupò cosi un posto di rilievo nella società parigina sia per il suo spirito, sia per la curiosità suscitata dal suo passato. Adorava la vita mondana, e fino al 1870 soleva comparire ogni sera in qualche salotto, sempre accompagnata da un servo carico di coperte, mantelli, pellicce e cappucci: aveva forse appreso dal Byron l’arte delle stravaganze esibizionistiche. Arrivava a interrompere bruscamente le conversazioni per chiedere musica, e pare che organizzasse sedute spiritiche per evocare l’antico amante.

Rimasta nuovamente vedova nel 1866, si ritirò in una villa acquistata per lei dal Boissy a Settimello di Calenzano presso Firenze, dove mori il 27 marzo 1873.

 
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Fanny Targioni Tozzetti

Post n°1365 pubblicato il 10 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Fanny Ronchivecchi, nata a Firenze nel 1801 (e lì deceduta nel 1889), sposata col medico e botanico Antonio Targioni Tozzetti, ebbe un posto importante nella vita mondana e culturale della città.

Leopardi la incontrò nel maggio 1830, e subito se ne innamorò. Il reale rapporto tra i due non fu degno di nota: più interessata all’amicizia dell’affascinante Antonio Ranieri, Fanny non poté certo corrispondere alla passione di Leopardi (anzi, dopo la morte del poeta, avrebbe anche finto di non aver compreso i suoi reali sentimenti, rivolgendo a Ranieri una domanda sull’identità di Aspasia; domanda alla quale egli rispose in una lettera del 13 gennaio ’38: “Aspasia siete voi, e voi lo sapete, o almeno lo dovreste sapere, o almeno io immaginava che lo sapeste”).
Fanny è infatti eternata col nome di Aspasia nei Canti del periodo fiorentino e napoletano, il cosiddetto “ciclo di Aspasia”, che diede inizio alla “nuova poetica leopardiana” (secondo la definizione di Walter Binni): Consalvo, Il pensiero dominante, Amore e Morte, A se stesso e Aspasia. In particolare nell’ultimo, composto dopo la fine dell’esperienza amorosa, Leopardi ci consegna un ritratto indimenticabile della donna:

Torna dinanzi al mio pensier talora

il tuo sembiante, Aspasia. ...

Quanto adorata, o numi, e quale un giorno

mia delizia ed erinni! E mai non sento

mover profumo di fiorita piaggia,

né di fiori olezzar vie cittadine,

ch’io non ti vegga ancor qual eri il giorno

che ne’ vezzosi appartamenti accolta,

tutti odorati de’ novelli fiori

di primavera, del color vestita

della bruna viola, a me si offerse

l’angelica tua forma, inchino il fianco

sovra nitide pelli, e circonfusa

d’arcana voluttà; quando tu, dotta

allettatrice, fervidi sonanti

baci scoccavi nelle curve labbra

de’ tuoi bambini, il niveo collo intanto

porgendo, e lor di tue cagioni ignari

con la man leggiadrissima stringevi

al seno ascoso e desiato. ...(vv. 1-2, 9-26)

 
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Ho smesso di sorridere (Achmatova)

Post n°1364 pubblicato il 10 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Ho smesso di sorridere,
le labbra sono gelate,
ad una sola speranza
segue più di una canzone.
Senza colpa cederò il canto
al riso e alla profanazione,
ché al colmo del dolore
per l’anima è il silenzio
d’amore.

 
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Libri dimenticati:Il vaso di Pandora

Post n°1363 pubblicato il 10 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

La storia di Fig, una donna fortemente disturbata che decide di vendicarsi dei torti veri e presunti subiti dalle vecchie compagne di liceo.L'alta tensione è garantita

 
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Frase del giorno

Post n°1362 pubblicato il 10 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

I mali che fuggi sono in te (Seneca)

 
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