Messaggi del 25/12/2011

Arnaldo da Brescia

Post n°1471 pubblicato il 25 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Intorno al 1115 il canonico agostiniano Arnaldo da Brescia seguiva le lezioni parigine di Pietro Abelardo, uno di quei teologi continuamente in odore di eresia, in quanto si permetteva di dare una lettura razionalistica della Bibbia, anteponendo la ragione alla fede.

Arnaldo tuttavia, più che un teorico eversivo (non lasciò mai nulla di scritto e, se lo fece, i suoi avversari si preoccuparono di distruggerlo), era un uomo d'azione, un politico per quei tempi assolutamente rivoluzionario, tant'è che molti storici lo considerano un realizzatore radicale di idee patarinico-evangeliche, improntate a temi forti come l'uguaglianza sociale, la libertà di coscienza, la separazione tra Stato e chiesa.

Infatti il suo primo tentativo di riforma lo attuò quando tornò a Brescia nel 1119, dove s'era messo a capo di una comunità di canonici regolari, detta "dei Politici", contro il vescovo Manfredo, colpevole di possedere terre (concesse come regalie dai vari prìncipi e nobili), di interessarsi di vicende politiche (temporalismo della fede) e di praticare usura, invece di limitarsi a vivere di decime e di spontanee oblazioni.

Papa Innocenzo II lo fece espellere dalla città, vietandogli di predicare e nel 1139 il Concilio Lateranense II, dove pur si condannarono talune pratiche sconvenienti del clero, quali l'usura, la partecipazione a giochi e tornei, le forme di ostentazione, nonché l'esercizio della giurisprudenza e della medicina per ricavare profitti, lo giudicò gravemente eretico.

Guardandosi bene dal ritrattare, Arnaldo decise di ritornare in Francia, dove fu a fianco di Abelardo durante il concilio di Sens (1140). Proprio qui conobbe il fondatore dei Cistercensi, Bernardo di Chiaravalle, canonizzato nel 1174: probabilmente il suo peggior nemico, come già lo era dello stesso Abelardo.

Le teorie abelardiane subirono la condanna definitiva, mentre ad Arnaldo venne imposto il silenzio perpetuo entro le mura di un monastero. Invano, a dir il vero, poiché Arnaldo continuerà a predicare in maniera itinerante per la Francia, sostenendo che per riportare la chiesa alla purezza originaria bisognava privarla di ogni bene.

Convinto da san Bernardo, il sovrano francese, Luigi IX il Santo, espulse l'impenitente proto-comunista dal suo regno, il quale però, del tutto indifferente a tali provvedimenti, riprese a Zurigo la sua polemica contro le ricchezze del clero.

Questa volta san Bernardo scrisse direttamente al vescovo di Costanza, invitandolo a incarcerare il dissidente; cosa ch'egli naturalmente avrebbe fatto se Arnaldo, al seguito della legazione del cardinale Guido di Castello, futuro papa Celestino II, non fosse andato, nel 1143, in Boemia e Moravia.

Neanche a dirlo, san Bernardo scrisse al cardinale meravigliandosi alquanto del fatto che concedesse dei favori a un ricercato dalla polizia ecclesiastica di mezza Europa. Per fortuna il cardinale non si fece impressionare dagli ultimatum del "dottor mellifluo" e, anzi, fece in modo che Arnaldo potesse riconciliarsi, nel 1145, col papa Eugenio III, che si limitò a imporgli un soggiorno penitenziale a Roma.

Cosa che però durò poco, in quanto la popolazione urbana, stanca delle malversazioni dei pontefici, esplose proprio sotto Eugenio, costringendo quest'ultimo a rifugiarsi a Viterbo. Paradossalmente, proprio mentre la popolazione si stava orientando all'esproprio di tutte le proprietà ecclesiastiche, Arnaldo sembrava trovarsi dalla parte sbagliata, cioè al seguito di papa Eugenio, il quale, forse convinto da lui, pareva intenzionato a rientrare in città per riconoscere il senato repubblicano, alla condizione però che il suo presidente (il patricius), che aveva sostituito il prefetto, ricevesse un'investitura di tipo ecclesiastico.

Pur apparendo un compromesso onorevole per tutti, i repubblicani più radicali non ne vollero sapere e staccarono la città di Tivoli dall'egemonia di Roma. Le continue tensioni indussero questa volta il pontefice a rifugiarsi in Francia, dove il re si apprestava a esaudire il desiderio della chiesa romana di bandire una seconda crociata anti-islamica, finita poi miseramente nel 1148.

Espatriato il papa, Arnaldo non ci mise molto a riprendere vivacemente a predicare, grazie anche all'aiuto di alcuni seguaci lombardi patarinici, la fine del potere temporale della chiesa, il ritorno alla povertà evangelica, l'inutilità dei sacramenti amministrati da un clero corrotto, il diritto al "libero esame" delle Scritture, alla libera predicazione e addirittura la nascita di un Comune del tutto sganciato dall'autorità pontificia.

Grazie anche alla sua formidabile oratoria, Arnaldo trovò subito ampi consensi non solo tra il partito democratico dei repubblicani e la piccola e media borghesia, ma persino tra il basso clero.

La risposta di Eugenio III non si fece attendere: dopo aver raccolto in Francia ingenti somme di denaro, cominciò a radunare i vassalli più fedeli e molti mercenari, e con l'aiuto del re normanno Ruggero tentò di rientrare con la forza a Roma. I repubblicani però riuscirono a respingere l'attacco e, temendo di non farcela al successivo, chiesero la protezione dell'imperatore Federico Barbarossa, ancora non riconosciuto dal papa.

Molto astutamente anche il pontefice propose a Federico, tradendo la fiducia dei Normanni (che vedevano i Sassoni come rivali), di riconoscerlo subito come imperatore, a condizione che gli liberasse la sede da quei pericolosi repubblicani.

Senza poter ovviamente sapere che questo sarebbe stato l'errore più grande della sua vita, Federico acconsentì a Eugenio, i cui successori, infatti, raggiunto l'obiettivo di riavere Roma sotto di loro, preferiranno allearsi coi liberi Comuni piuttosto che avere i Germanici in casa.

E così il Barbarossa, firmato a Costanza nel 1153 il patto con Eugenio, sulla base del quale prometteva di ripristinare integralmente il potere temporale del papato, si accingeva a entrare a Roma con tutta la sua forza militare.

Prima che vi giungesse si avviarono numerose trattative diplomatiche, nel corso delle quali Eugenio III morì (luglio 1153). Il suo successore, Anastasio IV, sembrava addirittura disposto a riconoscere il libero Comune e non fece assolutamente nulla per ricordare al Barbarossa di onorare gli impegni presi. Senonché morì improvvisamente (è da presumere avvelenato) nel dicembre del 1154.

Questa volta il suo successore, Adriano IV (unico papa di origine inglese), non ebbe alcuna riserva. Dopo aver assistito all'assassinio di un proprio cardinale, rifiutò qualunque intesa coi repubblicani e pretese l'intervento di Federico. Scomunicò inoltre la città, dichiarando che non l'avrebbe tolta finché non gli avessero consegnato Arnaldo da Brescia.

Dopo nove anni di attività rivoluzionaria Arnaldo dovette andarsene, esiliato dallo stesso Senato. Si mise a vagare per la campagna romana, da un castello all'altro, trovando infine ospitalità presso i visconti di Campagnano, che lo consideravano un grande personaggio.

Federico Barbarossa, che intanto era già sceso in Italia per riportare i Comuni all'obbedienza, nel giugno 1155 si trovava in Toscana. Per verificare se era davvero intenzionato a rispettare i patti di Costanza, il pontefice gli chiese di catturare Arnaldo, cosa che puntualmente avvenne.

Consegnatolo ai legati pontifici, Arnaldo fu condannato a morte seduta stante e impiccato dal prefetto di Roma e il suo cadavere fu messo al rogo e le sue ceneri sparse sul Tevere.


 
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Fra Dolcino

Post n°1470 pubblicato il 25 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Secondola Chiesa Cattolica fra Dolcino era, è lo è tuttora, un eretico che, con la legge falsa che predicava, disturbava la fede e la vita pacifica dei sudditi. I suoi seguaci erano dei delinquenti che non esitavano, per la propria sopravvivenza, a saccheggiare e depredare i beni delle popolazioni dove avevano posto i loro quartieri. Chi tentava di opporsi veniva ucciso e la sua casa data alle fiamme.

 

Dalla parte opposta fra Dolcino  viene considerato un riformatore della Chiesa e, soprattutto, un precursore dei principi informatori  della Rivoluzione Francese e dello stesso Socialismo.

 

Al di fuori delle passioni politiche e religiose vediamo qual è stata la storia di fra Dolcino e del movimento degli Apostolici  che, negli anni 1300 - 1307,   ha avuto il suo svolgimento, e tragico epilogo, sui monti della Valsesia e del Biellese.

 

Secondo gli storici gli Apostolici trassero la loro origine dallo stesso movimento francescano andato in crisi dopo la morte (1226) di  S. Francesco  d'Assisi. Il movimento Apostolico fu fondato nel 1260 da  Gherardino Segalelli, che iniziò a predicare  lo svincolo della Chiesa dalle ricchezze e dal potere, nonché il suo ritorno alle umili e paritarie condizioni delle origini. Gherardino, accusato di eresia, condannato al rogo, fu arso vivo nel 1300 a Parma. Fra Dolcino, suo discepolo, riorganizzò gli Apostolici e ne divenne ben presto il capo carismatico.

 

Fra Dolcino  viene definito come un uomo di rilevante intelligenza, capace, con le sue notevoli doti oratorie, di affascinare chiunque. I suoi seguaci erano contadini, artigiani, donne, bambini e  anziani, che  credevano nei suoi principi e ad una vita sociale migliore con la loro applicazione.

Accanto a quella di fra Dolcino spicca la figura della sua compagna Margherita, da tutti definita donna di rilevante bellezza, che lo segue in tutte le sue battaglie e che ne condivide la tragica  fine.

 

I concetti cardine della dottrina dolciniana possono essere così espressi:

 

- Abbattimento della gerarchia ecclesiastica e ritorno della Chiesa alle sue origini di umiltà e povertà.

­- Abbattimento dell'oppressivo sistema feudale.

- Liberazione umana da ogni costrizione e da qualsiasi potere costituito.

- Organizzazione di una società paritaria, di mutuo e reciproco aiuto, di comunione dei beni e di parità di diritti fra uomo e donna.

 

Come si vede fra Dolcino  più che un riformatore della Chiesa è da considerarsi un autentico rivoluzionario che ha anticipato i tempi di parecchi secoli. Proprio per questo non poteva che uscirne sconfitto.

Le sue teorie, che non restavano concetti astratti ma che venivano applicate fra la sua gente,  la  sua straordinaria capacità di fare proseliti non potevano che preoccupare seriamente le autorità costituite. Vennero assoldate milizie mercenarie per reprimere, sul nascere, un movimento che sviluppandosi avrebbe portato a conseguenze irreparabili.

Per sfuggire ai suoi persecutori  fra Dolcino  passa da Parma a Bologna ed in seguito si rifugia nel Trentino. Successivamente, sempre per sottrarsi alla caccia ostinata messa in atto dai  vescovi, dai feudatari e dall'Inquisizione passa, attraverso le montagne per sentirsi più sicuro, in quel di Brescia, Bergamo, Como e Milano.

In Valsesia fra Dolcino  arrivava  nel 1304 con un seguito di 3.000 persone. In quegli anni la valle era percorsa da  movimenti di insofferenza verso il sistema feudale, di rifiuto di pagare i balzelli e le decime, di resistenza armata. In questi fermenti di ribellione vi confluirono gli Apostolici di fra Dolcino  che vennero quindi accolti favorevolmente dai valsesiani. Il primo insediamento dei dolciniani fu a Gattinara, presumibilmente al castello di S. Lorenzo.  Questa sistemazione durò poco perché, pressati da milizie mercenarie assoldate dal Vescovo di Vercelli, i seguaci di fra Dolcino  furono costretti a ripiegare prima a Varallo ed in seguito a Campertogno. Dopo una permanenza di parecchi mesi in questa località  si videro nuovamente obbligati a cercare un rifugio più sicuro. In un primo tempo lo trovarono sulla Cima delle Balme e quindi, verso la fine dell'estate del 1305, sulla Parete Calva in Val di Rassa. Da questo rifugio i dolciniani, affiancati da ribelli valsesiani,  calavano a valle per compiere azioni di guerriglia nei riguardi dell'armata vescovile. Però questo rifugio, assolutamente inespugnabile con i mezzi bellici del tempo, si rivelò ben presto una trappola che avrebbe potuto diventare mortale. Al Vescovo di Vercelli si unì quello di Novara che assoldò nuovi mercenari, in modo particolare un corpo di balestrieri per contrastare i valsesiani abilissimi nel tiro con l'arco. La rinnovata armata vescovile bloccò tutte le vie di accesso alla Parete Calva impedendo ogni rifornimento, ogni azione di guerriglia e ogni via di fuga. Per la mancanza di viveri l'inverno 1305-1306 diventò terribile per i dolciniani. Nel marzo del 1306 fra Dolcino affrontò l'unica via libera che gli restava per abbandonare la Parete Calva e sfuggire all'accerchiamento. Con una marcia, che gli storici definiscono "incredibile", fra le montagne coperte da neve, passò in prossimità del Monte Bo, scese la Val Dolca approdando nel Biellese e attestandosi sui Monti Rubello, Tirlo e Civetta. I dolciniani erano ormai ridotti a poche centinaia, ma sufficienti per costruire apprestamenti difensivi attorno ai monti citati quali un fortino, cinte murarie, un pozzo e alcuni camminamenti. Partendo da questa base, con azioni di guerriglia contro i loro nemici, si procurarono viveri e quanto serviva alla loro sopravvivenza. Immediata fu la reazione del Vescovo di Vercelli che chiese aiuto ai feudatari e ottenne dal papa Clemente V che fosse bandita una crociata per reprimere, una volta per tutte, il movimento degli Apostolici di fra Dolcino. Tutte le vie di accesso e di ritirata dai Monti Rubello, Tirlo e Civetta furono bloccate. Ogni possibilità di rifornimento viveri preclusa. In queste condizioni i dolciniani dovettero affrontare un nuovo terribile inverno.

Il 23 marzo 1307  i Crociati, in rilevante superiorità numerica,  sferrarono l'attacco finale alle postazioni dolciniane. Dopo  un'intera giornata di combattimenti accaniti e cruenti riuscirono a  piegarne la resistenza.

Fra Dolcino, Margherita e Longino Cattaneo furono catturati vivi unitamente ad altri 150 prigionieri.

Margherita fu bruciata per prima sulle rive del Cervo alla presenza di fra Dolcino.

Fra Dolcino e Longino Cattaneo furono sottoposti a terribili torture. Furono ad essi strappate le carni con ferri arroventati,  prima di essere a loro volta bruciati vivi sul rogo.

 

Ai giorni nostri riesce difficile pensare come gli alti prelati siano riusciti ad infliggere una morte così orrenda, in nome della Chiesa Cattolica e della dottrina di Gesù Cristo da essa predicata.

 

Comunque si vogliano valutare le fedi,  le ideologie e i fatti, una cosa  è certa: il contenuto politico del messaggio lanciato da fra Dolcino annovera principi universalmente validi,  principi che non avranno mai fine.

 


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I Patarini

Post n°1469 pubblicato il 25 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

'etimologia di pataria deriva dalla parola milanese patee, stracci, che definisce forse i luoghi dove i patarini si riunivano, ma che poi ha definito, in maniera spregiativa, gli adepti come straccivendoli o addirittura come straccioni.

Inoltre alcuni autori tendono a fare una notevole confusione fonetica tra patari(ni) e catari, benché non ci siano affatto coincidenze dottrinali fra i due movimenti; altri, soprattutto autori anglosassoni, fanno erroneamente coincidere il movimento dei patarini con quello di bogomili della Bosnia e della Dalmazia.

Probabilmente la verità va ricercata nell'uso impreciso e propagandistico che alcuni cronisti cattolici dell'epoca facevano di termini come manichei o patarini, appioppati ad eretici del basso Medioevo, senza approfondire troppo le differenze teologiche.

La storia

La Pataria, il movimento dei patarini, prende origine dalla reazione del clero di base e della borghesia, ma anche dei ceti più umili di Milano nei confronti di un'alta casta ecclesiastica corrotta e simoniaca.

Le tensioni esplosero nel 1045 con l'elezione ad arcivescovo di Milano di Guido da Velate (1045-1071), successore di un personaggio, già molto discusso, come Ariberto da Intimiano (n. 967, arcivescovo: 1018-1045).

Quest'ultimo, un uomo molto potente ed influente, che aveva interpretato alla lettera il suo ruolo di feudatario, era stato il signore assoluto della città e di un vasto territorio che si estendeva sulla Lombardia, Piemonte, Liguria e parte dell'Emilia. Ariberto lottò tutta la vita per mantenere l'autonomia dall'impero, da una parte, ma anche per tenere soggiogati i valvassori, i nobili minori, dall'altra.

Fu la crescita d'importanza di questi ultimi, ma soprattutto della nascente borghesia, a creare una nuova esigenza di maggiore uguaglianza tra i ceti e di più onestà e moralità nel clero. Queste esigenze fecero sì che, alla morte di Ariberto nel 1045, il clero milanese proponesse all'imperatore Enrico III, detto il Nero (1017-1056), controllore delle elezioni vescovili dell'impero e perfino di quelle papali dell'epoca, quattro candidati, onesti e virtuosi: Anselmo da Baggio, Landolfo Cotta, Attone e Arialdo da Carimate, per la successione al seggio di arcivescovo di Milano.

Tuttavia, l'imperatore, disattendendo le aspettative dei milanesi e in contrasto con la tradizione di una nomina, di fatto, autonoma, decise appunto di nominare Guido da Velate, uomo corrotto e simoniaco, che portò il livello di reputazione dell'arcivescovado di Milano ai minimi storici. Grande scandalo, per esempio, suscitava la pratica, nota come nicolaismo e alquanto diffusa all'epoca di Guido, dei religiosi, che vivevano palesemente in concubinato con donne.

Come reazione a questa corruzione dilagante, si formò quindi il movimento riformatore dei p., che coinvolse, a vario titolo, tutti i candidati citati, ma che vide soprattutto emergere la figura di Sant'Arialdo da Carimate e, in tono minore, quella di Landolfo Cotta.

Per quanto concerne un altro dei capi storici del movimento, Anselmo da Baggio, l'imperatore cercò di spezzare l'unità dei p., nominandolo vescovo di Lucca e quindi allontanandolo da Milano: tuttavia Anselmo sarebbe poi diventato Papa Alessandro II (1061-1073) ed avrebbe ancora più autorevolmente appoggiato il suo ex movimento.

Nel frattempo, a Milano, Arialdo e Landolfo avevano incitato con successo la popolazione a rifiutare i sacramenti dai sacerdoti corrotti e nicolaiti, riportando di attualità un atteggiamento, che ricordava quello degli intransigenti del III e IV secolo: Novaziano, Melezio di Licopoli e Donato di Numidia.

La reazione dell'arcivescovo Guido non si fece attendere e, prendendo pretesto dagli  scontri armati fra opposte fazioni, esplosi il 10 maggio 1057 durante una processione, egli scomunicò sia Arialdo che Landolfo.

Tuttavia il papato stesso, uscito dallo sciagurato periodo di Papa Benedetto IX (l'unico che aveva regnato indegnamente per tre pontificati, nel 1032-1044, nel 1045 e nel 1047-1048) era percorso da correnti riformatrici, ad incominciare già da Papa San Leone IX (1049-1054), il quale aveva condannato il concubinato e simonia dei preti nel 1050.

Landolfo Cotta cercò di recarsi a Roma per perorare la causa dei p. presso Papa Stefano IX (1057-1058), ma fu intercettato presso Piacenza dai sicari dell'arcivescovo e quasi ucciso. Morì, invece, nel 1061 in seguito alle ferite inferte da un religioso, sicario prezzolato (sic!), in un'ulteriore imboscata nel 1058.

Allora, Arialdo stesso decise invocare l'aiuto di Stefano IX, ma fu solo il papa successivo, Niccolò II (1059-1061), ad inviare nel 1060 una delegazione, capitanata da Pier Damiani e da Anselmo da Baggio, allora vescovo di Lucca. Pier Damiani riuscì con un abile discorso a riportare temporaneamente la calma in città, ma le tensioni non erano certo sopite.

Nel 1061, in seguito alla morte di Landolfo Cotta, Arialdo associò al movimento Erlembaldo, fratello di Landolfo e nuovo capo militare dei p. Nello stesso anno era salito al trono di Pietro, Anselmo di Lucca, con il titolo di Papa Alessandro II, il quale consegnò nella primavera del 1066 ad Erlembaldo il vexillum Petri (il vessillo di S. Pietro) e due bolle pontificie di richiamo al clero milanese e di scomunica di Guido da Velate.  Tuttavia, in seguito ai durissimi scontri del 4 Giugno 1066, quando furono feriti sia Erlembaldo e Arialdo, che Guido stesso, quest'ultimo reagì lanciando l'interdizione su Milano, finché Arialdo fosse rimasto in città.

Era una trappola mortale, nella quale Arialdo purtroppo cadde: uscito dalla città venne tradito da un prete di S. Vittore all'Olmo, vicino a Milano, e catturato dalle guardie di Donna Oliva, nipote di Guido, che lo portarono per interrogarlo nel castello di Arona, sul Lago Maggiore.

Da qui Arialdo fu successivamente portato su un'isola del lago, dove, secondo il suo biografo Andrea di Strumi, egli fu torturato orrendamente da due chierici, i quali lo mutilarono delle orecchie, naso, occhi, mano destra, piedi, genitali e lingua, ed, una volta morto, lo gettarono nel lago, appesantito da alcuni massi. Era il 26 Giugno 1066.

L'anno seguente (1067) il corpo fu ritrovato, secondo la leggenda, intatto (cioè non ancora decomposto), e Arialdo fu proclamato santo da Alessandro II, che, nel contempo, aveva provveduto a scomunicare Guido da Velate.

Erlembaldo proseguì la lotta dei p. contro i partigiani di Guido, che riuscirono nel 1071, alla morte di quest'ultimo, a far eleggere arcivescovo Goffredo da Castiglione, al quale Erlembaldo contrappose Attone, subito riconosciuto dal nuovo papa, il famoso San Gregorio VII (1073-1085), che oltretutto scomunicò Goffredo nel 1075. Nei tumulti che ne seguirono Erlembaldo fu assassinato e, secondo alcuni autori, anch'egli, come Arialdo, fu in seguito, canonizzato.

Dopo la morte di Erlembaldo e successivamente di Gregorio VII nel 1085, la p. esaurì la sua forza riformatrice. Già nel 1089, Papa Urbano II (1088-1099) (quello della I crociata), diede un colpo mortale ad un punto irrinunciabile dei p. e dai papi, loro alleati, affermando, in altre parole, che i sacramenti impartiti da preti simoniaci o corrotti erano ugualmente validi.

La p. degenerò sempre più assumendo connotati manichei (forse da questo deriva la confusione con i catari) e finì per essere perfino perseguitata come setta eretica da Papa Lucio III (1181-1185) nel 1185.

 
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I catari

Post n°1468 pubblicato il 25 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

el sud della Francia, in Linguadoca, viveva un popolo la cui religione per certe specificità fu concorrenziale alla Chiesa Cattolica d'Occidente. L'eresia dei Catari o "Puri" fu l'incubo del papato agli albori del secondo millennio. La repressione della Chiesa, risoluta a diventare il primo potere del mondo occidentale, fu commisurata alla paura che i Catari potessero, con il loro credo, mettere in crisi l'intero fondamento della chiesa cristiana. La risoluzione nell'occultare il Sapere (religioso, filosofico, scientifico) portò a sterminare chiunque si opponesse al suo progetto. Non si trattava, infatti, di singoli eretici da punire, ma di un fenomeno di vasta portata, cui l'Europa dell'epoca non era abituata, e che ricordava i grandi movimenti religiosi scismatici che avevano afflitto l'impero romano d'oriente, come ad esempio i Pauliciani. E' arduo in altro modo spiegare la creazione di un potentissimo mezzo di soppressione come l'inquisizione, la costituzione di un ordine religioso (i domenicani), preposti a controbattere le dottrine catare, e all'organizzazione di una crociata, cristiani contro cristiani, con connessa licenza di massacro. Nel 1209, l'esercito crociato condotto da Arnaud-Amaury, abate di Citeaux, massacra la quasi totalità della popolazione di Béziers, senza distinzione d'età o di sesso. Circa 25000 furono i morti, tra cui donne e bambini che si erano rifugiati nella chiesa San Nazaire. Gli abitanti, solidali tra loro, rigettarono la richiesta di consegnare i catari. In quella circostanza, ad Arnaud-Amaury, fu attribuita la frase "uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi". A giustificazione di una cosi efferata crociata fu l'uccisione, il 14 gennaio del 1208 presso Arles, di Pierre de Castelnau legato del Papa (Innocenzo III, al secolo Lotario dei Conti di Segni), per mano di sconosciuti, circolò ad arte la voce che incolpava i Catari come esecutori. Il grave fatto di sangue permise al papa di suonare subito le trombe di guerra. Inoltre uno stato sovrano, come la Francia, già dilaniata dalla guerra dei cent'anni, sarebbe potuto essere messo in discussione da questa setta e dal suo alleato laico, il potente conte di Tolosa, essa quindi fu schiacciata dall'azione combinata tra Stato e Chiesa. Il catarismo era un movimento cristiano con alcune particolarità che lo distinguono dal cristianesimo. Per i Catari esistono un Dio malvagio, falso e crudele (Satana) e un altro Dio, buono, santo e giusto. Il mondo materiale è opera del Dio malvagio, mentre il creatore di ciò che rimane in eterno è il Dio Buono. I Catari erano convinti che Satana avesse scritto il Vecchio Testamento. Per loro Abramo, come tanti, non era altro che una figura diabolica. Tutte le cose materiali che si vedono sulla terra sono vane e vengono da Satana. La terra è un luogo malvagio e tornerà nel nulla da dove è venuta. Satana ha modellato tutto dalla materia preesistente, il Dio Buono crea dal nulla. L'uomo è fatto di corpo, anima e spirito. Il corpo è stato modellato dal Dio malvagio, mentre l'anima e lo spirito sono creati dal Dio Buono. L'anima si trova nel corpo, mentre lo spirito è al di fuori e sorveglia l'anima. Gesù Cristo è la salvezza, Egli rivela la verità, libera gli spiriti imprigionati ed indica la via che porta al Dio Buono. Per i Catari il battesimo non è quello d'acqua, ma è un battesimo spirituale, che gli uomini ricevono da adulti: il consolament. Con il battesimo l'anima si riunisce con lo spirito. Solo chi ha ricevuto il consolament faceva parte della Chiesa di Dio, e questi erano chiamati Parfaits (Perfetti), mentre gli altri erano i Credenti. L'unione per eccellenza di anima e spirito è quella tra Maria Maddalena e il Cristo. Per i Catari esisteva la reincarnazione. Le persone che non avevano ricevuto il battesimo spirituale si sarebbero reincarnate da una a nove volte. "Ogni creatura fatta dal Padre celeste sarà salvata, e nessuno di loro perirà... essi andranno di corpo in corpo, finché non giungano in un corpo nel quale pervengano allo stato di verità e di giustizia e vi diventino buoni cristiani" dicevano, in uno scritto Giacomo Antier e Guglielmo Balbaria. I Catari criticavano la Chiesa Cattolica. A questa era contrapposta la loro Chiesa, una Chiesa interiore. Non ammettevano il battesimo dell'acqua né l'eucarestia, non esisteva alcun edificio sacro, la loro Chiesa erano i fedeli in mezzo ai quali stava Gesù e vi sarebbe rimasto fino alla fine del mondo. Una loro preghiera recita:
"Padre santo, Dio legittimo degli spiriti buoni, che non hai mai ingannato né mentito né errato, né esitato per paura della morte a discendere nel mondo del Dio straniero - perché noi non siamo del mondo né il mondo è nostro - concedi a noi di conoscere ciò che tu conosci - e di amare ciò che tu ami. Farisei ingannatori, che state alla porta del regno e impedite di entrare a coloro che lo vorrebbero, mentre voi non volete! Per questo prego il Padre santo degli spiriti buoni, che ha il potere di salvare le anime, e fa germogliare e fiorire per gli spiriti buoni, e per causa dei buoni dà vita ai malvagi e lo farà finché essi vadano nel mondo dei buoni" ...

 
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Vita spericolata

Post n°1467 pubblicato il 25 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Carissimi lettori,bentrovati!
Ricordate Giangaleazzo Pienapancia,il nostro sciupafemmine ruspante?
Beh stavolta non mi devo occupare di lui,bensì della sua augusta genitrice,signora Sempronilla.
Nonostante l'età avanzata (70 anni e spiccioli)la dolce signora ama il pericolo e si cimenta in imprese che farebbero venire i capelli bianchi a Kojak.
Non mi credete? Leggete qua.
LUNEDI'- Al suo primo lancio di bungee jumping la Sempronilla ha cominciato a oscillare qua e là tipo pendolo.
Ha messo KO ben 10 volenterosi che volevano soccorrerla e quando si è fermata si è anche arrabbiata con loro che le avevano guastato il divertimento
MARTEDI'- Inforcati i rollerblades,la Sempronilla è andata a giro,dimenticandosi gli occhiali a casa
Anatolio e il cane sono stati falciati e lei è scappata senza soccorerli.
L'Anarchico è finito sul campanile e il Piripicchi,perso il controllo della moto ,è finito nella fontana,Dato che era vuota per manutenzione ha battuto una craniata terrificante.
MERCOLEDI'- La Sempronilla si è data al motocross.Dopo 5 minuti è caduta, mentre la moto andava da sola,finendo nell'aia dei Martellacci e spedendo Teobaldo nella concimaia.
Meno fortunati 23 paperi e 33 galline che sono andati prematuramente al Creatore.
GIOVEDI'- Vicino a S.Tobia c'è la cascata dell'Eremita Deficiente.
Desiderosa di imitare gli spericolati americani,la Sempronilla è arrivata in cima,si è infilata dentro una botte ed è andata giù.Lei e la botte hanno affondato la barca dove Caino Trogoloni stava pescando.
Il disgraziato è vivo per miracolo.
VENERDI'- La Sempronilla si è data al free climbing...sul campanile!
Ireneo,che stava lucidando le campane,per lo spavento è volato di sotto,atterrando addosso a Belva.
SABATO- La Sempronilla si è lanciata col parapendio dalla collina che sovrasta S.Tobia.
Hatranciato cavi telefonici ed elettrici,provocando un black out di 10 ore e un isolamento telefonico di 12.
Le bestemmie dei paesani sono arrivate fino a Tripoli,disturbando la pennichella di Gheddafi.
La terribile vecchietta sta benissimo.
DOMENICA- La sempronilla ha comunicato al figlio che voleva andare in Tibet alla ricerca del cugino dello Yeti.
Giangaleazzo l'ha aiutata a fare i bagagli,l'ha accompagnata a Ciampino e una volta tornato a casa ha prima acceso un cero immenso a S.Tobia per grazia ricevuta, poi ha offerto da bere a tutto il paese.
E' passata una settimana.
Lo Sgozzaloca e il cane stanno meglio.
L'Anarchico è sceso dal campanile solo ieri (non si sa mai).
Il Piripicchi ha perso la memoria
Teobaldo puzza abominevolmente e il suo umore segna tempesta perfetta.
Caino è ricoverato nella clinica Luminaris:crede di essere Achab e che la sua nave sia stata affondata da Moby Dick.
Belva è diventato un alano nano.
Stamattina il Dalai Lama ha chiamato Giangaleazzo,intimandogli di andarsi a riprendere quel pericolo pubblico che lui chiama mamma,pena pesantissimi anatemi.
Giangaleazzo si è circondato di amuleti antimalocchio ed è rimasto dov'è.
Per ora da S.Tobia è tutto

 
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La casa non geme più (Merini)

Post n°1466 pubblicato il 25 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

La casa non geme più sotto lo scricchiolio dei tuoi passi,
la casa non geme più
e datemi i rumori
i rumori pesanti
datemi i rumori di Charles
datemi il suo pensiero e il suo lento fuggire
ridatemi i rumori, della sua carne perfetta.

 
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Libri dimenticati:Figli del silenzio

Post n°1465 pubblicato il 25 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Altro libro di Torey Hayden,sempre da leggere

 
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Frase del giorno

Post n°1464 pubblicato il 25 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Si decide in fretta di essere amici,ma l'amicizia è un frutto che matura lentamente (Aristotele)

 
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Ciao per passare le tue vacanze vi consigliamo Lampedusa...
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Buon pomeriggio.Tiziana
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i gatti sono proprio così.:)
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questi versi sono tanto struggenti quanto veritieri. Ciao e...
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