Messaggi del 27/12/2011

Caterina Sforza

Post n°1485 pubblicato il 27 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

aterina Sforza nacque nel 1463; figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza e di Lucrezia Landriani. Galeazzo Maria sforza era il figlio di Francesco Sforza, il quale, unitosi in matrimonio con Bianca Maria Visconti, pretese ed ottenne il ducato di Milano. Il padre di Francesco era Muzzio Attendolo, chiamata Sforza, il quale fece fortuna verso la fine del XIV sec. seguendo la compagnia di Alberico da Barbiano. Lucrezia Landriani era moglie di Gian Pietro Mandriani, siniscalco di corte. Quando Bona di Savoia, sorella della moglie del re di Francia, sposò Galeazzo Maria sforza, le venne affidata Caterina; da allora ella fu considerata sua figlia a tutti gli effetti. La data ed il luogo di nascita di Caterina non sono conosciuti; ma si ipotizza che ella sia nata, circa, nel 1462. Per quanto riguarda il luogo di nascita alcuni menzionano Milano, altri Pavia. Da principio Caterina fu educata a corte dalla nonna Bianca Maria Visconti (la madre di Galeazzo Sforza), e successivamente dalla moglie del duca Bona di Savoi.  Fu data in moglie a di Girolamo Riario nel 1477, nipote del Papa Sisto IV e signore di Imola ( e dal 1480 anche signore di Forlì ). Egli era originario di Savoia, figlio del calzolai Paolo Riario. Il Macchiavelli descrisse questo Girolamo Riario come un uomo di bassissima e vile condizione. Con la morte del Papa Sisto IV, Caterina si impossesso del Castel Sant’Angelo, a Roma, nel 1484. Nel 1488 il marito di Caterina venne assassinato; Forlì si consegnò al Papa e Caterina preferì rifugiarsi nella rocca di Ravaldino. Fu quando venne liberata da Sforza e da Bentivoglio che si impadronì nuovamente della signoria di Forlì, la quale, insieme alla signoria di Imola, le sarebbe servita come reggente per il figlio Ottaviano. Successivamente contrasse matrimonio, in segreto, con il castellano di Ravaldino Iacopo Feo. Pian piano Caterina era riuscita ad acquistare una notevole importanza nel campo della politica italiana, soprattutto con la morte di Carlo VIII. Per preservare la propria posizione, fu pianificata una alleanza strategica dapprima con gli Aragonesi, successivamente con i francesi, ed in fine con Firenze. Dopo la morte di Iacopo, nel 1945, Caterina attuò una sua vendetta per la perdita subito, ma successivamente ella contrasse nuovamente matrimonio, sempre in maniera segreta, con Giovanni de’ Medici. Dalla loro unione nacque colui che sarà poi Giovanni delle Bande Nere. Nel 1499 Cesare Borgia, conosciuto come il Valentino, figlio del Papa Alessandro VI, con l’intenzione di occupare la Romagna, conquistò la via ferrarese, arrivando nei pressi di Imola. La stessa città di Imola, rendendosi conto dell’inutilità di una resistenza, si consegno a Valentino; ma anche le piccole fortificazioni vicine caddero di fronte al numeroso esercito del Valentino. Solo i castello di Dozza e del Gabriele del Picca continuarono ostinati la loro resistenza; la loro resistenza fu però vana, ed in fine cedettero anche loro. Anche Forlì fu travolta dall’esercito del Valentino, e Caterina divenne prigioniera di Cesare Borgia (12 gennaio 1500); quest’ultimo la sottopose a numerose umiliazione. In fine però Caterina venne liberata per volontà della Francia. Ella si ritirò a Firenze, ove morì il 28 maggio 1509. La figura di Caterina, anche dopo la sua morte, rimase molto forte. Le si attribuivano conoscenze farmaceutiche, alchemiche e magiche; ma anche amicizie come quella con il misterioso speziale di Forlì Ludovico Alberini. Ma soprattutto nota rimase la sua indole vendicativa.

QUALCHE CURIOSITA' LEGATA A CATERINA SFORZA

Fare “tonto di Caterinona” è un’espressione tipicamente romagnolo per dire che qualcuno è un “finto tonto”; cioè colui che finge di essere poco intelligente per poter estorcere o ingannare il suo interlocutore. Il termine deriva da una abitudine di Caterina Sforza: ella infatti, si tramanda, mandava dei suoi uomini nelle campagne e nelle città. Questi dovevano fingere di essere stranieri, e quindi di non comprendere bene la lingua, o di essere ritardati. Il loro scopo era di farsi dire quali fossero le opinioni in merito al governo cittadino, o quali fossero comunque i loro malcontenti. Caterina poteva così essere informata dell’umore del suo popolo e poter prendere le giuste decisioni su ciò che andava fatto. Si dice che Caterina Sforza, incinta di sette mesi, fu fatta prigioniera. Ma grazie a piccoli trucchi ed inganni, riuscì a rifugiarsi in un piccolo castello a lei ancora fedele. I suoi figli Ottaviano e Cesare, meno fortunati, furono però catturati e portati fuori dalle mura del castello che offriva ancora protezione a Caterina. I loro prigionieri miravano al senso materno di Caterina; erano convinti che le urla dei suoi figli l’avrebbero convinta ad arrendersi per salvar loro la vita. Ma la stravagante Caterina, che stava riposando, appena seppe di quanto stava accadendo, salì nella torre del castello. Da sopra i merli, ancora in camicia, a piedi nudi e con i capelli sciolti, osservò per qualche istante i figli implorarle di salvare loro la vita. Ma Caterina sollevò la tunica e gridò che, anche se le avessero ucciso i figli, ella aveva ciò che le occorreva per poterne fare degli altri: “Ho qui lo stampo per farne degli altri”. 

 
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Veglione di Carnevale

Post n°1484 pubblicato il 27 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Cari lettori,ebbene sì:quest'anno abbiamo anche noi il nostro veglione di Carnevale,grazie alla pirotecinica Marianna!L'iniziativa è stata accolta con entusiasmo dai paesani,che due giorni fa si sono riversati nella sala municipale.Gli onori di casa li facevano,ovviamente,la Marianna e Geppo (Maria Antonietta e Spaventapasseri del Mago di Oz).Molti gli ospiti fra cui Melchiorre e la Sempronilla (Frankenstein e signora).lo Scannacipolle (Long John Silver con tanto di pappagallo imbalsamato) Ireneo (vestito da papa) e il nuovo maestro elementare Pandolfo Coltellacci (Peter Pan)
Alla musica provvedevano i "Taca banda" per il liscio e il gruppo rock "Mortacci tua"composto da Leone,Berengario,Asmodeo e Bernabò Trogoloni.
A metà serata è cascato il primo asino,quando la Taide e Bradamante Trogoloni ,che si detestano da una vita,si sono accorte di essersi vestite entrambe da Carmen e hanno dato vita a un estemporaneo match di wrestling.
Ne ha fatto le spese l'incolpevole Astorre,finito a capofitto nella zuppiera del punch.
Ubriaco fradicio si è esibito in un insolito fuori programma:canticchiando il tema di "9 settimane e mezzo",è zompato sul lungo tavolo ed ha iniziato a spogliarsi.Quando i presenti si sono riavuti dallo stupore,era ormai nudo bruco e stava invitando a gran voce le presenti a disputarsi i suoi favori mettendolo all'asta.Per fortuna Caino,arrivatogli da dietro,lo ha tramortito a scarpate e portato via.
Credevate fosse finita? Magari!
Maciste Trappoloni (tuareg),avvistata una splendida odalisca velata tutta sola si è lanciato all'attacco ben deciso a farla sua.Non sapeva ahilui che quella era Rododendra Spiaccicù ,la fidanzata di Santuzzo,campione regionale di lotta grecoromana.
E non sapeva neanche,ahilui,che Bernabò era ancora innamorato pazzo della suddetta!
Quando ilTrogoloni ha visto l'amata in pericolo,ha mollato la tastiera ed è corso in suo soccorso.
Dalla parte opposta della sala arrivava Santuzzo a tutta velocità.
Le capocce dei due si sono scontrate violentemente e tutti e due sono caduti a terra come corpo morto cade.
A salvare la Rododendra dal pazzo ci ha pensato Ireneo con un ben assestato colpo di pastorale là dove il sol tace.
Cuccurullo ha poi provveduto a portarlo via.
Il veglione si è poi concluso con l'assegnazione del premio al costume più bello.Per la cronaca ha vinto Geremia,travestito da bara.
Sono passati due giorni.
Astorre è contento come una pasqua:al veglione era casualmente presente un regista di film porno, che lo ha scritturato seduta stante per il suo prossimo film, dal titolo eloquente "Piso pisello quanto adoro fare quello"
La Bradamante lo ha cacciato di casa .
Maciste è uccel di bosco.
Bernabò e Santuzzo sono ricoverati nella clinica Luminaris:credono di essere due babbuini gay e passano il tempo a spidocchiarsi a vicenda.Lo Sperandio non sa che fare.
La Rododendra non vuol saperne di nessuno dei due.
Si è perdutamente innamorata di Ireneo (de gustibus...)
Che accadrà ancora a S.Tobia?
Con questo interrogativo angoscioso passo e chiudo


.







 

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Beatrice Cenci

Post n°1483 pubblicato il 27 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

11 settembre 1599 la giovane nobildonna romana saliva i gradini del patibolo a Castel Sant'Angelo, dando vita ad una leggenda oscura e commovente che persiste ancora ai giorni nostri. Ma Beatrice Cenci era veramente innocente? Piccola controstoria di un dramma tardorinascimentale, reso immortale da poeti e romanzieri del XIX secolo.

Il 10 settembre 1598 venne ritrovato in un fosso, nei pressi della Rocca di Petrella Liri, il corpo senza vita di Francesco Cenci, anziano padrone del castello molto chiacchierato per il suo carattere bizzarro e violento. Inizialmente parve che la morte fosse del tutto accidentale, dovuta forse ad un’imprudenza del vecchio castellano, ma un esame piu’ accurato del cadavere - condotto da alcuni sacerdoti del luogo - rivelo’ invece che Cenci era stato brutalmente assassinato con un pesante oggetto contundente. I sospetti caddero quindi sulla seconda moglie Lucrezia e sulla giovane figlia Beatrice, uniche abitanti della Rocca insieme al custode Olimpio Calvetti, misteriosamente scomparso dalla circolazione da parecchi giorni; braccato dalle autorità pontificie, l’uomo venne infine ritrovato morto in un altro paesino dell’Abruzzo, forse vittima di una rapina o di un cacciatore di taglie troppo maldestro.

Le indagini vennero condotte puntigliosamente dai magistrati di papa Clemente VIII, che appurarono anche il coinvolgimento del giovane Marzio Catalano e di Giacomo Cenci, fratello di Beatrice, nell’omicidio dell’impopolare conte, responsabile di molti soprusi nei confronti della popolazione locale e dei suoi stessi famigliari. Interrogato tramite tortura, Catalano non confermo’ alcuna delle accuse formulate dai giudici, morendo drammaticamente in una sordida cella della prigione di Tor di Nona; anche Beatrice mantenne uno sdegnoso riserbo sulla vicenda, mentre il fratello - esasperato dalla brutalità degli inquisitori - confesso’ infine tutto, spiegando come il delitto fosse maturato per semplice odio verso il crudele genitore.

Il successivo processo duro’ quasi un anno, e vide l’accavallarsi di voci incontrollate sulla vita privata dei Cenci, inclusa la possibilità di ripetuti abusi sessuali del padre a danno della figlia. Nell’agosto 1599 Lucrezia, Beatrice e Giacomo furono tutti condannati a morte, con relativa confisca dei beni da parte del governo pontificio; un mese dopo i tre sfortunati salirono i gradini del patibolo sulle mura di Castel Sant’Angelo, tra l’intensa commozione di una grande folla accalcata nei dintorni della celebre fortezza papale. Condannato anch’esso alla pena capitale, Bernardo Cenci, fratello minore di Giacomo e Beatrice, si vide invece graziato all’ultimo momento, passando il resto della sua vita nelle carceri romane.

Per il popolino della Città Eterna, spettatore inerme dell’orribile tragedia, il caso di Beatrice Cenci divenne simbolo della crudeltà del governo papale, dando vita a numerosi racconti e leggende che vedevano lo spirito della nobildonna aggirarsi ogni notte nei sotterranei di Castel Sant’Angelo in cerca di giustizia o di vendetta per la propria triste sorte. Questo vivace folklore tradizionale, dichiaratamente innocentista, venne poi ripreso dal grande storico settecentesco Ludovico Antonio Muratori, che nei suoi Annali d’Italia (1744-49) dedico’ ampio spazio alle vicende della famiglia Cenci, contribuendo alla idealizzazione romantica dei vari personaggi. La narrazione muratoriana risulto’ cosi’ efficace da ispirare persino un omonimo dramma del fiorentino Vincenzo Pieracci (1760-1824) basato truffaldinamente su “un vecchio manoscritto” ritrovato tra le rovine della residenza romana dei protagonisti; oggi dimenticata, quest’opera ebbe un successo straordinario nei primi decenni dell’Ottocento, ispirando autori come Stendhal, Charles Dickens, Nathaniel Hawthorne e Francesco Domenico Guerrazzi. Ma fu soprattutto il poeta inglese Percy Bysshe Shelley a trasformare Beatrice Cenci in eroina immortale della letteratura europea, identificando la sfortunata giovane in un bel quadro del bolognese Guido Reni, dipinto probabilmente agli inizi del XVII secolo: in esso si vede un’eterea ragazza dallo sguardo triste ma non rassegnato, allo stesso tempo tenera e serena nella difesa della sua semplice dignità. Con i suoi versi vibranti Shelley trasformo’ tale rappresentazione iconografica in un magistrale esempio di “dolcezza trascendentale”, capace di influenzare persino la sensibilità dello spettatore piu’ cinico. Ed è cosi’ che il mito di Beatrice Cenci si è preservato sino ai giorni nostri, grazie anche a fortunate trasposizioni cinematografiche come quella diretta da Lucio Fulci nel 1969.

E tuttavia, dal punto di vista storico, la faccenda è tutt’altro che chiusa. Nel 1879, infatti, le indagini archivistiche di Antonio Bertoletti, condensate nell’eccellente volumetto Francesco Cenci e la sua famiglia, misero in seria discussione le tesi innocentiste muratoriane, dimostrando anzitutto come Beatrice fosse anagraficamente piu’ vecchia di quanto creduto (22 anni invece di 16) e come ella avesse avuto addirittura un figlio segreto da Marzio Catalano, suo amante di lunga data. Inoltre l’antiquario inglese Edward Cheney dimostro’ l’inattendibilità di molte lettere tradizionalmente attribuite alla nobildonna, rilevandone le grossolane manomissioni formali e linguistiche. Da queste scoperte il lavoro degli storici ha quindi tentato per oltre un secolo di meglio definire lo scandalo dell’autunno 1598, chiarendo i complessi rapporti all’interno della turbolenta famiglia romana, ma finora i risultati non sono stati molto soddisfacenti, anche per la scomparsa di numerosi documenti originali. Ad ogni modo, un esame accurato delle carte processuali conferma il carattere brutale e lunatico della vittima, pur non trovando riscontri alle accuse di violenza sessuale emerse nel dibattimento. Inoltre esso riabilita parzialmente il comportamento di papa Clemente VIII, da sempre accusato di rapace avidità nei confronti dei Cenci, che lascio’ a Beatrice una vasta somma di denaro da destinare al figliolo illegittimo, affidato alle cure dell’amica Catarina de Santis.

Il mistero dunque rimane, insieme alla continua esaltazione del dipinto di Reni, risalente pero’ a parecchi anni dopo il fattaccio di Petrella: l’artista emiliano lo realizzo’ infatti nel 1608-09, forse ispirato da motivi mitologici. Non a caso esso rimane ancora oggi esposto a Palazzo Barberini con due vistosi punti interrogativi relativi a soggetto e data di produzione. Segno tangibile che l’epopea romantica inventata da Shelley mantiene intatta la sua presa su pubblico e critica, perpetuando il mito della giovane eroina vittima di una società ingiusta e patriarcale. Da questo punto di vista, il suo temibile fantasma ha finalmente trovato la pace eterna, almeno nel dorato mondo dell’immaginazione popolare.

 
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La Pimpaccia

Post n°1482 pubblicato il 27 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Olimpia Maidalchini, la Pimpaccia

La storia di Olimpia Maidalchini è un intrecciarsi inestricabile di leggenda e maldicenze, mescolate abilmente, nel corso dei secoli, dai suoi innumerevoli detrattori, tanto da farne una figura nera, una delle tante che ci arrivano dal 1600, periodo storico complesso, ricco di contraddizioni e di figure manipolate, in cui sembrano assommarsi i peggiori vizi uniti a poche virtù.
La figura di Olimpia, spregiativamente chiamata dai romani la Pimpaccia, in effetti presenta zone d’ombra molto ampie, anche sfrondata dalle innumerevoli esagerazioni costruite attorno alla sua figura.
Una donna di potere, quindi una persona malvista già in partenza per il suo ruolo; ma anche una donna testarda, volitiva, capace di imporsi in un universo popolato esclusivamente da figure maschili.
Olimpia nasce a Viterbo il 26 maggio 1594, figlia di un uomo d’affari, che oggi definiremmo un capitano d’industria; e lo era davvero un capitano, Sforza Maidalchini, mentre sua madre Vittoria Gualterio era una rampolla della buona nobiltà.
Quarta figlia di una famiglia in cui c’erano un maschio e tre femmine, Olimpia venne destinata al convento; il padre aveva intenzione di lasciare il suo patrimonio all’erede maschio, com’era consuetudine a quei tempi; ma lei, a cui il carattere certo non difettava, non aveva alcuna intenzione di prendere i voti.
L’obiettivo del Capitano Sforza era evidente; mandare la figlia in convento in modo da evitare di doverla sposare con la conseguenza di dovere metter su la dote necessaria per un matrimonio onorevole.
Ma aveva fatto i conti senza il carattere e la volontà di quella sua figlia ribelle, decisa ad avere un posto nella società, a non lasciarsi intristire e avvilire dietro le mura di un convento.

Così, quando suo padre la affidò ad un sacerdote per la necessaria preparazione spirituale, la donna trovò un escamotage poco onorevole ma assolutamente funzionale alle sue mire; accusò il povero e incolpevole sacerdote di aver tentato di usare violenza carnale, provocando uno scandalo enorme e costringendo la chiesa a sospendere l’incolpevole uomo dalle sue funzioni. Olimpia ebbe quindi partita vinta, perchè il padre fu costretto a rinunciare all’idea di farla suora e si industriò per trovarle marito.
Aveva all’incirca 16 anni o poco meno, Olimpia, quando andò in sposa al ricco Paolo Nini; ed ebbe la fortuna (naturalmente per lei, non certo per lo sposo) di restare vedova dopo soli tre anni, con un’eredità cospicua.
Poichè non era certo il carattere a mancarle, ne l’ambizione, si mosse con abilità e furbizia in quella giungla che era la società nobile romana, alla ricerca di un altro marito, che aggiungesse ai soldi anche la nobiltà, un titolo che la facesse diventare una patrizia.
Scaltra, accorta e lungimirante, cercò a lungo il nome adatto e alla fine lo individuò in quello di Pamphilio Pamphilj, che era discendente di uno dei rami della famosa famiglia Pamphilj, ricca di titoli nobiliari ma povera di denaro. Intelligentemente, la donna aveva scelto con cura il futuro marito; lei aveva poco più di diciotto anni, l’uomo ne aveva 50. Un matrimonio che quindi andava benissimo per entrambi, perchè Olimpia si ritrovava ad essere imparentata con una delle famiglie romane più importanti mentre l’uomo prendeva in moglie una donna giovane e ricca, che rinsanguava le esauste casse della famiglia.
Una scelta dettata da motivi venali, ma che si rivelerà la sua fortuna.
Il fratello di Pamphilio, Giovanni Battista, stava scalando i vertici ecclesiastici; lei ebbe l’intelligenza, spinta dall’ambizione, di favorirne in ogni modo l’ascesa, grazie anche al patrimonio che il defunto Nini le aveva lasciato.
Così un pò corrompendo, un pò lusingando,la donna riuscì a portare suo cognato fino all’elezione a papa; Giovanni Battista diventò Innocenzo X , e da quel momento il suo potere e il suo prestigio aumentarono a dismisura.
Allo stesso tempo iniziava a crescere in egual modo una leggenda nera attorno a lei; le voci popolari la volevano segretamente amante del papa, si mormorava che per qualsiasi carica, onore o lavoro presso la Santa sede bisognasse obbligatoriamente passare da lei. Allo stesso modo si diffondevano notizie, non sappiamo quanto veritiere, sulla sua smodata avidità di denaro.

Pasquino

Si mormorava che facesse la cresta su tutto, dall’assistenza ai pellegrini per il Giubileo indetto da papa Innocenzo X per il 1650 ai generosi lasciti elargiti a cortigiane e donne varie che popolavano le corti.
A proposito di questo si diceva che Olimpia in realtà favorisse un losco giro di prostituzione, dal quale ovviamente ricavava denaro ma non solo; era in questo modo al corrente dei segreti inconfessabili di patrizi e prelati, che usava per aumentare il suo potere e prestigio.Pasquino, la voce parlante di Roma, si scatenò con la solita arguzia: “Chi dice donna, dice danno – chi dice femmina, dice malanno – chi dice Olimpia Maidalchina, dice donna, danno e rovina”
Fu lo stesso Pasquino a soprannominarla Pimpaccia, deformando in romanesco il titolo di una commedia assai famosa nel 1600, Pimpa, la cui protagonista era come donna Olimpia una donna furba e arrivista; da quel momento il soprannome le restò come una seconda pelle, accompagnandola per l’eternità; un’altra versione dice che l’autore, sempre Pasquino, abbia creato un gioco di parole con Olim-pia, nunc impia”
preso dal latino olim = una volta e pia =religiosa; nunc = adesso e impia, ovvero una donna una volta pia e religiosa e ora esattamente all’opposto.
Va detto che Donna Olimpia era comunque una donna in gamba; fu lei secondo alcune cronache dell’epoca a permettere al Bernini di creare la fontana di piazza Navona; al solito, i bene informati sostennero che il Bernini ebbe dal papa l’appalto per la splendida opera solo perchè il geniale scultore e architetto mandò un modello in argento massiccio della stessa fontana a Donna Olimpia, che in pratica sovraintendeva tutti i lavori che si svolgevano nella capitale. Il Papa, che vide il modellino, ne rimase entusiasta e affidò a Bernini il compito di realizzare la fontana, mentre il modello ovviamente rimase nelle capienti tasche di Donna Olimpia.
Nel 1639 l’anziano marito muore, tra i sospetti generali; la solita leggenda nera vuole che la donna abbia avvelenato il marito, ma anche in questo caso siamo di fronte a dicerie; Pamphilio aveva un’età ragguardevole, era quasi ottantenne, può quindi starci una morte per cause naturali.
Comunque sia, la donna, a 45 anni, ritorna vedova,smodatamente ricca e sempre più ambiziosa. Suo cognato, il Papa, la nomina principessa e feudataria.
Ma il popolino continua a mormorare alle sue spalle cose terribili; quando nel 1655 il suo protettore ,Innocenzo X morì, donna Olimpia si impadronì di tutto quello che il papa possedeva.
Pare che la donna si imposessasse di due casse piene di monete d’oro; non solo, non volle nemmeno partecipare economicamente alle spese del funerale, tanto che papa Innocenzo X rimase per un intero giorno in attesa di essere collocato in una cassa da morto. Fu il maggiordomo del Papa a mettere di tasca sua i soldi per comprare una cassa in cui deporre il pontefice.
La morte del papa mise fine all’enorme potere di Donna Olimpia; la donna, che aveva brigato in maniera tale da far eleggere suo figlio Camillo al soglio cardinalizio, subì l’onta della rinuncia dello stesso alla porpora cardinalizia. Il giovane infatti sposò Olimpia Aldobrandini,figlia del principe Borghese, con la quale la omonima e terribile suocera Olimpia Maidalchini ebbe un rapporto tempestoso.

Fabio Chigi , Papa Alessandro VII, salito al trono di Pietro dopo la morte di Innocenzo X la allontanò da Roma, mettendo fine alla sua carriera di donna di potere.
La papessa, com’era anche soprannominata Donna Olimpia, visse soltanto due anni nel suo esilio dorato nelle campagne viterbesi; la peste del 1657 la portò via, come una qualsiasi mortale.
La sorpresa arrivò da quello che Donna Olimpia lasciò agli eredi; si calcola che i beni ammontassero alla cifra iperolica di due milioni di scudi.
La gente, il popolino non l’aveva però dimenticata.
E da quel momento nacque la sua leggenda nera.
Si diffuse la voce che il suo fantasma prendesse a correre, la sera del 7 gennaio, in corrispondenza dell’anniversario della morte di Innocenzo X, su una carrozza in fiamme per piazza Navona, che percorreva fino a raggiungere il Tevere, dove sprofondava con tutto ciò che la rapace donna aveva accumulato nella sua vita.
Ancora, un’altra versione della stessa leggenda nera raccontava come la donna percorresse di gran carriera la strada che portava alla villa del papa, sempre su un carro di fuoco, e che giunta a destinazione, il carro sprofondasse in un abisso spalancatosi per terra, nel quale c’era una legione di diavoli ad attenderla.
La sua figura divenne, con il passare degli anni, un sinonimo di avidità, sete di potere; le si attribuirono nefandezze di ogni genere che ovviamente si gonfiarono a dismisura, demonizzando storicamente la sua figura ben aldilà della reale portata del personaggio.
Se Olimpia fu davvero una donna senza scrupoli, assetata di denaro e potere, non va dimenticato che si mosse in un universo completamente dominato dagli uomini, che sfuggi alla triste sote di dover diventare suo malgrado monaca solo con l’astuzia, e che ebbe di conseguenza una vita accelerata dalla decisione di sposarsi ancor giovanissima.
Una donna che seppe sfruttare al meglio le non comuni doti di intelligenza, che si unirono ad altrettanto poco invidiabili doti di avidità; alla fine il suo nome oggi è ricordato molto più del suo grande protettore, papa Innocenzo X, segno che nel bene o nel male la Pimpaccia era un donna fuori dal comune.

 
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Riottosa ad ogni tipo d'amore (Merini)

Post n°1481 pubblicato il 27 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

...) Riottosa a ogni tipo di amore
sei entrato tu a invadere il mio silenzio
e non so dove tu abbia visto le mie carni
per desiderarle tanto.
E non so perché tu abbia avuto il mio corpo
per poi andartene
con il grido dell'ultima morte.
Se mi avessi strappato il cuore
o tolto l'unico arto che mi fa male
o scollato le mie giunture
non avrei sofferto tanto
come quando tu un giorno insperato
mi hai tolto la pelle dell'anima.

 
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Libri dimenticati:Un letto di tenebre

Post n°1480 pubblicato il 27 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

l suicidio della figlia Peyton spinge il protagonista ad un'analisi della sua vita e del rapporto con lei e gli altri

 
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Frase del giorno

Post n°1479 pubblicato il 27 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

A volte la gente dà buoni consigli sentendosi come Gesù nel Tempio,
a volte la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio (De Andrè)

 
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