Messaggi del 12/02/2012

Scrittori dimenticati:Chaim Potok

Post n°1878 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Chaim Potok, pseudonimo di Herman Harold Potok (New York, 17 febbraio 1929Merion, 23 luglio 2002), è stato uno scrittore e rabbino statunitense.

Divenne famoso nel 1967 con il racconto The Chosen (Danny l'eletto), una storia quasi autobiografica su un brillante giovane figlio di un rabbino chassidico desideroso che il proprio figlio diventi anch'egli rabbino. La notorietà gli venne anche dalla trasposizione cinematografica del romanzo proiettata nel 1981.

Potok nacque nel Bronx newyorkese da ebrei immigrati dalla Polonia. Secondo la tradizione i genitori gli diedero pure un nome ebraico (Chaim Tvzi, Chaim significa vita in ebraico). L'educazione ortodossa gli insegnò sia il Talmud che conoscenze secolari.

Dopo la laurea in letteratura ebraica e la successiva nomina a rabbino, Potok venne arruolato come cappellano nell'esercito statunitense, dove rimase per oltre un anno nella guerra di Corea.

Divenne editore di Conservative Judaism e della Jewish Publication Society. Nel 1965 ricevette il Ph. D dall'University of Pennsylvania.

 
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Scrittori dimenticati:Sergiusz Piasecki

Post n°1877 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

ergiusz Piasecki (Lachowicze, 1 aprile 1901Londra, 12 settembre 1964) è stato uno scrittore polacco molto apprezzato, dalla vita avventurosa che lo portó ad affrontare molte battaglie.

Combatté contro i bolscevichi e successivamente contro i Nazisti durante l'occupazione della Polonia. Visse come contrabbandiere e nel 1929, arrestato, ne fu chiesta la condanna a morte ma, grazie alla sua collaborazione con i servizi segreti, riuscí ad ottenere la riduzione della condanna a 15 anni di carcere. Nel 1934, durante la prigionia, inizia a scrivere il suo romanzo più famoso L'amante dell'Orsa Maggiore, grazie al quale stava per essere graziato quando, nel 1939, scoppia la guerra contro la Polonia. Fu uno degli animatori della rivolta di Varsavia.

 
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Scrttrici dimenitcate:Elizabeth Goudge

Post n°1876 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Elizabeth Goudge (Wells, 24 aprile 1900 – Rotherfield Peppard, 1 aprile 1984) è stata una scrittrice inglese.La sua opera più conosciuta è "Il delfino verde"

 
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Scrittrici dimenticate:Kressmann Taylor

Post n°1875 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

atherine Taylor (Portland, 190314 luglio 1996) è stata una scrittrice statunitense. Conosciuta principalmente per il suo libro Destinatario sconosciuto (1938), un romanzo scritto sotto forma di una serie di lettere fra un ebreo mercante d’arte, che vive a San Francisco, ed il suo partner d’affari, rientrato in Germania nel 1932. Il romanzo ha il pregio di mettere in evidenza, fin dall’inizio, i pericoli del nazismo.

Vita [modifica]

Kathrine Kressmann si trasferì a San Francisco dopo la laurea presso l'Università dell’ Oregon nel 1924 lavorando come copywriter pubblicitario. Nel 1928, sposò Kressmann Elliott Taylor, proprietario di un'agenzia di pubblicità. Dieci anni dopo, la coppia si trasferì a New York, dove la rivista “Story” pubblicata il romanzo Destinatario sconosciuto. L'editore Whit Burnett ed Elliot ritengono che la storia sia "troppo dura per apparire sotto il nome di un’autrice," e la pubblicano sotto lo pseudonimo maschile Kressmann, pseudonimo che la Taylor utilizzerà professionalmente per il resto della sua vita. La rivista Reader's Digest presto ristampa il romanzo, e Simon & Schuster lo pubblica come libro nel 1939, vendendo 50.000 copie. Presto il romanzo viene pubblicato anche all’estero e ne viene fatta anche una traduzione olandese, poi confiscata dai nazisti, e una tedesca, pubblicato a Mosca. Il libro naturalmente viene vietato in Germania.

Anche il libro successivo della Taylor, “Until that day – Senza ritorno”, pubblicato nel 1942 è un atto di accusa contro il nazismo. Nel 1944 la Columbia Pictures gira il film “Destinatario sconosciuto”. Il regista e scenografo del film è stato William Cameron Menzies (Via col Vento), mentre l’attore Paul Lukas fu chiamato a recitare la parte di Martin. La sceneggiatura, scritta da Herbert Dalmas, ricevette il parere favorevole della Kressmann Taylor. In Russia ci fu un altro sceneggiatura ad opera di David Greener, ma non ne venne mai tratto un film.

Dal 1947, Kathrine insegnò giornalismo e scrittura creativa al Gettysburg College, in Pennsylvania, e, quando Elliot Taylor morì nel 1953, visse come una vedova. Ritiratasi nel 1966, si trasferisce a Firenze e scrive Diario di Firenze nel diluvio, ispirato alla grande alluvione del fiume Arno, nel novembre dello stesso anno.

Nel 1967, Kathrine sposò lo scultore Americano John Rood. Da allora visse a metà tra Minneapolis, Minnesota, e la Val di Pesa, vicino a Firenze. La signora Rood continò a seguire questo stile di vita anche dopo la morte del suo secondo marito avvenuta nel 1974.

Nel 1995, quando Kathrine era ormai 91enne, la rivista “Story” ristampa “Destinatario sconosciuto” per celebrare il 50 ° anniversario della liberazione dei campi di concentramento. Il romanzo è stato successivamente tradotto in 20 lingue, e la versione francese è arrivata a vendere 600.000 copie. Il libro è apparso in Germania nel 2001, ed è stato ristampato in Gran Bretagna nel 2002. In Israele, l'edizione ebraica è stata un best-seller ed è stata adattata per il palcoscenico. Ad oggi lo spettacolo è stato rappresentato centinaia di volte, e ne è stata girata una versione per la TV trasmessa in occasione del Giorno della Memoria, il 27 gennaio.

Riscoperta dopo la ristampa di “Destinatario Sconosciuto” , K. Taylor ha trascorso felicemente gli ultimi mesi della sua vita firmando copie e rilasciando interviste fino alla sua morte avvenuta a 93 anni

 
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Ecco chi era Enrico Cialdini!

Post n°1874 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Il Cialdini era consapevole che bisognava ubriacare l’opinione pubblica di sdegno contro i briganti, e perché ciò si avverasse abbisognava che i quotidiani piú importanti, a tiratura locale e nazionale, parlassero continuamente delle nefandezze e delle malvagità contadine.
Le popolazioni del Sud venivano dipinte come primitive, barbare, invasate di religione, analfabete; i partigiani regi venivano fatti passare per briganti che scannavano e decapitavano i soldati piemontesi.
Il 12 agosto al maggiore Melegari fu ordinato di presentarsi dal generale Cialdini; con solerzia si recò alla luogotenenza, dove lo ricevette il generale Piola-Caselli, che lo fece accomodare e gli disse: – Maggiore, lei avrà sentito parlare di sicuro del doloroso ed infame fatto di Casalduni e Pontelandolfo; ebbene, il generale Cialdini non ordina, ma desidera che quei due paesi debbano fare la fine di Gaeta, ossia devono essere rasi al suolo ed i suoi cittadini massacrati.
Ella, Sig. Maggiore, ha carta bianca ed è autorizzata a ricorrere a qualunque mezzo, e non dimentichi che il generale desidera che siano vendicati i soldati del povero Bracci. Infligga a quei due paesi la piú severa delle punizioni e ai suoi abitanti faccia desiderare la morte. Ha ben capito?.

Melegari:- Signorsí, so benissimo come si devono interpretare i desideri del generale Cialdini. Sono stato con lui in Crimea e con lui ho fatto tutta la campagna del 1859, cosa devo fare. Cialdini in un’altra stanza stava istruendo il generale De Sonnaz che doveva dirigere le operazioni. Melegari partí con una compagnia di quattrocento soldati e il 13 mattina giunse a Solopaca; a mezzogiorno nei pressi di Guardia.
Alle due del mattino del 14 agosto Melegari ed i suoi quattrocento eroi avevano invaso San Lupo; fece svegliare il capitano della Guardia Nazionale al quale disse: -Capitano, mi occorrono duecento uomini, devo attaccare i briganti. – Maggiore, i briganti sono tanti e bene armati.
Ci faranno a pezzi se andiamo sul loro terreno! – rispose l’ufficiale della guardia nazionale. Melegari: – Capitano, niente di tutto questo, non sono venuto qui per combattere contro Giordano, ora è troppo forte. Sono venuto qui per punire gli abitanti di Casalduni; a Pontelandolfo sta dirigendosi De Sonnaz. So cosa devo fare. Lei deve occupare il promontorio da cui si domina la valle ed aspettare miei ordini. Qualcuno, forse qualche parente del capitano della guardia nazionale, corse ad avvertire il sindaco di Casalduni, Ursini. Da quel momento iniziò l’esodo dei casaldunesi verso le montagne difese dai partigiani di Giordano .…..
Ursini, conoscendo la storia del Piemonte, conoscendo la barbarie dei suoi ufficiali e la viltà di Cialdini, conoscendo bene le idee liberali massoniche e sapendo che quelle erano idee di conquista, idee di s’opraffazione dell’uomo sull’uomo, idee di arricchimento di pochi a spese dei piú, di libertà di pochi sui piú; idee di democrazia limitata, democrazia di ladri e ladroni; libertà di imbrogliare la gente, libertà di fare brogli elettorali, libertà di ingannare il popolo; idee di conquistare un regno felice e ricco, dove per tutti c’era lavoro;
idee di rubare ai Meridionali le loro ricchezze per trasferirle al Nord, fece spargere per la città la voce che i piemontesi stavan6 per arrivare.

Tutti, o quasi, corsero sui monti. Rimasero in paese solo qualche malato e qualcuno che non credeva ad una dura repressione; qualche altro pensava di farla franca restando chiuso in casa. Alle quattro del mattino il 18° battaglione, comandato dal maggiore Melegari e guidato verso Casalduni dal liberale Jacobelli e dalla spia Tommaso Lucente, ricco nobilotto di Sepino, aveva già circondato il paese. Melegari si attenne agli ordini ricevuti dal generale Piola-Caselli e fece disporre a schiera le quattro compagnie di cento militi ciascuna.
Dovevano aprire il fuoco di fila per incutere paura ai partigiani, che, secondo le informazioni ricevute, avrebbero dovuto difendere Casalduni da attacchi esterni; e poi attaccare il paese, baionetta in canna, di corsa, concentricamente. Le quattro compagnie ebbero il comando di carica alla baionetta dall’eroico Melegari e cominciarono la carneficina ed il saccheggio delle case e delle chiese come erano soliti fare per poi passare ad incendiarle.

La prima casa ad essere bruciata fu quella del sindaco Ursini, indicata alla truppa dal servo nonché traditore Tommaso Lucente da Sepino. Sentendo gli spari e le grida dei bersaglieri, i pochi rimasti in paese uscirono quasi nudi; cercavano la montagna e trovarono la morte, infilzati dalle baionette dei piemontesi. Un certo Lorenzo D’Urso commerciante, fattosi sull’uscio per salutare i soldati, fu crivellato di colpi e poi infilzato dalle baionette; e cosí moltissimi cittadini inermi. L’eccidio fu meno feroce che a Pontelandolfo perché appunto, la gente, avvertita, era scappata. Dopo aver messo a ferro e fuoco Casalduni ed aver sterminato gli abitanti ivi rimasti, l’azzurro ed eroico maggiore Melegari chiamò a sé il tenente Mancini e gli ordinò di andare a Pontelandolfo per ricevere istruzioni dal generale De Sonnaz. Dopo un’ ora il tenente ritornò, scese da cavallo e rivolgendosi al suo maggiore disse: – Possiamo tornarcene a San Lupo1 il colonnello Negri ha distrutto completamente Pontelandolfo. Ho visto mucchi di cadaveri, forse cinquecento, forse ottocento, forse mille, una vera carneficina!. Melegari: – Ci hanno fregati quelli del 36° fanteria!
Casalduni era quasi vuota, qualcuno ha avvertito la popolazione!.
Dalle alture i partigiani osservavano ciò che stava accadendo nei due paesi sanniti. Vedevano tanto fumo, sentivano gli spari dei bersaglieri, si sentivano impotenti di fronte a tanto orrore …… Molti volevano attaccare i piemontesi, anche sapendo di andare incontro a morte certa, visto il divario delle forze in campo ……..
Giordano e i suoi scortarono oltre duemila casaldunesi fino alle porte di Benevento. Una volta in città Ursini chiese udienza al governatore.
Fu incarcerato ! I morti furono tanti a Pontelandolfo e Casalduni, molti di piú che a Montefalcione, San Marco e Rignano, pure eccidiate ed incendiate …….

A Pontelandolfo e Casalduni i morti superarono sicuramente il migliaio, ma le cifre reali non furono mai svelate dal governo piemontese, come mai è stato svelato il numero dei morti della guerra civile del 1860-70.
Il Popolo d’Italia , giornale filo governativo e quindi interessato a nascondere il piú possibile la verità sui morti, indicò in 164 le vittime di quell’eccidio (8), destando l’indignazione persino del giornale francese Patrie, filo unitario, e quella del mondo intero. Ma nessuno intervenne presso il governo dei carnefici piemontesi. L’invasione del Sud costò la vita, l’espatrio, il carcere ed il manicomio ad un milione di persone, costò la libertà e la dignità del popolo meridionale, ma, una cosa è certa, la gente del Molise, degli Abruzzi, del basso Lazio, della Terra di Lavoro, del Sannio, della Capitanata, della Basilicata ha venduto cara la propria pelle; ha dimostrato ai piemontesi ed al mondo di avere carattere e coraggio. Francesco II e la Regina Sofia sui bastioni di Gaeta disprezzarono la morte.

Vittorio Emanuele III di Casa Savoia nel 1943 ha dimostrato di essere un codardo. Cosí il generale Cialdini, un vero assassino e criminale di guerra, a Custoza scappò come un coniglio di fronte all’esercito austriaco. Il colonnello Gaetano Negri (9), milanese purosangue, scrivendo al padre dopo l’eccidio di Pontelandolfo, non mostrò alcun segno di pentimento e di umanità.
Questo signore fu eletto sindaco del capoluogo lombardo negli anni ottanta. Riportiamo qui di seguito uno stralcio di quella lettera:

Napoli, agosto 1861- Carissimo papà, Le notizie delle province continuano a non essere molto liete. Probilmente anche i giornali nostri avranno parlato degli orrori di Pontelandolfo. Gli abitanti di questo villaggio commisero il piú nero tradimento e degli atti di mostruosa barbarie; ma la punizione che gli venne inflitta, quantunque meritata, non fu per questo meno barbara.
Un battaglione di bersaglieri entrò nel paese, uccise quanti vi erano rimasti, saccheggiò tutte le case, e poi mise il fuoco al villaggio intero, che venne completamente distrutto.
La stessa sorte toccò a Casalduni, i cui abitanti si erano uniti a quelli di Pontelandolfo. Sembra che gli aizza tori della insurrezione di questi due paesi fossero i preti; in tutte, le province, e specialmente nei villaggi della montagna, i preti ci odiano a morte, e, abusando infamemente della loro posizione, spingono gli abitanti al brigantaggio e alla rivolta.
Se invece dei briganti che, per la massima parte, son mossi dalla miseria e dalla superstizione, si fucilassero tutti i curati (del Napoletano, ben inteso!), il castigo sarebbe piú giustamente inflitto, e i risultati piú sicuri e piú pronti.. (10)

Una vera bestia immonda. Se simili personaggi hanno fatto l’Italia una, oggi non dobbiamo piangere sulle due Italie: una ricca e prospera e l’altra povera. Questi personaggi hanno distrutto le ricchezze del Sud, hanno massacrato e fucilato gli uomini migliori, mentre hanno costretto all’emigrazione una grande moltitudine di Meridionali. Il 15 agosto 1861 il Generalissimo Enrico Cialdini, dalla sede dell’alto Comando di Napoli, telegrafò al ministro della guerra piemontese e quindi al mondo intero: “ieri all’alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni” […].

 

 
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Eccidio di Pontelandolfo

Post n°1873 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Fu una pagina nerissima, quella strage. I bersaglieri al comando del vicentino Pier Eleonoro Negri, inviati dal generale Enrico Cialdini per vendicare una quarantina di commilitoni massacrati tre giorni prima dai briganti nella vicina Casalduni, piombarono sul paese all'alba. Ricorda nel suo libro di memorie uno dei soldati, il valtellinese Carlo Margolfo: «Entrammo nel paese: subito abbiamo incominciato a fucilare preti ed uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava, ed infine abbiamo dato l'incendio al paese».

«È indescrivibile», avrebbe annotato Rocco Boccaccino nel libro Memorie dei giorni roventi dell'agosto 1861 , «l'eccidio che ne seguì con tutte le sevizie, a cui uomini e donne, inferociti e privi di ogni senso di pietà, brutalmente si abbandonarono». «Quale desolazione!», ricorda Margolfo inorridito: «Non si poteva stare d'intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case. Noi invece durante l'incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava...».

I militari del Regno d'Italia, accusa la delibera del Comune che ha dichiarato Pontelandolfo «città martire», «uccisero bambini, giovani, vecchi, donne e fanciulle, molte di esse dapprima stuprate. Molti soldati si impossessarono di danaro, oro ed altri oggetti di valore. Profanarono anche la Chiesa Madre rubando i doni votivi e finanche la corona d'oro della Madonna. Poi il paese dopo la mattanza fu dato alle fiamme, facendo abbrustolire i morti e quanti, ancora feriti o infermi, nelle proprie case imploravano vanamente e cristianamente aiuto!».

I morti ufficiali furono pochi. Al punto che quando nel 1978 il municipio ricordò per la prima volta la strage («la vivevamo come una colpa, come se in qualche modo ce la fossimo tirata», sospira il sindaco Cosimo Testa) la lapide fu dedicata a solo 17 «ignari inermi innocenti» travolti dall'«inconsulto sterminio». In realtà, secondo l'opinione comune degli storici, che da qualche anno hanno cominciato ad approfondire, sarebbero stati quattrocento. Anche se Pino Aprile scrive nel suo libro Terroni che c'è chi ipotizza che le vittime «siano state più di 1.000, alle quali bisogna aggiungere i morti dei mesi successivi per le ferite riportate».

Tra i cadaveri, c'era quello di una ragazzina, Concetta Bondi, che, come avrebbe scritto nel 1919 Nicolina Vallillo, «per non essere preda di quegli assalitori inumani, andò a nascondersi in cantina, dietro alcune botti di vino. Sorpresa, svenne, e la mano assassina colpì a morte il delicato fiore, mentre il vino usciva dalle botti spillate, confondendosi col sangue».

Ci saranno tutti, oggi, a Pontelandolfo, a stringersi con Giuliano Amato intorno alla memoria delle vittime e a quei cittadini che, a partire dal sindaco Testa e dallo storico locale Renato Rinaldi, hanno rifiutato di farsi arruolare tra i neoborbonici, chiedendo invece, proprio perché si sentono italiani, solo ciò cui avevano diritto e che oggi avranno: le scuse dell'Italia. Ci sarà anche il sindaco di Vicenza Achille Variati in rappresentanza della città di Pier Eleonoro Negri. La banda di Pinerolo dell'esercito, orgoglio dei piemontesi. E infine loro, i bersaglieri. Per arrivare finalmente al fraterno abbraccio fra «le due parti della Penisola» invocato 150 anni fa da Giuseppe Ferrari.

Era ora. Resta il rimpianto che, se gesti storici come questo fossero arrivati prima, ci saremmo forse risparmiati intorno al Risorgimento tante ostilità, tante spaccature, tanti conflitti che certo si sono rivelati tutt'altro che «mali passeggeri».

 
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Michelina Di Cesare ecco la verità!

Post n°1872 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Michelina De Cesare nacque a Caspoli (Mignano Montelungo) il 28 ottobre del 1841 e quando avvenne l’invasione piemontese aveva appena vent’anni. Era una bellissima ragazza e fu in quel periodo che conobbe Francesco Guerra, uno dei più temuti capi della guerriglia in Terra di Lavoro, aggregandosi al gruppo da lui comandato.

Francesco Guerra, nato a Mignano il 12 ottobre 1836, era stato sergente dell’Armata delle Due Sicilie e aveva partecipato alle battaglie del Volturno nel 1860. Disciolto l’esercito duosiciliano, si aggregò ai guerriglieri legittimisti che combattevano contro i piemontesi, divenendo in breve tempo il comandante di un fortissimo gruppo. In quegli anni l’intero Sud era in rivolta nel tentativo di riportare sul trono Francesco II. Le formazioni partigiane erano oltre 500 e resistevano strenuamente contro l’intero esercito invasore.

La tattica adottata dalla banda Guerra fu quella tipica della guerriglia, evitava cioè il contatto con forze preponderanti e agiva solo in condizioni di sicurezza. Quando veniva intercettato dalla truppa nemica, il gruppo si divideva per riunirsi dopo in un punto precedentemente designato a seconda delle località attraversate. Francesco Guerra faceva eseguire sempre dei rapidi spostamenti, di regola notturni, posizionandosi in altre regioni confinanti.

Michelina, in seguito, si sposò segretamente con Francesco nella chiesa di Galluccio e con lui partecipò ad ogni combattimento del suo gruppo. Fu assai impavida e con il suo formidabile intuito riuscì numerose volte a prevenire gli attacchi e le imboscate del nemico. Ma non riuscì a prevenire la vigliaccheria dei traditori.

Dopo circa sette anni di strenua lotta che inflisse molti danni alle truppe nemiche, nella notte tra il 30 e il 31 agosto del 1868 Francesco Guerra e Michelina De Cesare, in sosta in una masseria alle pendici di Monte Morrone con altri due guerriglieri, Giacomo Ciccone e Francesco Orsi, furono circondati di sorpresa da un reparto del 27° fanteria comandati dal maggiore Lombardi. Le truppe nemiche erano state guidate da una spia del luogo ed erano riuscite nel loro intento anche perché favorite da un fortissimo temporale. Francesco Guerra fu ucciso alla prima scarica della fucileria piemontese, gli altri furono uccisi durante la fuga.

Michelina, rimasta ferita, fu catturata e poi torturata allo scopo di conoscere la posizione degli altri guerriglieri. Morta a causa delle atroci sevizie subite, fu spogliata ed esposta il giorno successivo nella piazza del paese di Mignano come monito alle popolazioni "liberate" insieme ai cadaveri di Francesco Guerra, Giacomo Ciccone e Francesco Orsi, quest’ultimo quasi irriconoscibile per il massacro a cui era stato sottoposto.

L'effetto di questo macabro spettacolo sulla gente inorridita dall'efferato avvenimento fu opposto a quanto avevano in animo i barbari piemontesi, tanto che la guerriglia nella zona riprese con più vigore di prima.

Sarebbe anche l'ora di smetterla di dipingere i piemontesi come eroici liberatori di un popolo oppresso e riscrivere la storia!

 
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Michelina Di Cesare

Post n°1871 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Michelina Di Cesare (Caspoli, 28 ottobre 1841Mignano Monte Lungo, 30 agosto 1868) è stata una brigante italiana, nata nell'allora Regno delle Due Sicilie.

Indice [mostra
Biografia [modifica]

Nata poverissima a Caspoli, frazione di Mignano Monte Lungo, nella provincia di Terra di Lavoro, oggi in provincia di Caserta, ebbe un'infanzia disagiata. Insieme al fratello[1] infatti, secondo una nota del sindaco di Mignano[2], Michelina si rese protagonista sin da piccola di piccoli furti ed abigeati nel circondario di Caspoli.
Nel 1861 si sposa con Rocco Tanga, che muore l'anno seguente lasciandola vedova. Nel 1862 conosce Francesco Guerra, ex soldato borbonico e renitente alla leva indetta dal nuovo Stato, il quale si diede alla macchia aggregandosi alla banda di Rafaniello[3] fino a diventarne capo nel 1861 alla morte di costui. Michelina ne divenne la donna e in seguito lo raggiunse in clandestinità, come resta testimonianza in un interrogatorio del brigante Ercolino Rasti nel 1863[4]. Secondo alcuni i due si sposarono nella chiesa di Galluccio anche se non c'è registrazione dello sposalizio, ma vi sono alcune testimonianze nelle carte processuali relative all'interrogatorio dell'11 maggio 1865 a Domenico Compagnone, che parla della donna definendola Michelina Guerra moglie di quest'ultimo[4].
Ciò di cui si hanno maggiori certezze è il ruolo nella banda di Michelina: essa divenne elemento di spicco e fu stretta collaboratrice del suo uomo e capobanda. Di ciò si ha chiara notizia dalla testimonianza dello stesso Domenico Compagnone, che nell'interrogatorio aggiunge: La banda è composta in tutto di 21 individui, comprese le due donne che stanno assieme a Fuoco e Guerra, delle quali quella di Guerra è anch'essa armata di fucili a due colpi e di pistola. Della banda [solo] i capi sono armati di fucili a due colpi e di pistole, ad eccezione dei due capi suddetti che tengono il revolvers[4]. Dunque non solo Michelina Di Cesare fece parte effettiva della banda, ma dalle armi che portava se ne ricava che fu una dei suoi capi riconosciuti.
La tattica di combattimento della banda era tipicamente di guerriglia, con azioni effettuate da piccoli gruppi che, concluso l'attacco, si disperdevano alla spicciolata per riunirsi in seguito in punti prestabiliti.
La banda di Michelina, talvolta singolarmente, talvolta in unione ad altre note bande locali, corse parecchi anni (dal 1862 al 1868, come appare dalla nota del sindaco[2]) il territorio tra le zone montuose di Mignano e i paesi del circondario, compiendo assalti, grassazioni, ruberie e sequestri. In particolare si ricorda l'assalto al paese di Galluccio, effettuato con un singolare stratagemma: alcuni briganti erano travestiti da carabinieri e fingevano di condurre altri briganti nella loro foggia, fintamente catturati. Le scorrerie non scemarono neppure quando dopo il 1865 in molte altre zone del Sud il brigantaggio era stato fortemente ridimensionato.
Nel 1868 fu quindi mandato in quelle zone il generale Emilio Pallavicini di Priola con pieni poteri per dare una stretta decisiva alle misure repressive. A tali misure e alle minacce il Pallavicini seppe efficacemente usare le ricompense per le delazioni e le spiate, e proprio una spia fece cadere Michelina e il suo uomo in un agguato.

I briganti vennero fucilati ed i loro corpi furono messi a nudo ed esposti nella piazza centrale di Mignano a monito della popolazione locale.

 
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Ero perso (Hafiz)

Post n°1870 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Ero perso con lo sguardo verso il mare
Ero perso con lo sguardo nell'orizzonte,
tutto e tutto appariva come uguale;
poi ho scoperto una rosa in un angolo di mondo,
ho scoperto i suoi colori e la sua disperazione
di essere imprigionata fra le spine
non l'ho colta ma l'ho protetta con le mie mani,
non l'ho colta ma con lei ho condiviso il profumo e le spine tutte quante.

 
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Libri dimenticati:Il club degli incorreggibili ottimisti

Post n°1869 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Romanzo d'esordio di Jean Michel Guenassia,è una vera sorpresa per il lettore.Il protagonista è indimenticabile,ma anche certe figure di contorno lo sono.Non vi anticipo nulla,dovete leggerlo!

 
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Frase del giorno

Post n°1868 pubblicato il 12 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Bisogna non amare molto coloro che se ne sono andati per cancellarli dalla nostra memoria

 
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