Messaggi del 14/02/2012

Scrittori dimenticati:Horace Walpole

Post n°1902 pubblicato il 14 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Horace Walpole, 4º Conte di Orford (Londra, 24 settembre 1717 – Londra, 2 marzo 1797), è stato uno scrittore inglese, autore de Il castello di Otranto, primo romanzo gotico propriamente detto, e attivo in diversi ambiti e con vari interessi. Famoso fu il suo vasto epistolario con cui intratteneva dotte disquisizioni sui più disparati argomenti.

Biografia

Walpole nacque a Londra il 24 settembre del 1717, ultimo di tre figli di sir Robert Walpole, ministro del governo sotto re Giorgio I e re Giorgio II. Fu educato a Eton e al King's College di Cambridge, dove s'iscrisse nel 1735. Nel 1737 morì la madre, lady Walpole, alla quale era profondamente legato, e lo stesso anno il padre si sposò con Maria Skerrett, la sua domestica. In compagnia del poeta Thomas Gray, collega di università, compì il Grand Tour, viaggiando, tra il 1739 e il 1741, in Francia e Italia. In quegli anni Walpole iniziò il suo celebre, brillante epistolario - più di tremila lettere di carattere politico, storico, artistico, letterario e mondano - al quale egli deve, assieme a Il Castello di Otranto (1764) la sua fama di scrittore.

Tornato in Inghilterra nel 1741, grazie all'appoggio del padre fu eletto in Parlamento, ma l'anno seguente, in seguito alla nomina del padre a terzo conte di Oxford, dovette trasferirsi a Houghton. Lì si occupò di catalogare i quadri di famiglia in un'opera pubblicata nel 1747 con il titolo di Aedes Walpolianae. Esordì nel '48 come poeta, ma senza riscuotere molto successo.

Nel 1747 prese in affitto (ne ottenne la totale proprietà solo due anni dopo), sulle rive del Tamigi, nel sobborgo londinese di Twinkenham, la villa Strawberry Hill, dedicandosi per circa un quarantennio a trasformarla in un vero e proprio piccolo castello, ben presto ammirato e famoso in tutta Europa, uno degli esempi del neogotico (gothic revival) basato su approccio letterario e teorico, visto che non cercò materiali appropriati e non si avvalse di maestranze specializzate per realizzarne l'arredo; nella camera da letto, detta Camera di Holbein, poiché sulle pareti erano copie di ritratti dell'artista, se il camino era ispirato alla tomba dell'arciduca Warham nella cattedrale di Canterbury, con il paravento sul disegno del coro di Rouen, utilizzò per la decorazione goticheggiante del soffitto: cartapesta e le sedie ed il tavolo, per lui del periodo Tudor, erano in realtà della fine del Seicento e provenivano dalle Indie Orientali. La villa sarà perfino dotata, a partire dal 1757, di una tipografia privata, The Elzevirianum, che pubblicherà, fino al 1789, gran parte della produzione dello scrittore, oltre a pregevoli edizioni di classici e opere di amici, come le Odes di Thomas Gray con i disegni di R. Bentley.

Nel 1791, alla morte del nipote, Walpole assunse il titolo di Conte di Orford. Morì a Londra il 2 marzo del 1797, all'età di settantanove anni, e fu seppellito nella tomba di famiglia a Houghton.
La fortuna letteraria

Nel 1751 iniziò a scrivere le proprie memorie, pubblicate solo nel 1791, ma ne interruppe la stesura per dedicarsi all'attività di editore nel 1757. Pubblicò il Catalogo dei reali e nobili autori d'Inghilterra, una sua significativa opera, più volte censurata; Walpole iniziò, partendo da questa esperienza, a scrivere Aneddoti sulla pittura in Inghilterra, fondamentale nello studio delle arti per tutto l'Ottocento.

In un mese del 1764 scrisse il romanzo Il castello d'Otranto, facendolo però passare per la traduzione dall'Italiano di un manoscritto del 1529. Solo dopo il grande successo ripubblicò l'opera firmandola con il proprio nome e togliendo la prefazione.

Il suo nome è anche legato al termine da lui coniato serendipity, un neologismo con il quale, soprattutto nel campo scientifico e delle esplorazioni geografiche, indica la casualità di una scoperta inattesa che non sia stata programmata perché se ne stava cercando un'altra. Horace Walpole utilizzò per la prima volta il termine in una lettera da lui indirizzata all'amico Horace Mann il 28 gennaio 1754. A ispirare Walpole fu la lettura della fiaba persiana dei Tre principi di Serendippo tradotta in italiano da Cristoforo Armeno. Nel racconto i tre protagonisti trovano sul loro cammino per caso o per capacità di osservazione tutte cose che non stavano cercando.

Conobbe Madame du Deffand, la sua maggiore corrispondente, a Parigi nel 1765 e iniziò la realizzazione de La madre misteriosa, una tragedia che riscosse grande successo anche grazie all'interessamento di Lord Byron.
Opere

La sua opera più famosa è Il castello di Otranto (ambientato ad Otranto, nel Salento, in Italia), la cui prima edizione è del 24 dicembre del 1764 (il frontespizio, però, reca l'anno 1765), per la Thomas Lownds. Tra le sue altre opere si conta una tragedia, The Mysterious Mother (1768), e un volumetto di racconti, Hieroglyphic Tales (Racconti Geroglifici) del 1785, stampato in soli sei esemplari.

Tra le opere di argomento storico e artistico-antiquario vanno ricordate: Aedes Walpolianae (1747), A Catalogue of Royal and Noble Authors of England (2 voll., 1758), Historic Doubts on the Reign of King Richard III (1768), A Description of Strawberry Hill (1774), Anecdotes of Painting in England (5 voll., 1762-1780), Memories of the Last Ten Years of George II (1822).

Il suo epistolario è stato raccolto e curato da Wilmart Sheldon Lewis in una serie di 48 volumi con il titolo di The Yale Edition of Horace Walpole's Correspondence, edito tra il 1937 e il 1983.

 
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Scrittori dimenticati:Klaus Mann

Post n°1901 pubblicato il 14 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

el 1942 un soldato americano di nome Klaus Henry Mann chiese, prima di essere mandato in Africa e poi in Italia con la Quinta Armata, di avere un colloquio con un cappellano militare cattolico.
Come risulta dalle lettere di Klaus Mann, intitolate Briefe und Antworten (lettere e risposte), ancora inedite in Italia, Klaus era attratto dal cattolicesimo e desiderava lasciare il luteranesimo in cui era nato.


Sembra che l'incontro ci fu e il cappellano non accettò. Anche se finora non si sa il perché si può fare l'ipotesi che la causa sia stata l'omosessualità di Klaus Mann.

Quest'uomo di 36 anni che aveva fatto di tutto per diventare cittadino americano e andare come volontario nella Seconda guerra mondiale era un grande scrittore, misconosciuto in America ma celebre nella sua patria, la Germania, e nel resto d'Europa. Ancora più celebre era suo padre, Thomas Mann(1875-1955) considerato il maggiore scrittore tedesco del Novecento.

Klaus Mann era nato a Monaco il 18 novembre 1906,secondogenito di Thomas Mann e della bella e intelligente Katia Pringsheim, discendente di una colta e ricca famiglia ebraica convertitasi nel 1825 al luteranesimo. Thomas Mann era luterano ma ateo come egli stesso scrisse in tarda età.

Padre e figlio erano personalità molto diverse: Thomas era un gentile tedesco del nord,egocentrico,dedito al suo lavoro come ad una missione, geniale scrittore e gay represso, come testimoniano chiaramente i suoi Diari.

Il figlio Klaus era buono e della delicata, affascinante bellezza della madre. Klaus era dichiaratamente gay fin dai 19 anni, sensibile e fragile ma tenace nel combattere fin dal 1933 il nazismo tanto da andare in esilio e diventare uno dei più coraggiosi avversari del Terzo Reich.

Anche Thomas Mann fu un tenace antinazista. In famiglia purtroppo vide nel figlio inizialmente uno scapestrato che aveva abbandonato il liceo. Nella bella novella "Disordine e dolore precoce" lo ritrasse nello svagato Bert che gira per la sontuosa villa del padre, un professore, sfaccendato, vestito con una casacca russa e che ha il cuore di un poeta.

Sembra che la freddezza di Thomas Mann verso il figlio dipendesse dal fatto che Klaus aveva scelto di vivere apertamente la sua omosessualità e di scriverne fin dal primo romanzo "La pia danza", un libro delicato, ambientato nella Berlino gay di metà anni 20, in cui si sente un misticismo e una purezza di cuore singolare.

Klaus scrisse 9 splendidi romanzi, 7 commedie, molti racconti, centinaia di articoli, lettere e tenne un diario.Amò senza essere ricambiato lo scrittore francese,seguace del Surrealismo,René Crevel e più tardi ebbe una storia di qualche anno con un giornalista americano Thomas Quinn Curtiss.

Fu amico fraterno della scrittrice lesbica Annemarie Schwarzenbach, del celebre scrittore André Gide, che era ugonotto, e di Jean Cocteau, autore di romanzi, di opere teatrali e regista cinematografico. Sia Gide che Cocteau erano dichiaratamente gay.

Del 1925 è l'esordio teatrale di Klaus nella sua commedia "Anja e Ester"(ancora inedita in Italia)in cui racconta il delicato amore tra due ragazze.

Tre anni dopo Klaus scrive un appassionato romanzo su Alessandro Magno,il giovane che dalla Persia conquistò mezzo mondo fino alla magica India,un eroe gay destinato ad una breve esistenza.Già in queste opere di un ventenne emerge talento e una vena struggente mai retorica.

Klaus era un giovane brillante,mondano ma anche infelice:nel 1933 sceglierà l'esilio e diventerà un grande antinazista. Era di idee liberali,nel senso più nobile del termine e vicino al socialismo.

Animo generoso e spiritualmente cristiano, amico di intellettuali, nobili, proletari, frequentatore del porto di Marsiglia e di fugaci amori con marinai, morfinomane per superare la sua depressione, scrittore instancabile ed ipersensibile nel 34 scrisse il primo romanzo in esilio ad Amsterdam: "Fuga al nord" in cui Johanna, la protagonista, è una studentessa comunista che lascia la Germania.

Si rifugia in Finlanda da un'amica e compagna di università, una dolce e sensibile ragazza finlandese Kristin. Johanna è sconvolta dal regime nazista nel suo paese, per l'esilio e per aver dovuto lasciare la famiglia e gli amici più cari, tra cui Bruno, un ragazzo vitale e solare. Si sente smarrita nella bianca e maestosa Helsinki.

Dopo una serata in una sala da ballo all'aperto Johanna e Kristen trascorrono una notte d'amore. Tra loro vi era stata solo amicizia ma nella residenza estiva della famiglia finlandese Johanna si innamorerà perdutamente del fratello di Kristin, Ragnar.

Bello, incostante, sempre alla ricerca di qualcosa Ragnar è ispirato ad un breve ma importante amore di Klaus Mann per il bel Hans Aminoff. Nonostante Klaus abbia trasformato un amore gay in una relazione etero, come quella tra Johanna e Ragnar, Hans Aminoff acquisterà tutte le copie di "Fuga al nord" per timore di essere riconosciuto. Mentre Klaus scriveva il romanzo Hans Aminoff si era sposato e aveva avuto una figlia.

Johanna e Ragnar partono per un viaggio tra le foreste e i laghi ma Johanna si troverà a dover scegliere tra restare con il ragazzo che ama o raggiungere a Parigi i compagni della Resistenza.

Già nel 1934, a 28 anni, Klaus sente che l'Europa è sull'orlo di una tragedia,  la guerra.

Autore chiaroveggente, intuitivo, profondo nel descrivere sentimenti e stati d'animo Klaus  scriverà poco dopo il suo romanzo più celebre "Mephisto" su un attore che fa carriera nel Terzo Reich e da cui il regista Istvan Szabo trasse nel 1980 un film che vinse l'Oscar.

Nel 34 Klaus scrive un articolo per una rivista praghese a cui la redazione darà il titolo di "Omosessualità e fascismo". In realtà l'articolo parla dell'amore omosessuale fin dall'antichità. "Sinfonia patetica" è la bella biografia romanzata del compositore russo PiotrIllich Cajcovskij.

"Finestra con le sbarre" evoca con intensità gli ultimi due giorni di vita di Ludwig di Baviera, il re gay che amò l'arte e odiò il potere e la guerra. A lui Luchino Visconti dedicò il film "Ludwig" (1972).

Nel 1938 la famiglia Mann si trasferì in America. Klaus visse prevalentemente a New York  e scrisse due bellissimi romanzi: "Il vulcano" su un gruppo di esuli tedeschi tra cui spiccano la fragile Tilly, che si suiciderà, la volitiva e vitale sorella Marion che sposerà Abel,dolce professore ebreo, e Martin,un artista gay e tossicodipendente.

In questo romanzo politico Klaus Mann affronta ancora temi allora scabrosi come l'omosessualità e la dipendenza da droghe. L'ultimo romanzo è "La svolta", splendida autobiografia. In America compone alcuni racconti tra cui spicca "Speed" sull'amicizia tra un esule tedesco al verde e un giovane furfante americano, un bello e dannato che anticipa James Dean.

In America Klaus conosce la povertà, la solitudine e tenta il suicidio ma reagisce partendo volontario per la Seconda guerra mondiale in cui non parteciperà a battaglie ma lavorerà in Italia come giornalista per la Quinta Armata e poi come sceneggiatore di "Paisà" di Rossellini.

Ma finita la guerra resta l'Europa distrutta, la Shoah (e Klaus va a vedere i campi di concentramento nazisti) le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.

Nel 1949 Klaus Mann si reca a Cannes per fare una nuova cura disintossicante,scrive lettere meravigliose ai familiari che si trovano in nord Europa. Il 20 maggio dopo una passeggiata in una Cannes piovosa e dopo aver atteso invano un certo Louis, come scrive nel diario, ingerisce un'alta dose di sonniferi.

Muore il 21 maggio a 42 anni. Gay coraggioso e coerente visse le tragedie del suo tempo, scrittore di talento venne sottovalutato e sempre paragonato al padre, accusato ingiustamente dalla stampa austriaca di essere una spia di Stalin lottò con le armi della cultura contro il nazismo, luterano non potè per via di un cappellano convertirsi al cattolicesimo.

Ignorato dal celebre padre ma amatissimo dalla madre e dalla sorella Erika, attrice e scrittrice, Klaus Mann merita una riscoperta maggiore di quella iniziata in Germania, Francia e Italia dagli anni 80.
 
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Scrittrici dimenticate:L.A.Paladini

Post n°1900 pubblicato il 14 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Luisa Amalia Paladini (Milano, 24 febbraio 1810Lecce, luglio 1872) è stata un'educatrice, scrittrice e poetessa italiana.

  • Rosmunda in Ravenna: Tragedia Lirica da rappresentarsi nel Granteatro la Fenice (di Giuseppe Lillo; libretto: Luisa Amalia Paladini), Venezia, tip. Molinari, [1838]
  • Nuovi canti, Lucca, 1848
  • Fior di memoria per le donne gentili: prose e poesie, Firenze, 1855
  • La famiglia del soldato: racconto, Firenze, 1859 [altra ed. Le Monnier, 1883]
  • Manuale per le giovinette italiane, Firenze, 1864
  • L' orfana di Lancisa (Melodramma di Giuseppe Mazza; libretto: Luisa Amalia Paladini), Milano: Stamp. Dova
  • Lettere di ottimi autori sopra cose familiari raccolte da Luisa Amalia Paladini ad uso specialmente delle giovinette italiane, Firenze, Le Monnier, 1861
 
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Scrittrici dimenitcate:Sfinge

Post n°1899 pubblicato il 14 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Eugenia Codronchi Argeli, vero nome della scrittrice "Sfinge", nacque a Imola nel 1865, figlia del conte Giovanni Codronchi Argeli, esponente dell'aristocrazia bolognese, senatore e ministro della Pubblica Istruzione. Frequentò i maggiori circoli letterari del tempo, conobbe Carducci e Pascoli. Enrico Panzacchi si occupò largamente dei suoi scritti generalmente con larghi encomi.

Sfinge si colloca nell'ambito dell'emergere di un certo tipo di femminismo, forgiato attraverso la partecipazione alle lotte risorgimentali, che ha imparato a osservare, indagare, riflettere. La scrittura stenta ancora a trovare autonomia, a individuare i veri soggetti; rimane ancora a lungo, almeno in parte, succube dei modelli maschili. Augusto Mazzucchetti scrisse sul «Piccolo della Sera» di Trieste, a proposito della Novelle Romagnole, volume singolarmente audace, il più significativo successo novellistico del 1912: «Sono frammenti di vita intensa, resa con tocchi sicuri, violenti a tempo, e a tempo misurati; ed una forte poesia selvaggia, fra il verismo ora triste ed ora giocondo dei fatti e degli episodi, emana da questa prosa, viva di arguzie e smagliante di colori». L'«Illustrazione italiana» di Milano osserva che «Il valore etnico di questo libro è superiore al merito artistico, che non è piccolo». Il romanzo L'Anima Gemella si rivolge all'anima femminile con parole di seduzione, fatto per fanciulle romantiche ed ideali, che vivono in solitudine l'eterno sogno d'amore, un libro di carezze, di sentimento, di fascino irresistibile. In Lettere intime si mostra ribelle ai convenzionalismi della società a lei contemporanea, mediante una forma suggestiva, elegante e colorita.

Ha collaborato con le riviste «Natura e Arte» (dove ha pubblicato Il Galeotto – Dal libro della vita) e soprattutto con il periodico «Donna» di Torino, dove pubblica il racconto Un po' di sole sulla neve. Sulla «Gazzetta del popolo» pubblica, tra gli altri, i racconti Pie donne, Il peggior dolore, Mariolina si diverte. Collabora anche con «La sera», «Il giornale d'Italia» (Antonio Guadagnoli e la Toscana dei suoi tempi), «Il Fanfulla della domenica», «Nuova Antologia», «Il Giornale di Genova». È autrice del testo teatrale Le Nuvole, commedia in quattro atti del 1921.

Muore nel 1934 a Castel S. Pietro in provincia di Bologna.

 
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Milano 1898

Post n°1898 pubblicato il 14 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

a protesta dello stomaco è la definizione data da Napoleone Colajanni ai moti milanesi del maggio 1898, che vennero duramente repressi dal Regio Esercito, agli ordini del generale Fiorenzo Bava Beccaris e che fanno parte dei cosiddetti Moti popolari del 1898

Situazione prima della sommossa

Nel 1898, l'assetto formale del Regno d'Italia era quello tipico dello Stato liberale ottocentesco, così come si era delineato anche mediante l'esperienza risorgimentale. In particolare, la partecipazione alla vita politica era ancora riservata ad una minoranza di cittadini, appartenenti perlopiù ai ceti agiati: la scelta del suffragio censitario, adottata per motivazioni varie e talora contrastanti, era stata poi conservata, pur con progressive estensioni, anche dai governi della Sinistra storica, nonché sostenuta da un fervente repubblicano quale Francesco Crispi, soprattutto in ragione delle gravi condizioni di analfabetismo in cui, ancora alla fine del secolo, versava una grande parte della popolazione italiana.

Proprio negli stessi anni, l'affacciarsi di nuove istanze sociali dovuto al progressivo sviluppo industriale italiano e lo sviluppo dei primi movimenti di massa, quali il socialismo, interpreti di tante aspirazioni del ceto popolare, crearono sempre maggiori frizioni con le istituzioni, che si orientarono, per contro, a un controproducente irrigidimento su posizioni conservatrici. Sintomatico di ciò, era, ad esempio, l'atteggiamento nei confronti delle nascenti organizzazioni sindacali, tollerate come semplici associazioni nonché controllate dal governo.

Milano all'epoca, con quasi mezzo milione di abitanti, era la seconda città italiana più popolata dopo Napoli e già era la capitale finanziaria della nazione: la città più importante dove sperimentare nuovi modelli di una società semi-industrializzata in una fase cruciale di sviluppo ed emancipazione del ceto popolare guidato da un ceto borghese milanese colto e illuminato.

La situazione nazionale era già problematica per la notevole disoccupazione e i bassi salari, ma il fatto decisivo per il malcontento di massa fu l'aumento di costo del grano e quindi del pane da 35 a 60 centesimi al chilo a causa degli scarsi raccolti agrari. Molti e competenti politici tentarono di organizzare la protesta in modo pacifico per poter ottenere dal governo riforme in senso democratico, ma il malessere popolare era tale che il movimentismo spontaneo di tendenza anarchica, radicale e socialista prevalse: pur non essendoci un progetto rivoluzionario, nel 1898 l'avversione popolare contro tutte le istituzioni statali e coloro che le rappresentavano toccò il suo apice nella allora breve storia d'Italia.

Le prime rivolte popolari si verificarono in Romagna e Puglia il 26 e 27 aprile, e in seguito in tante città e paesi: nei tumulti diversi rivoltosi morirono. Il 2 maggio a Firenze fu dichiarato lo stato d'assedio così come a Napoli due giorni dopo.
La situazione militare a Milano prima degli scontri
Barricate dei rivoltosi ed intervento dei bersaglieri, Milano 1898, foto di Luca Comerio

Sin dai primi giorni del mese di aprile, il generale Bava, comandante il III Corpo d’Armata, considerate le prime avvisaglie di agitazioni manifestatesi in tutta Italia, aveva iniziato l’organizzazione delle forze alle proprie dipendenze, in vista del sempre più probabile utilizzo delle stesse nell’ambito di operazioni di ordine pubblico nelle provincie di pertinenza della sua unità.

Tra i principali presidi del III Corpo d’Armata, oltre a Milano, figuravano, tra gli altri, Como, Bergamo, Brescia, Lecco, Monza, Varese, tutti centri ad alta densità industriale, e dunque, date le contingenze, ad alto rischio di agitazioni. Le forze totali disponibili per il presidio di Milano ammontavano a circa 2000 uomini di fanteria, 600 di cavalleria e 300 di artiglieria a cavallo, e d’altro canto, data la situazione tesa in tutta la Lombardia, non vi era la possibilità di attendersi rinforzi cospicui dai presidi circonvicini. Inoltre, bisogna considerare che la situazione delle truppe ai primi di maggio era ulteriormente complicata dalla chiamata alle armi della classe di leva 1873 (da effettuare nei giorni 6, 7 e 8 maggio), che comportava numerosi problemi logistici e organizzativi.

Il 2 maggio, il Ministero dell’Interno, considerata la situazione generale del Regno, aveva autorizzato i Prefetti ad affidare, in caso di necessità, il ristabilimento dell’ordine all’Autorità militare territorialmente competente. Il 5 maggio, il Prefetto di Milano, barone Antonio Winspeare, comunicò al generale Bava che per il giorno seguente si temevano gravi disordini in città. Il generale provvide così a richiamare in città anche il 5º Reggimento Alpini, che si trovava alle sedi estive, inviandone però due distaccamenti a Varese e Lecco. Le truppe presenti a Milano, alla sera del 5 maggio, potevano così contare su un rinforzo di circa 150 alpini.
Le quattro giornate milanesi
Venerdì 6 maggio

Il 6 maggio 1898 verso mezzogiorno, alcuni agenti di polizia s'infiltrarono tra gli operai della Pirelli di via Galilei; approfittando della pausa pranzo, in fabbrica venivano distribuiti volantini di protesta, su cui fra l'altro stava scritto che il governo era il vero responsabile della carestia che travagliava il Paese. La polizia arrestò sindacalisti e operai: dovette muoversi Filippo Turati, deputato dal 1896, per farli rilasciare quasi tutti, e in questura ne restò solo uno. I lavoratori della Pirelli reclamarono la liberazione del compagno e la loro protesta ebbe la solidarietà delle maestranze di altre fabbriche cittadine. Al termine della giornata il braccio di ferro tra operai e poliziotti non era finito: verso sera, in risposta alla sassaiola di un gruppo di dimostranti, la polizia sparò qualche colpo. Verso le 18.30, un drappello del 2º battaglione del 57º Reggimento fanteria "Abruzzi", al comando dell’allora maggiore Luca Montuori, venne richiamato da forti rumori in via Napo Torriani: una folla di circa 1000 dimostranti stava assaltando la caserma di Questura, e, dopo aver ammucchiato materiali e mobilio davanti al portone, stava anche tentando di darvi fuoco. Nel frattempo, il Delegato di Pubblica Sicurezza, insieme alle guardie presenti in caserma e ad un altro drappello di militari, precedentemente ritiratosi all’interno dell’edificio, resosi conto della situazione, ordinò alla truppa di uscire e, per forzare il blocco opposto dai manifestanti, dalla cui massa erano anche partiti alcuni colpi di arma da fuoco, dopo uno squillo di tromba fece aprire il fuoco sulla folla. I manifestanti arretrarono, dando così modo all’altro drappello di soldati di raggiungere la caserma e respingere poi, senza ulteriormente fare fuoco, la folla fino oltre la vicina stazione ferroviaria. Cessati gli scontri, rimasero sul terreno circa 8 manifestanti, di cui 2 morti, e una guardia di P. S., certo Violi, gravemente ferito da una rivoltellata. Morì poche ore dopo in ospedale. Per stessa ammissione del generale Bava, questo episodio, che fu in pratica il primo scontro cruento tra militari e manifestanti avvenuto a Milano, fu tra le principali cause del successivo precipitare degli avvenimenti.
Sabato 7 maggio

Il giorno seguente, 7 maggio, venne proclamato uno sciopero generale di protesta al quale la cittadinanza aderì in massa riversandosi nelle strade principali della città. Agli operai provenienti dagli stabilimenti della periferia milanese, si aggiunsero quelli delle attività presenti in città, oltre a un'imponente massa di popolazione appartenente alle più varie categorie, dalle tabacchine ai macchinisti ferrotramviari. Massiccio fu anche il concorso di giovani e comunque di cittadini non organizzati, oltre alla ovvia e cospicua presenza di attivisti e agitatori di ispirazione anarchica, repubblicana, socialista, nonché di una quota non indifferente di cattolici intransigenti, sostenitori del potere temporale del papa, il cui punto di riferimento era don Davide Albertario, direttore dell'Osservatore Cattolico.

Barricate furono innalzate a Porta Venezia, Porta Vittoria, Porta Romana, Porta Ticinese e Porta Garibaldi. Il generale Bava, dopo aver ricevuto un telegramma dal Governo in cui gli si affidava il ristabilimento dell'ordine in città, si portò in Prefettura, da dove organizzò preliminarmente l’impiego delle truppe. Affidatane la direzione operativa al generale Luchino Del Majno, si portò in Piazza del Duomo, ove, sotto una tenda da campo, insediò il suo quartier generale. Da lì intendeva dirigere direttamente le truppe con un movimento a raggiera, con l'obiettivo di respingere la massa dei dimostranti verso le porte della città.

Nel pomeriggio di quella stessa giornata, il governo, irremovibile nel vedere dietro i disordini una trama rivoluzionaria, decretò per Milano lo stato d'assedio, affidando i pieni poteri al generale Fiorenzo Bava Beccaris, che fu così nominato Regio Commissario Straordinario della Città e Provincia di Milano. Entrò così in azione, per riportare l'ordine, l'esercito con la cavalleria, il cui effetto venne però vanificato dalle barricate prontamente erette e dalle tegole lanciate dai tetti delle abitazioni. Il passo successivo fu quindi, da parte delle truppe e delle forze di polizia, il ricorso al fuoco contro i manifestanti.

Tra l’altro, numerose vittime civili si contarono proprio tra i curiosi che, dalle finestre, assistevano agli scontri nelle vie della città, tanto che, in un decreto commissariale dello stesso 7 maggio, il generale Bava ordinò che «verificandosi conflitti per le vie si dovranno chiudere le persiane che prospettano le vie medesime». Alla sera del 7 maggio, secondo le stime ufficiali, a Milano vi era una massa di almeno 30.000 dimostranti, il cui numero è però da considerarsi realisticamente molto maggiore. Viceversa, agli iniziali circa 3000 militari presenti a Milano, ai quali si affiancavano circa 1000 agenti di polizia, vennero progressivamente ad aggiungersi due battaglioni provenienti dal 91° e dal 92º Reggimento fanteria "Basilicata" e un ulteriore battaglione del 48º Reggimento fanteria “Ferrara”, oltre a uno squadrone del 23º Reggimento Cavalleggeri “Umberto I”.
Domenica 8 maggio


La giornata dell'8 maggio era destinata a imprimersi, tragicamente, nell’immaginario collettivo: i cannoni entrarono in azione contro le barricate e la folla, composta da uomini e donne, ma anche da vecchi e bambini. Quel giorno infatti, mentre continuavano ad affluire piccoli nuclei di rinforzi alle truppe, la situazione si faceva particolarmente drammatica, data la persistenza di numerose barricate, che il solo impiego delle truppe a piedi e a cavallo non riuscivano ad eliminare. In particolare, a Porta Ticinese si registrava la situazione più grave, giacché la folla a presidio delle barricate era particolarmente numerosa e ben determinata a non cedere agli attacchi delle truppe. I comandi, in ultima analisi nella persona del generale Bava Beccaris, decisero così l’utilizzo dell’artiglieria. I pezzi della 2ª batteria a cavallo spararono così alcuni colpi a mitraglia, ottenendo sì una rapida dispersione della folla, ma provocando diverse vittime.

Non solo, ovviamente, i settori vicini ai manifestanti, ma anche l’opinione pubblica moderata restò profondamente scossa da quelle cannonate, che rappresentarono, e rappresentano tutt’ora, una delle più gravi responsabilità del generale Bava. I morti accertati, secondo l’esercito, furono 3, oltre, però, a numerosissimi feriti, anche molto gravi. Alla sera del giorno 8, il generale Bava Beccaris telegrafò al Presidente del Consiglio, Antonio di Rudinì, e al Ministro della Guerra, Alessandro Asinari di San Marzano, che la rivolta si poteva «considerare domata».
Lunedì 9 maggio

Nella notte tra l’8 e il 9 maggio, giunsero a Milano anche due colonne di rinforzi alle truppe, comandate dai generali Pelloux e Marras, che portarono così il presidio cittadino a circa 6200 effettivi totali. Il 9 maggio i militari continuarono a eseguire scariche di fucileria, obbedendo agli ordini, ma i rivoltosi milanesi continuarono a opporre una tenace resistenza con le barricate, a conferma del fatto che le agitazioni non erano ancora del tutto cessate.

Dopo che alcuni informatori avevano riferito che all’interno del convento dei Cappuccini in via Monforte si erano rifugiati numerosi rivoltosi, si ebbe un altro episodio particolarmente drammatico: i comandi ordinarono nuovamente l’utilizzo dell’artiglieria. I soldati, a cannonate, aprirono così una breccia nel muro di cinta del convento, provocando, anche qui, alcuni morti. Una volta penetrativi, trovarono i frati e circa 150 poveri che attendevano la distribuzione giornaliera del cibo. Furono tutti prelevati e portati in prefettura, salvo poi essere in gran parte rilasciati nei giorni successivi. Dopo che altri numerosi milanesi restarono uccisi e feriti, i bersaglieri espugnarono l'ultima barricata in zona di largo La Foppa.
La carneficina

Le vittime della carneficina non son state precisamente quantificate dagli storici per diversi motivi. Il numero esatto delle vittime mai è stato precisato: le autorità di allora fissarono in un centinaio i morti e circa 400 i feriti. Secondo la Prefettura, le vittime accertate furono 88, mentre secondo il celebre cronista e politico repubblicano Paolo Valera, i morti sarebbero stati almeno 118, e i feriti oltre 400. Secondo alcuni testimoni oculari i morti furono oltre 300. Il governo diffuse i suoi dati e i giornali di opposizione esagerarono i numeri a scopo propagandistico denunciando financo 800 morti. Nel celeberrimo canto popolare ci si riferisce a mille caduti ma la cifra è da considerare una licenza poetica.

La Croce Rossa fornì alcuni dati ma non ebbe il controllo totale nei soccorsi; molti familiari di morti e feriti non denunciarono i decessi né si avvalsero di strutture ospedaliere onde evitare le conseguenze della repressione. Tra i soldati si contarono due morti: uno si sparò accidentalmente e l'altro fu fucilato sul posto subito dopo essersi rifiutato di aprire il fuoco sulla folla.
Situazione dopo la sommossa
La repressione

Lo stato d'assedio venne mantenuto anche quando i milanesi erano stati ormai ridotti in condizioni di non nuocere. Tutti i giornali antigovernativi subirono la messa al bando e tanti furono gli arrestati anche tra i deputati parlamentari: tra gli altri subirono l'arresto Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Andrea Costa, Leonida Bissolati, Carlo Romussi, Paolo Valera.

Per la sanguinaria repressione, a Fiorenzo Bava Beccaris, soprannominato il macellaio di Milano dall'opinione pubblica, venne conferita la croce di Grande Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia: gesto che inasprì ancor più gli animi. Il capo del governo, Antonio di Rudinì, gli telegrafò: «Ella ha reso un grande servigio al Re e alla patria».

Meno di un mese dopo, il 6 giugno 1898 il Re in persona mandava a Bava Beccaris il seguente telegramma: «Ho preso in esame le proposte delle ricompense presentatemi dal ministro della guerra a favore delle truppe da lei dipendenti e col darvi la mia approvazione fui lieto e orgoglioso di onorare la virtù di disciplina, abnegazione e valore di cui esse offersero mirabile esempio. A lei poi personalmente volli offrire di motu proprio la Croce di Grand'Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia, per rimeritare il grande servizio che Ella rese alle istituzioni ed alla civiltà e perché Le attesti col mio affetto la riconoscenza mia e della patria. Umberto».

Il generale Bava Beccaris ottenne un seggio al Senato il 16 giugno 1898.
Le conseguenze

Numerosi disordini e tumulti si susseguirono in altrettanti comuni italiani sino alla prima guerra mondiale. L'eco della strage sollevò grande impressione nelle numerose comunità italiane all'estero, formate dai milioni di emigranti che, nell'ultimo quarto del XIX secolo, erano espatriati in cerca di lavoro, costretti dalle disastrose condizioni economiche nazionali. Lo storico Ettore Ciccotti portò solidarietà ai rivoltosi milanesi e perciò fu accusato di propaganda sovversiva, che gli costò la destituzione dalla cattedra dell'accademia scientifico-letteraria di Milano e la fuga in Svizzera per evitare l'arresto. Durante la sua latitanza svizzera scrisse il saggio La sommossa di Milano - Note di un profugo (1898). Il 29 luglio del 1900, a Monza, Umberto I venne assassinato dall'anarchico Gaetano Bresci, emigrato negli Stati Uniti, che dichiarò esplicitamente di aver voluto vendicare i morti del maggio 1898 e l'offesa per la decorazione conferita a Bava Beccaris

 
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1898 anno di sommosse

Post n°1897 pubblicato il 14 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

 

moti popolari del 1898 furono una serie di sollevamenti e proteste popolari sorti in tutta l’Italia dal gennaio 1898 e che perdurò fino a luglio dello stesso anno, motivate da gravissime condizioni sociali.

Indice [mostra
Cause [modifica]

Le sommosse si svilupparono in seguito ad anni di tensioni interno allo Stato. Se da un lato, infatti, si resero più democratiche le istituzioni rendendo elettivi i sindaci dei comuni ed i presidenti delle deputazioni provinciali nel 1888 e si diede l'avvio al moderno codice penale Zanardelli, entrato in vigore il 1º gennaio 1890, dall'altro però vi furono gravissime lacune nei confronti del benessere dello stato, fra queste la guerra delle tariffe doganali aperta nei confronti della Francia e le finanze che subirono il contraccolpo della disastrosa guerra coloniale in Africa culminata con la sconfitta di Adua. Le ripercussioni nella politica interna italiana furono rilevanti anche perché sopraggiunsero in un momento di gravi tensioni politiche e sociali, si pensi agli scontri avvenuti nella sola Sicilia in quegli anni con i "fasci siciliani" o le organizzazioni anarchiche della Lunigiana e delle Camere del lavoro socialiste del nord verso le quali erano state applicate violente misure repressive e sancite condanne da parte di tribunali militari.

Anche nel campo della borghesia la situazione non era priva di contrasti, si presentavano vaste le ripercussioni di fallimento d'imprese edilizie e di banche a cui si erano aggiunti scandali politici che già avevano investito pure Giovanni Giolitti per fidi concessi a Francesco Crispi della Banca Romana.

Le proteste contro di quella che fu definita dalla stampa d'opposizione dell'epoca una "politica autoritaria, megalomane e militarista" del Presidente del Consiglio Crispi avevano assunto il carattere d'un vasto movimento d'opinione pubblica che lo aveva costretto a ritirarsi nel 1896. Il governo Di Rudinì si trovò cosi a rispondere all’esasperazione e il malcontento delle masse dovuto oltretutto ad un altro rincaro del pane causato dal rialzo dei costi del trasporto marittimo connesso con le tensioni tra Spagna e USA e che sfociò nella guerra ispano-americana.

Il 1º dicembre 1897 il ministro dell'economia Luigi Luzzatti presenta la chiusura dei conti di fine anno con un avanzo di 17 milioni di lire e il raggiungimento di buoni risultati grazie ai pesanti tagli della spesa pubblica, ma invece di impiegare tali fondi per gli urgenti bisogni sociali furono impiegati a sostegno d’apparati burocratici e di credito. Le manifestazioni e il malcontento che si era visti farsi sempre più forti negli ultimi mesi del 1897, trovano largo consenso a partire dal gennaio del 1898.

Gennaio 

A gennaio innumerevoli manifestazioni, sempre represse dal governo, si svolgono in tutta Italia per il pane, il lavoro e contro le imposte nelle province di Modena e Bologna intervengono interi reparti di fanteria, e la polizia arresta decine di persone. A metà gennaio viene aumentato il prezzo del pane e la reazione popolare non si fa attendere la polizia carica i manifestanti a Forlì, mentre ad Ancona e a Senigallia interviene un battaglione di fanteria inviato da Pesaro. Ancona è affidata al generale Baldissera il quale, assumendo i pieni poteri militari, ordinando arresti di massa. Il 23 gennaio il governo decide di attuare una diminuzione minima della tassa doganale sul grano, misura che è del tutto insufficiente e come dando avvio alle contromosse approvate durante il mese di dicembre del 1897 richiama alle armi 40.000 riservisti da impiegare nella repressione delle manifestazioni. Le proteste si fanno sentire in tutta Italia, scioperi e tumulti si contano a decine in Sicilia, in Campania, nelle Marche.

Febbraio [m

Il 3 febbraio Perugia è posta in stato d'assedio. Il 16 febbraio l’esercito interviene contro una manifestazione a Palermo, la truppa spara su disoccupati, donne e ragazzi: il bilancio è di cinque morti e ventotto feriti, il paese, posto in stato d’assedio, è occupato da due compagnie di fanteria. Il 22 febbraio, a Modica i carabinieri fanno cinque morti.

Marzo 

In marzo, Bassano è messa sotto controllo dal regio esercito, mentre nel bolognese sono sciolte le cooperative ed arrestati vari sindacalisti e lavoratori.

Aprile [

Il popolo insorge nelle città di Ferrara, Faenza, Pesaro, Napoli, Bari e Palermo. Il 25 aprile l’esercito e le forze dell’ordine occupano Bari, messa in stato d’assedio, mentre dal mare l’incrociatore Etruria punta i cannoni sulla città. Fra il 28 e il 30 aprile sono represse con durezza le manifestazioni che si tengono in Campania e in Puglia. I fermenti, non più contenuti dalle normali misure di pubblica sicurezza, si allargano a macchia d’olio coinvolgendo Rimini, Ravenna, Benevento e Molfetta, finendo con l’interessare, in breve tempo, gran parte della penisola.

Maggio [modifica]

Il 1° maggio, a Molfetta si contano cinque morti, e il 5 maggio altri due. Da Bari accorre la fanteria, mentre anche a Minervino e altrove nella regione si accendono qua e là focolai di protesta: la situazione è critica, e il governo affida la Puglia al generale Pelloux. Ai primi di maggio l’esercito apre il fuoco a Bagnacavallo, si contano sei morti; il nello stesso periodo cadono due manifestanti a Piacenza e uno a Figline Valdarno. Il 5 maggio durante una pubblica assemblea davanti al municipio i carabinieri falciano 4 manifestanti a Sesto Fiorentino. La protesta esplosa in tutta Italia assume una svolta decisiva a Milano: comincia qui la tragica catena di eventi che sfoceranno in un epilogo sanguinoso. Il 5 maggio a Pavia mentre si cominciano ad avere tafferugli tra manifestanti e agenti viene ucciso dalle forze dell’ordine Muzio Musso figlio del sindaco di Milano che tenta un’opera di mediazione per evitare tragedie.

A Milano
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La notizia giunta a Milano crea un clima generale di tensione. Il 6 maggio verso mezzogiorno, la polizia arresta sindacalisti e operai, solo grazie all’intervento di Filippo Turati (deputato dal 1896) per farli rilasciare praticamente tutti: in questura ne resta solo uno. I lavoratori della Pirelli reclamano la liberazione del compagno, e la loro protesta riceve la solidarietà delle maestranze di altre fabbriche cittadine. Verso sera in risposta al lancio di dei sassi da parte di un gruppo di dimostranti una compagnia di soldati apre il fuoco, il bilancio è di tre morti e numerosi feriti. La popolazione milanese reagisce compatta, viene indetto uno sciopero generale di protesta per il giorno 8 intanto la cittadinanza si riunisce in massa riversandosi nelle strade principali della città. Entra in azione la cavalleria, il cui effetto viene però vanificato dalle barricate erette per strada e dalle tegole lanciate dai tetti delle abitazioni. Nel pomeriggio di quella stessa giornata, il governo, utilizzando come scusa un possibile intento rivoluzionario nelle manifestazioni, decreta per Milano lo stato d'assedio, affidando i pieni poteri al generale Fiorenzo Bava Beccaris.

L’8 maggio i cannoni aprono il fuoco contro la folla e l'esercito riceve l'ordine di sparare contro ogni assembramento di persone superiore alle tre unità. Restano uccise centinaia di persone, e accanto ai morti si potranno contare oltre un migliaio di feriti più o meno gravi. Il numero esatto delle vittime non è mai stato precisato, secondo la polizia rimasero a terra uccisi 100 manifestanti e si contarono 500 feriti, per l’opposizione, i morti furono invece 350 e i feriti più di mille.

Il 9 maggio, quando ormai l’”ordine” era stato pienamente ristabilito a Milano e nel resto del paese, il generale Bava Beccaris, appoggiato dal governo fece sciogliere associazioni e circoli ritenuti sovversivi e arrestare migliaia di persone fra cui deputati appartenenti ad organizzatori socialisti, repubblicani, anarchici, e sopprimere la stampa d’opposizione. Il 12 è tratta in arresto a Roma l’intera redazione dell’Avanti e sono fatte chiudere fino a nuovo ordine tutte le università.

Si conteranno conseguenti a questi arresti oltre 800 condanne inflitte da tribunali militari, lo stesso Turati subirà una condanna a 12 anni di reclusione. Gli avvenimenti crearono grossi contrasti interni al governo che videro dimissione del ministro degli esteri Emilio Visconti Venosta seguite il 28 maggio da quelle dell’intero ministero Rudinì.

Giugno 

Di Rudinì avuto dal re l'Incarico per ricostituire il governo lo compose il 10 giugno e lo presentò al parlamento il 16 dello stesso mese chiedendo oltretutto poteri eccezionali quali la possibilità di sospendere il diritto allo sciopero, d’associazione, di insegnamento, limiti alla libertà di stampa ecc. ma la netta opposizione della camera a tali progetti indusse il presidente del consiglio a rassegnare al re le proprie dimissioni. Il 29 giugno Umberto I dà incarico al generale Pelloux di costituire il nuovo Gabinetto.

Luglio 

Le ultime manifestazioni vengono sedate e viene tolto definitivamente lo stato d’assedio nelle città e nelle regioni nelle quali era stato dichiarato.

 
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Giuseppe Pescetti

Post n°1896 pubblicato il 14 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Giuseppe Pescetti nacque a Castelnuovo Berardenga nel 1859 e morì a Firenze nel 1924. Fu avvocato e dal 1897 fino all'anno della sua morte sedette in Parlamento quale deputato socialista per le legislature. Nel 1885 il Pescetti fondò una società protrettrice dei fanciulli. Ricercando in tante case le famiglie dei ragazzi abbanbonati, scosso dalla visione di tante miserie che non potevano essere sanate per iniziativa personale, abbandonò le iniziali idee repubblicane: costituì le prime leghe e i primi fasci e fu tra i promotori della Camera del Lavoro. In seguito fu fra i sostenitori della Lega Socialista Fiorentina, che rappresentò quale delegato al congresso nazionale del Partito dei Lavoratori italiani tenutosi a Reggio Emilia nel 1893.

Egli ebbe una grande influenza sulla conduzione della Amministrazione comunale, conquistata dalle forze popolari proprio alla fine del secolo precedente; egli agì da tramite fra la Giunta e gli organismi burocratici superiori, ebbe grande importanza per i consigli anche legali su scelte che allora ebbero una grande risonanza; egli rappresentò un punto di riferimento importantissimo per gli amministratori di Sesto, certamente senza molta esperienza in materia.

Proprio per la sessione di Sesto e per il collegio di Firenze III, egli si presentò quale candidato in occasione delle elezioni politiche del 1895, in antagonismo col deputato uscente Carlo Ginori, conservatore e sostenitore della politica governativa. Ma nell'intero collegio, non solo del comune di Sesto, le elezioni ebbero per lui esito negativo. La sconfitta elettorale del socialista Pescetti fu dovuta soprattutto al fatto che socialisti e repubblicani erano divisi. I socialisti avevano fatto una grande compagna elettorale; lo stesso Pescetti aveva tenuto molti comizi, riuscendo a far orientare verso il socialismo molti operai repubblicani. Ma sussisteva ancora una forte inimicizia fra i due partiti.

Quando nel 1897 riuscì ad ottenere più voti di Carlo Ginori diventò il primo deputato socialista toscano, ed il primo maggio di quell'anno venne festeggiato per la prima volta con una astensione dal lavoro.

In Parlamento, dove sedette all'estrema sinistra, il Pescetti si trovò sempre all'avanguardia in tutte le lotte a favore del popolo, che in lui ebbe un fervente sostenitore.

Il rimboschimento di Monte Morello fu uno dei tanti problemi di cui egli si occupò. Oltre che per l'abolizione del tribunale supremo di guerra e per l'assistenza sociale ai fanciulli abbandonati, egli si batté per l'istituzione di istituti professionali qualificati nei quali potessero essere preparati i giovani meno abbienti; sostenne la fondazione della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e fu presidente alla posa della prima pietra, cerimonia a cui intervenne anche Vittorio Emanuele III; si interessò ai problemi delle ferrovie; si occupò della erezione del nuovo palazzo delle poste e di altri problemi amministrativi di Firenze, dove fu consigliere comunale prima di divenire deputato.


 

 
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Sebastiano Del Buono

Post n°1895 pubblicato il 14 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Nacque a Firenze nel marzo del 1858 da Orazio e Caterina Bianchi. Dopo aver frequentato la scuola tecnica, nel 1877 fu assunto come impiegato presso la rete ferroviaria adriatica e si iscrisse all'Associazione generale degli impiegati civili. Fu tra i socialisti più in vista a Firenze anche per il ruolo svolto nella nascita delle principali organizzazioni socialiste della città. Nel 1892, insieme con G. Pescetti, I. Danielli, P. Ciotti e E. Ciacchi, fondò il Circolo socialista fiorentino; l'anno successivo partecipò alla costituzione del Comitato regionale toscano del Partito dei lavoratori e della Lega socialista fiorentina e nel 1894, allorché dalla fusione di queste organizzazioni nacque l'Unione socialista fiorentina, vi aderì. Non fece tuttavia parte degli organi direttivi di queste associazioni.

Nel 1892 partecipò attivamente alla costituzione della Camera del lavoro di Firenze, svolgendo anche una intensa propaganda, e nel 1893, entrato nella commissione organizzatrice e divenuto vicepresidente della prima commissione esecutiva, la rappresentò al congresso delle Camere del lavoro che si tenne a Parma nel giugno-luglio 1893. Nel 1894 entrò nel Consiglio generale e nella giunta esecutiva della sezione ferrovieri, avendo contribuito alla sua fondazione, e la rappresentò nell'esecutivo della Camera del lavoro.

Ciò gli consentì di entrare nella giunta esecutiva di quest'ultima quale archivista bibliotecario. Fu inoltre il principale promotore dell'adesione alla Camera del lavoro dell'Associazione degli impiegati civili, nella quale da tempo si adoperava per stabilire un collegamento con le altre organizzazioni dei lavoratori. A questo fine anche al congresso di Parma aveva sostenuto l'opportunità di fare aderire gli impiegati alle Camere del lavoro.

Nel 1894, per effetto delle leggi eccezionali, fu arrestato e condannato a sei mesi di reclusione e 100.000 lire di multa, ma nel 1895 fu assolto sia in appello sia in Cassazione. Ritornato in libertà, nel febbraio 1895 entrò nella commissione istituita presso la Camera del lavoro per elaborare proposte in merito alla istituzione dei probiviri ed altri provvedimenti legislativi atti a prevenire agitazioni e scioperi attraverso il miglioramento delle condizioni dei lavoratori. In giugno divenne segretario del comitato esecutivo della sua Camera del lavoro e successivamente fu delegato a rappresentarla al congresso operaio di Venezia dell'ottobre 1895.

Tra il 1896 e il 1897 si occupò dell'agitazione delle lavoratrici della treccia di paglia e fece anche parte della commissione governativa d'inchiesta sulle condizioni di queste operaie. Nel 1895 fece parte dell'Associazione elettorale fiorentina e, dopo il suo scioglimento, nello stesso anno entrò nella Federazione elettorale fiorentina e nel Comitato elettorale toscano istituiti dai socialisti in occasione delle elezioni.

Il 10 maggio 1896 svolse la relazione politico-morale al congresso socialista toscano (Firenze) ma, in polemica con Mondolfo che proponeva l'abbandono dell'intransigenza, restò fuori dal comitato esecutivo regionale creato da quel congresso, la cui sede fu fissata a Colle Val d'Elsa per limitare il peso dei fiorentini. Nell'ottobre del 1896 partecipò anche all'VIII Congresso nazionale dei cooperatori, come delegato della Cooperativa vetraria fiorentina della quale era proboviro, e fu eletto membro del consiglio generale della Lega delle cooperative italiane. Il 29 ag. 1897 partecipò al congresso regionale toscano delle cooperative e delle società di mutuo soccorso. Il congresso provinciale socialista di Firenze del 1897 lo designò candidato del partito per il collegio di Prato, ma egli declinò la candidatura.

Sebbene nel corso delle agitazioni di Firenze per il rincaro del pane sviluppatesi nel maggio 1898 avesse cercato di contenere le manifestazioni di piazza, fu condannato a otto mesi di detenzione; l'indulto sovrano concesso il 29 dicembre gli consentì di uscire dal carcere, seppur poco prima dello scadere del termine della condanna. Da quel momento la sua attività politica e sindacale si intensificò, anche perché, in seguito alla condanna, aveva perso il posto alle ferrovie. Tra il marzo e l'ottobre del 1899 fu corrispondente da Firenze dell'Avanti! e nel marzo del 1900 entrò nella redazione dell'organo socialista di Firenze, La Difesa. Nel1899 fu candidato dei partiti dell'estrema Sinistra per le elezioni amministrative e nel 1900 fu candidato per le politiche, nel collegio di San Casciano, trovandosi contrapposto a S. Sonnino. Solo nel giugno 1902, però, fu eletto consigliere comunale a Firenze.

In quello stesso anno, durante lo sciopero delle fonderie Pignone, si adoperò per moderare la tensione e per evitare lo sciopero generale di solidarietà, invitando gli altri lavoratori a devolvere a beneficio degli operai della Pignone il salario delle giornate di sciopero programmate. Nel contempo, però, cercò di responsabilizzare le autorità cittadine e il consiglio di amministrazione della Pignone, ma A. Angiolini, che dirigeva La Difesa, chiese che il partito sconfessasse il suo operato.

Nel 1903 partecipò al congresso della Lega nazionale delle cooperative e sostenne la tesi dell'adesione delle cooperative alle Camere del lavoro. Nel 1904 aderì allo sciopero generale, ma, seguendo la linea dei riformisti, fece sì che a Firenze quello sciopero venisse dichiarato a tempo determinato.

Il suo riformismo derivava anche dal carattere mite, per il quale molti lo chiamavano "buon Bastiano" e altri lo definivano "segretario da parata". Gli venivano peraltro riconosciuti da tutti correttezza e senso della misura ed era sua ferma convinzione che fosse di primaria importanza consolidare ogni conquista dei lavoratori e che i socialisti si formassero una solida coscienza amministrativa sia per gestire le amministrazioni locali sia per rafforzare le organizzazioni dei lavoratori.

Collocatosi pertanto nella corrente che a Firenze faceva. capo a G. Neraccini, dedicò le sue notevoli capacità di organizzatore allo sviluppo della Camera del lavoro e delle cooperative e nel 1910 promosse l'istituzione di una scuola di legislazione sociale per gli operai. Una cura particolare dedicò ai ferrovieri e alle sigaraie, che a Firenze erano le categorie più combattive, e ne fece il nucleo portante dell'organizzazione sindacale. Nel 1904 e nel 1909 fu ancora ripetutamente battuto da Sonnino quale candidato per le elezioni politiche nel collegio di San Casciano. Fu invece eletto consigliere comunale sia nel 1904 sia nel 1907 e fece parte della giunta capeggiata da F. Sangiorgi, occupandosi principalmente delle abitazioni popolari, della mortalità infantile, delle condizioni di lavoro in alcune fabbriche cittadine e della situazione economica dei dipendenti comunali. Nel 1906 partecipò al congresso nazionale socialista di Roma ed entrò nella direzione del partito, ma nel 1908 non fu rieletto. Al congresso nazionale della resistenza che si tenne a Modena nel 1908 fu eletto membro del Consiglio nazionale della Confederazione generale del lavoro (CGdL) e nel 1910 entrò nel consiglio direttivo, del quale continuò a far parte fino al 1922. Nel 1912 fu eletto anche rappresentante delle organizzazioni operaie della Toscana.

Nel 1911-12, in contrasto con i riformisti di destra fiorentini, si schierò contro la guerra di Libia e favorì l'adesione della Camera del lavoro allo sciopero contro la guerra. Ma al congresso del 1912 votò, insieme al gruppo confederale, contro l'espulsione di Bissolati, Bonomi, Cabrini e Podrecca.

Nel corso della crisi che seguì, a Firenze gli intransigenti conquistarono la maggioranza nel partito, mentre la Camera del lavoro rimase sotto il controllo dei riformisti e il D. mantenne la segreteria. Questo contrasto raggiunse il culmine durante la "settimana rossa" e il D., accusato di aver sospeso troppo presto lo sciopero, fu costretto a dimettersi.

Negli anni successivi il suo peso politico diminuì, sebbene egli avesse conservato la carica onorifica di presidente del Consiglio generale della Camera del lavoro. Divenne invece segretario della Federazione nazionale del personale salariato degli ospedali e dei manicomi e nel 1915 anche direttore dell'organo dei postelegrafonici, La Catena. Nel 1914 fu rieletto consigliere comunale e anche consigliere provinciale.

Nella polemica sull'intervento si schierò tra i neutralisti: ma non riteneva concretamente possibile fare dell'opposizione alla guerra un momento della strategia rivoluzionaria. Durante il conflitto, insieme con G. Pieraccini e la sua corrente, si batté per evitare che gli intransigenti conquistassero la maggioranza nella Camera del lavoro. Tuttavia sostenne l'azione contro il carovita, contribuì alla realizzazione della prima Casa del popolo della città (1917) e favorì l'alleanza tra le cooperative di Firenze. Ciò gli consentì di riacquistare progressivamente peso nel movimento sindacale e nel partito, anche perché nel 1918 le misure di polizia misero in difficoltà gli intransigenti.

Rientrò nella redazione della Difesa, e nel maggio 1918 presiedette anche un'assemblea generale degli iscritti di Firenze. Nel 1918, quale membro del comitato direttivo della CGdL, fu tra coloro che insieme a L. D'Aragona e B. Buozzi firmarono l'accordo che definiva i rapporti tra la Confederazione e il partito. Ma nel dopoguerra il recupero degli intransigenti, che ottennero anche il controllo della Camera del lavoro, determinò il declino del D., che da allora ottenne solo ampi riconoscimenti e qualche carica onorifica. Tuttavia nel 1920 fu di nuovo eletto consigliere comunale e provinciale ed anche presidente del Consiglio provinciale. Nell'esercizio di questa carica ebbe modo di dare prova di dignità e fermezza di fronte alle violenze squadristiche. Nel 1921 non aderì alla scissione di Livorno.

Morì il 3 genn. 1922 a Firenze.

Nonostante che i funerali civili fossero stati vietati dal governo Mussolini, numerosi socialisti intervennero ugualmente e il grande corteo si configurò come una imponente manifestazione contro il fascismo.

 
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Sono una donna (Haddad)

Post n°1894 pubblicato il 14 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Nessuno può immaginare
quel che dico quando me ne sto in silenzio
chi vedo quando chiudo gli occhi
come vengo sospinta quando vengo sospinta
cosa cerco quando lascio libere le mie mani.

Nessuno, nessuno sa
quando ho fame, quando parto
quando cammino e quando mi perdo,
e nessuno sa
che per me andare è ritornare
e ritornare è indietreggiare,
che la mia debolezza è una maschera
e la mia forza è una maschera,
e che quel che seguirà è una tempesta.
Credono di sapere
e io glielo lascio credere
e avvengo.

Hanno costruito per me una gabbiaaffinché la mia libertà
fosse una loro concessione
e ringraziassi e obbedissi.
Ma io sono libera prima e dopo di loro,
con loro e senza di loro
sono libera nella vittoria e nella sconfitta.

La mia prigione è la mia volontà!
La chiave della prigione è la loro lingua
ma la loro lingua si avvinghia intorno alle dita del mio desiderio
e il mio desiderio non riusciranno mai a domare.

Sono una donna.
Credono che la mia libertà sia loro proprietà
e io glielo lascio credere
e avvengo.

 
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Libri dimenticati:La morte non sa leggere

Post n°1893 pubblicato il 14 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Bellissimo romanzo di Ruth Rendell,da leggere

 
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Frase del giorno

Post n°1892 pubblicato il 14 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

E' inutile temere ciò che non si può evitare

 
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