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Post N° 51

Post n°51 pubblicato il 27 Dicembre 2007 da ladycosette

Quella mattina Lei era felice. Si alzò come sempre pochi istanti prima di me per andare in cucina a preparare il latte caldo. Aspettai il gorgoglio della caffettiera prima di buttarmi giù dal letto. A metà strada, nel corridoio, ci si veniva già in contro, lei con la tazza io con la voglia di fermare il tempo a quell'istante infinito. Mi guardò, in silenzio, allungando le mani verso me perchè bevessi. E così fu, in piedi, lì. Non c'era tempo di aspettare, avevamo tutto il programma scandito e lei me lo avrebbe fatto rispettare.

Poi entrai in bagno, l'acqua calda nella vasca, i capelli da lavare, la schiena...prepararsi. Mi sentii togliere la spugna dalle mani e la sua voce mi disse:      - Dai che la schiena te la lavo io come quando eri piccola -
La lasciai fare, paga di quelle coccole che ora mancano tanto. Io e lei come sempre, così uguali eppure esseri differenti. Tutto quello che sono e quello che so viene da lei. Nonna era fantastica. Una donna di quelle che solo il passato può consegnare a noi come mito da emulare. Forte del suo essere donna. Matriarca indiscussa. Ed io per tutti la sua erede, scelta tra tutti, per meriti e onori conseguiti sul campo di battaglia. Non l'avremmo mai più immaginato ma quella mattina lei stava passando lo scettro dalle sue alle mie mani. Quella mattina fu la mattina dell'incoronazione: ero pronta. Così lei voleva, così aveva previsto.

Quel giorno passò senza che noi due smettessimo di guardarci negli occhi fiere, unite, sospiranti lo stesso sospiro, ridendo dello stesso riso, parlando con le medesime mute parole.

Dopo quella ci fu una tremenda e lunghissima mattina in cui feci a velocità folle tutti i chilometri che ci separavano in un tempo inumano. Avevo giurato che non l'avrei lasciata morire sola e così fu. Arrivai da lei che, come percepì la mia presenza, si staccò con un ultimo gesto folle la mascherina del respiratore. Era come se mi dicesse:   -Ora sono pronta a morire-

Per i tre interminabili giorni che seguirono non mi mossi dal suo fianco. Imploravo silente infermiere e medici per non mandarmi fuori dalla camera. Stavo lì, giorno e notte ora dopo ora, senza dormire, a tenerle la mano, medicarle la bocca, darle un po' di sollievo bagnandole le labbra. La coprivo, cercavo di scaldarla, le parlavo e continuai a farlo baciandole la fronte, le mani, passandomi le sue mani sul viso chiedendo implorando una sua carezza. Inutilmente, piano piano, la giravo nel letto per farle cambiare posizione e per avvicinala, per meglio abbracciarla. La notte nascondevo il viso nell'incavo tra la sua spalla e il collo. La baciavo, respiravo il suo odore e stavo lì, come quando ero piccola, quando mi teneva stretta e pelle contro pelle ci scambiavamo la vita la forza l'esperienza.

Spirò così, tra le mie braccia.

Ricordo ancora come un mare di dolore quella corsa giù per le scale, quel grido in mezzo alla via, quel battere al portone della chiesa e finalmente farmi aprire, scaraventare a terra il parroco e avicinarmi all'altare sfidando Dio! Tu me l'hai presa. Tu me l'hai rubata. TU ADESSO ME LA RIDAI O VENGO SU E TI SPACCO LA FACCIA!

Basito il sacerdote gridava all'eresia: -Si fermi...si fermi...lei non sa quello che dice!- Io ferma in piedi, ritta, col pugno teso, sfidavo Dio in persona senza timore senza vergogna! L'avrei abbattuto se la coscienza non mi avesse fermata. Spaccai una sedia. Me ne andai.

Ora faccio i conti col tempo che è passato. Faccio i conti con la sua assenza. Faccio i conti con il mio dolore.

 
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