LE CITTA' DEL SUD

L’ENTRATA TRIONFALE DI GARIBALDI IL “REDENTORE” A NAPOLI VISTA DA GIUSEPPE BUTTA’


Giuseppe Buttà è stato un presbitero, scrittore e memorialista e, assieme a Giacinto de' Sivo, è forse il più famoso tra gli scrittori legittimisti filoborbonici. Nel 1860, allo sbarco di Garibaldi, partecipò all’intera campagna militare, seguendo il suo battaglione nell’inesorabile ritirata dalla Sicilia fino a Gaeta, e potendo assistere da testimone oculare a molti avvenimenti storici, fra cui la Battaglia di Milazzo, gli scontri sotto le mura di Capua e la Battaglia del Volturno. Fu tra i capitolati di Gaeta e, alla resa della piazzaforte e in seguito alla proclamazione dell’unità d’Italia, dopo un breve periodo di detenzione fu costretto all’esilio in quanto sospetto cospiratore filoborbonico. Nel 1975 pubblica “Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta”, una memoria sulla della spedizione di Mille, che tuttora rimane la sua opera più famosa ed in cui è forte il suo desiderio di far conoscere la “storia imparziale”, nella la speranza che questo avrebbe reso giustizia di tanti soprusi e persecuzioni patite.La sua è la storia ma raccontata, quella dei vinti, che in questo stato, dal 1861, è stata volutamente  concellata o secretata negli archivi di stato. Leggere Buttà, come anche Giacinto De Sivo, ci aiuta a comprendere cosa è realmente accaduto in in quel terribile anno che ha segnato la fine di un regno ricco e indipendente e l’inizio delle sofferenze del popolo meridionale. Ecco cosi scrive a proposito  dell’entrata “trionfale” di Garibaldi in Napoli: “E’ indescrivibile il baccano che si fece all’entrata di Garibaldi in Napoli; qualunque penna non potrebbe darne un’idea approssimativa. Quel baccano superò l’altro di Palermo. Quelli però che applaudirono il dittatore erano stranieri, camorristi, donne di cattivo odore in toletta di signore; gente avida di novità, sfaccendati speranzosi di ghernire una pagnotta, e gente prezzolata. Si disse che Don Liborio erogasse in quella giornata ventiquattromila ducati dello Stato per suscitare que’ saturnali indecentissimi. La nobiltà napoletana quasi tutta avea preso la via dell’esilio, il clero sparito per incanto, l’onesta borghesia serrata in casa propria, le botteghe chiuse: il campo reso libero a’ camorristi, alla comprata plebaglia. Tutta questa gente girava in armi la città, a piedi e in carrozza, gridando Italia una, con tutte l’altre appendici, costringendo i curiosi spettatori a gridare nel modo medesimo, se no busse e coltellate. Questa gente buttava fiori sopra Garibaldi redentore; e gridò tanto Italia una che perdette la voce, e fu costretta alzare il dito indice della mano destra per indicare quell’una senza neppure intendere cosa fosse. Don Liborio fu ben servito da que’ gridatori, egli uomo scaltro avea fissato il prezzo corrispondente a’ gridi ed ai chiassi di ciascuno. Preti spretati e monaci apostati, irti d’armi e di crocifissi, faceano anche numero in quel baccano. Più di cento cinquanta uffiziali di artiglieria, del genio, e d’altri corpi, disertori chi per codardia, chi per non perdere l’impiego, tenendo perduta la causa del Re, faceano anche numero fra quel popolaccio scomposto e briaco.Faceano numero in quell’orgie tanti stranieri venuti a Napoli a bella posta per far popolo ed applaudire Garibaldi. Anche antichi impiegati rimasti per amor del proprio bene in officio, sperando promozioni applaudivano. Questi ultimi si atteggiavano a liberali per quanto si erano mostrati assolutisti e provocanti: si vantavano, chi liberale del 1820 e del 1848, raccontando persecuzioni che non avevano mai sofferte da’ Borboni. Anche le spie della polizia borbonica in quel giorno memorando vestivano aspetto di liberali, e si protestavano congiuratori e vittime del passato Governo.Quel giorno, invece di essere il trionfo di Napoli, come lo chiamarono i cosi detti liberali, fu giorno che rilevò l’ingratitudine e la bassezza di non pochi napoletani, da far vergognare ogni anima onesta. Era rivoluzione: e non dobbiamo meravigliarci, se la feccia era venuta su. Cosi aviene in tempestosa marea, torna a galla ciò che in fondo giace.Quasi in tutte le strade di Napoli seccedevano què tripudii satanici, ed i promotori erano per lo più quelli beneficati da’ Borboni, o gli stessi condannati da’ tribunali per fellonie perpretate nel 1820, nel 1830 e 1848, e a cui Ferdinando II non solo avea fatto grazia, ma aveali rimessi ne’ perduti impieghi. Questa gente facea di più, aizzava i camorristi e compagnia a perseguitare gl’innocui cittadini, o perchè designati come borbonici, o perchè non voleano far parte di quelle orgie”.