LE CITTA' DEL SUD

LIBERIAMOCI DAL MERIDIONALISMO E DAL SICILIANISMO


 Quando calarono i “figli della nebbia”... potrebbe iniziare così l’adagio, sulla scia degli innumerevoli lamenti che ci hanno visto protagonisti ieri,  oggi e – probabilmente – anche domani, noi meridionali.Un adagio sommamente consolatorio che scarica sui “cattivi” venuti dal nord che ci hanno invaso, conquistato, colonizzato, spogliato dei nostri averi, tutti i mali presenti e futuri del Sud-Italia. Poi si potrebbe aggiungere noi che fummo e ci sentiamo magnogreci fino al midollo e, ancora, la famosa frase del gattopardo siciliano sulle “magnifiche civiltà”.La dobbiamo smettere!Noi li invitammo quei figli della nebbia, aprimmo loro le porte delle nostre città, delle nostre dimore, dei nostri salotti buoni, delle nostre banche stracolme di liquidità.Tutto in nome di una fregola forestiera: “la modernità”.Stavamo avviandoci – e in gran parte ci eravamo già riusciti – verso la modernità col nostro passo, un passo da meridionali quali eravamo e quali siamo, con una dinastia – la borbonica – che si era napoletanizzata, al punto da parlare finanche la nostra lingua. Invece no, bisognava fare in fretta, e farlo con quei ‘fratelli’ italiani che forestieri si sarebbero dimostrati per davvero occupandoci con truppe guidate da ufficiali che parlavano francese.Il primo assaggio, noi meridionali, lo avevamo avuto nel non lontanissimo 1799. Uno scontro fratricida tra sciammerghe (giubba lunga con falde, marsina, simbolo di quella borghesia che impadronendosi del demanio pose fine agli usi civici) e occupanti francesi da un lato, lazzari e filoborbonici dall’altro con decine di migliaia di morti. Alla storia gli uni sono stati consegnati come martiri della libertà, gli altri come i sanfedisti sanguinari che annientarono il fior fiore della borghesia meridionale!I francesi coi loro eserciti insanguinarono tutta l’Europa e anche le nostre contrade meridionali, ma non è politicamente corretto dirlo, scriverlo o dimostrarlo, fonti alla mano.Chi vince decide chi è patriota. Lo furono veri patrioti i martiri napoletani del 1799. E così sia.La storia si ripeté nel 1860 e i morti furono centinaia di migliaia, praticamente non se ne conosce il numero e né lo si vuol conoscere. Molti documenti furono distrutti nel cosiddetto “forno della carta” e altri sono stati per decenni e sono ancora non facilmente accessibili.I contadini siciliani prima e i contadini meridionali del continente poi furono utilizzati dai vari comitati liberali antiborbonici come forza d’urto contro l’esercito meridionale facendolo sciogliere come neve al sole. Nel giro di pochi mesi – passata l’illusione garibaldina – furono quegli stessi contadini a reimbracciare i fucili e ad insorgere contro il nuovo regime che si stava rivelando peggiore del vecchio.Una guerra civile decennale – 1860-1870 – che terminò con la sconfitta degli insorti meridionali e la consacrazione manu militari del nuovo stato.Da questa guerra e dagli avvenimenti di questi primi dieci anni di unità, discende tutto: questione meridionale, meridionalismo e sicilianismo.Durante questi anni o si era unitaristi o traditori della patria con tutto ciò che ne conseguiva sul piano lavorativo e personale. Anni in cui il potere militare determinava scelte e comportamenti e contro il quale si poteva reagire solo con le armi. Tanto è vero che i giornali che provarono a criticare il nuovo regime furono tutti chiusi, uno dopo l’altro e spesso i responsabili imprigionati. La stessa parola “borbonico” era divenuta pericolosa da pronunciare o – nel migliore dei casi – sinonimo di “reazionario”. E lo resterà fino ai giorni nostri. Per i più lo è ancora, per noi che scriviamo è termine consegnato alla storia del paese meridionale: non ne facciamo un mito e non ce ne vergogniamo, anzi per noi ha un suono familiare, di qualcosa che ci appartiene e ci fa stare meglio. I liberali che avevano lottato per la caduta dei borbone si trovarono stretti tra il rinnegare se stessi e la propria opera (vedi le Lettere Meridionali di Villari del 1861 e del 1875) e magari rimetterci di persona – schierandosi apertamente contro il nuovo regime – oppure fare buon viso a cattivo sangue, guadagnandoci pure qualche incarico e un buon stipendio.La relazione della commissione Massari (meridionale, pugliese) e la legge Pica (meridionale, abruzzese) furono le antesignane di tutte le successive commissioni, inchieste, relazioni, provvedimenti sul mezzogiorno fino ad oggi.Un paese – quello meridionale – la cui economia veniva messa in ginocchio da una guerra civile diventava un luogo da studiare, capire, aiutare!Ci aiutarono. Prima a suon di schioppettate e campi di concentramento (Forte di Fenestrelle ed altri), poi con qualche provvedimento legislativo per tenerci buoni. E continuano a farlo pure oggi, con la nostra complicità ovvero di quelli che ancora credono nella storiella dell’atavica questione meridionale. Noi non ci crediamo più e da anni, ormai.Per noi la questione meridionale così come fu posta in quegli anni di guerra fratricida e come viene ancora posta dagli epigoni di quei liberali meridionali che aiutarono i piemontesi a precipitarci nel baratro, non esiste e non è mai esistita.Per questo è ora che buttiamo alle ortiche tutto ciò che ne consegue e cioè quell’armamentario culturale pseudo-scientifico detto meridionalismo (e sicilianismo) che non è servito altro a trovare pezze giustificative al “disastro meridionale” (Cfr. L’unità truffaldina - L’origine politica del capitalismo padano e del disastro meridionale di Nicola Zitara).Concludiamo queste righe citando pochi ma interessanti casi di studiosi o politici – chiamateli meridionalisti o come vi pare – che hanno espresso pareri forti e che però tali pareri sono pressoché sconosciuti e non solo al grande pubblico. GRAMSCI: "Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti". Ordine Nuovo" 1920 SALVEMINI: “[ ... ] Ogni giorno che passa diventa sempre più vivo in me il dubbio, se non sia il caso di solennizzare il cinquantennio [dell'Unità] lanciando nel Mezzogiorno la formula della separazione politica. A che scopo continuare con questa unità in cui siamo destinati a funzionare da colonia d'America per le industrie del Nord, e a fornire collegi elettorali ai Chiaraviglio del Nord; e in cui non possiamo attenderci nessun aiuto serio né dai partiti conservatori, né dalla democrazia del Nord, nel nostro penoso lavoro di resurrezione, anzi tutti lavorano a deprimerci più e a render più difficile il nostro lavoro? Perché non facciamo due stati distinti? Una buona barriera doganale al Tronto e al Carigliano. Voi si consumate le vostre cotonate sul luogo. Noi vendiamo i nostri prodotti agricoli agli inglesi, e comperiamo i loro prodotti industriali a metà prezzo. In cinquant'anni, abbandonati a noi, diventiamo un altro popolo. E se non siamo capaci di governarci da noi, ci daremo in colonia agli inglesi, i quali è sperabile ci amministrino almeno come amministrano l'Egitto, e certo ci tratteranno meglio che non ci abbiano trattato nei cinquant'anni passati i partiti conservatori, che non si dispongano a trattarci nei prossimi cinquant'anni i cosiddetti democratici”. Cfr. Lettera di G. Salvemini ad A. Schiavi, Pisa 16 marzo 1911, in C. Salvemini, Carteggi, I. 1895-1911, cit., pp. 478-81. STURZO: "Che le regioni italiane abbiano finanza propria e propria amministrazione secondo le diverse esigenze di ciascuna, e che la loro attività corrisponda alle loro forze... è razionale e giusto... Io sono unitario, ma federalista impenitente. Lasciate che noi del Meridione possiamo amministrarci da noi, da noi disporre il nostro indirizzo finanziario, distribuire i nostri tributi, assumere la responsabilità delle nostre opere; non siamo pupilli, non abbiamo bisogno della tutela interessata del Nord". La Regione, 1901 di Zenone di Elea, 17 Febbraio 2006Fonte:http://www.eleaml.org/sud/den_spada/liberiamoci_meridionalismo.html