LE CITTA' DEL SUD

QUELLE GRIDA DI DOLORE CHE VENGONO DAL SUD


Il 10 gennaio 1859, Vittorio Emanuele II si rivolse al parlamento sardo con la celebre frase del «grido di dolore» che cosi recitava: “Il nostro paese, piccolo per territorio, acquistò credito nei Consigli d'Europa perché grande per le idee che rappresenta, per le simpatie che esso ispira. Questa condizione non è scevra di pericoli, giacché, nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d'Italia si leva verso di noi! “Ma oggi sappiamo che quel grido di dolore non esisteva ma fu’, come riporta il deputato Giuseppe Massari che partecipò alla stesura di quel discorso, suggerito da Napoleone III che, insieme a Cavour ed in seguito agli accordi Plombières, cercarono disperatamente un pretesto «non rivoluzionario» per muovere guerra all'Austria sul suolo italiano.In particolare in base a tali accordi il Regno di Sardegna, la Pianura padana fino al fiume Isonzo e la Romagna pontificia avrebbero costituito il Regno dell’Alta Italia sotto la guida di Vittorio Emanuele, il resto dello Stato Pontificio, eccetto Roma e i suoi dintorni, con il Granducato di Toscana avrebbe formato il Regno dell’Italia centrale, Roma, assieme ai territori immediatamente circostanti, sarebbe rimasta al papa ed, infine, il Regno delle Due Sicilie sarebbe rimasto sotto la guida del sovrano dell’epoca, Ferdinando II. Questi quattro Stati italiani avrebbero formato una confederazione, sul modello della Confederazione germanica, della quale si sarebbe data la presidenza onoraria al papa.Se le cose fossero andete cosi, oggi non staremmo qui a parlare di “questione meridionale” e forse la confederazione Italiana (o Italica), nonostante la crisi, svolgerebbe un ruolo economico di primissimo piano e godrebbe di maggior rispetto a livello internazionale.E invece è successo che il Piemonte non si accontentava solo della fetta del Nord, ma voleva tutta la torta. E cosi si mise in atto una campagna prima denigratoria verso il regno delle Due Sicilie per screditare la monarchia Borbonica e giustificare l’intervento militare dei piemontesi, poi militare con l’instaurazione dello “stato d”assedio” e la violenta repressione che duro’ fino al 1870.  E questa volta “le grida di dolore” dovevano provenire dalle popolazioni meridionali, le quali sebbene fossero già liberate da tempo dallo straniero, avessero una loro patria indipendente ed una economia industriale che muoveva i primi passi, non conoscessero fenomeni come la disoccupazione o l’emigrazione, “dovevano” essere aiutate dal magnanimo re galantuomo Vittorio Emanuele II e dal filantropo e missionario Cavour.Fu solo dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie e il successivo stato d’assedio necessario, come detto, per reprimere la reazione del popolo duosiciliano all’invasione dei piemontesi, che le condizione della “bassa Italia” cominciarono a peggiorare irrimediabilmente.Fu distrutta l’economia, tolte le terre ai contadini e consegnati i territori al controllo delle mafie dei baroni siciliani e della camorra napoletana. In sostanza l’unità d’Italia è stata per il Sud, come ha scritto Gramsci nel 1920, “una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti”. Già, perchè i meridionali, da un giorno all’altro, da sudditi del Regno delle Due Sicilie diventarono tutti briganti, e alla storia non importa se fossero, in gran parte, partigiani che per lottavano per difendere la loro terra da un invasore straniero che disprezzava il popolo meridionale e a cui negava ogni diritto oltre che la dignità di uomini.Fu quindi dopo l’unità d’Italia che cominciarono a levarsi le “vere” grida di dolore dalle province meridionali e questa volta non solo non furono ascoltate ma si usò contro di essa la violenza, le deportazioni, gli eccidi di massa, gli stupri, le condanne a morte senza processo. E questi crimini furono commessi dai “fratelli” italiani del Nord che venivano al Sud a liberare i loro sfortunati fratelli terroni dallo straniero oppressore, o come diremmo oggi vennero ad esportare democrazia.Ma per fortuna tutte queste cose ritornano pian piano alla luce e si scopre cosi che il mezzoggirono non era questa area arretrata ma aveva un prodotto interno lordo che si equivaleva (se non addirittura superiore) a quello degli altri stati preunitari. Questi dati sono stati pubblicati da due ricercatori del CNR, Malanima e Daniele, che hanno ricostruito il prodotto delle regioni italiane dal 1891 al 2004 ed un stima del prodotto del Nord e del Sud dal 1861 fino ad oggi. La loro ricerca e quelle recenti sulla crescita ineguale dell’Italia inducono a ritenere che divari rilevanti fra regioni, in termini di prodotto pro-capite, non esistessero prima dell’Unità; che essi si siano manifestati sin dall’avvio della modernizzazione economica (più o meno fra il 1880 e la Grande Guerra); che si siano approfonditi nel ventennio fascista; che si siano poi ridotti considerevolmente nei due decenni fra il 1953 e il 1973; che si siano aggravati di nuovo in seguito alla riduzione dei tassi di sviluppo dell’economia dai primi anni ’70 in poi.Alla data dell’Unità, quindi, non esistevano differenze tra le due aree del paese. Per i vent’anni successivi all’Unità l’entità del divario tra Nord e Sud rimane trascurabile: assai probabilmente non superò i 5 punti percentuali. Nel 1891, la differenza tra il Pil pro capite meridionale e quella del resto del paese è di 7 punti percentuali. Nel ventennio fascista, il divario Nord-Sud aumenta sensibilmente, passando da 26 a 44 punti percentuali. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il divario tra Nord e Sud è massimo. Un recupero si osserva a partire dalla fine degli anni Cinquanta. In quegli anni, in cui l’Italia compie il processo di “catching- up” nei confronti delle economie più avanzate, si compie una fase di convergenza tra le due aree del Paese. Il tasso di crescita medio annuo del Mezzogiorno è allora del 5,8 per cento annuo, mentre quello del Nord è del 4,3. Il divario tra le due aree si riduce sensibilmente e, nel 1973, il Pil pro capite meridionale raggiunge il 66 per cento di quello del Nord. Dopo il primo shock petrolifero la crescita italiana, però, rallenta sensibilmente e il Mezzogiorno sembra accusare più del Centro-Nord il rallentamento della crescita. Il divario si riapre di nuovo, in un processo di divergenza che si protrae ininterrotto fino ai giorni nostri. L’Italia è quindi la somma di due nazioni diverse per cultura, per economia, per occupazione, per prodotto interno lordo, e con una sistema politico che non è piu’ in grado di rimettere in pari Nord e Sud, cosi come, per esempio, ha fatto la Germania tra Est ed Ovest ed in soli 10 anni, investendo somme da capogiro e facendo pagare la ricostruzione ai tedeschi dell’Ovest. Immaginate se dovessimo chiedere ai “fratelli padani” di pagare piu tasse per rimettere in pari il Sud quale potrebbe essere la loro reazione.Eppure il Sud (sfatiamo questo altro luogo comune) ha avuto dallo stato aiuti percentualmente sempre minori rispetto a quanto investito al Nord. A partire dalla parole del primo governatore della Banca d’Italia, Carlo Bombrini, che voleva un Sud non piu’ in gradi di intraprendere (perchè tanto odio verso di noi?), si è avuta una progressiva riduzione sia dei capitali investiti che degli investimenti pubblici Dopo la seconda guerra mondiale, il Piano Marshall, sebbene il Sud avesse subito piu’ danni di guerra, andò completamente a sostegno delle fabbriche del Nord. Successivamente il piano della Cassa per il Mezzoggiorno si è rilevato fallimentare perchè quel poco che è stato investito (solo lo 0,3 % del PIL nazionale), e per lo piu’ senza controllo e senza un piano strategico, in molti casi è ritornato al al Nord attraverso “strani” cambi di sede legale delle aziende tosco-padane. E si continuerà fino ai giorni nostri con lo scandalo dei fondi FAS, inizialmente destinati per l’85% nel Mezzogiorno e per il 15% nel Centro-Nord, ma che le manovre del governo hanno ridistribuito in maniera iniqua allocando 18,9 miliardi al Mezzogiorno e 19,4 miliardi al Centro-Nord (4,6 miliardi sono stati destinati a diversi interventi post-terremoto in Abruzzo). Tali manovre, pertanto, hanno determinato uno spostamento dal Sud al Centro-Nord di 16,5 miliardi di euro, e questo ha comportato un onere fortemente concentrato sui cittadini del Sud, a cui questo governo sta facendo pagare in maniera sproporzionata ed iniqua la crisi del paese.Oggi, quelle grida di dolore sono ancora presenti sebbene continuino ed essere inascoltate dallo stato italiano, mentre nessuno si accorge che la crisi dell’Italia la sta pagando il Sud, che ora comincia ad avere difficoltà a mettere il piatto a tavola e di conseguenza non puo permettersi di acquistare piu quei beni di consumo la cui produzione è concentrata al Nord. E se il Sud non consuma il Nord va in crisi, e, allora, invece di inveire continuamente contro il mezzogiorno e chiedere continuamente la secessione, la Lega Nord dovrebbe chiedersi come farebbe il Nord a vivere senza l’energia prodotta al Sud o senza un mercato di sbocco dei propri prodotti. Il Nord senza il Sud è piu’ debole. Ma queste sono domande che la Padania non si pone rilanciando solo finte battaglie il cui fine è quello di fare del Sud la palla al piede, il capro espiatorio di una condizione che, al contrario, è stata generata da 150 anni di politica miope che ha preferito investire solo in una parte del paese lasciando l’altra morire lentamente. Eppure il miracolo economico italiano non si fondò sulla finanza, ma sul lavoro, sulla fatica dei lavoratori. E la maggioranza di questi lavoratori erano meridionali costretti a lasciare la propria terra e ad andare a lavorare per i padroni del Nord. Quei lavoratori, con la loro fatica, hanno arricchito il Nord. Senza il Sud il miracolo italiano non ci sarebbe stato. Ed il Sud ha pagato un prezzo enorme alla sua emigrazione: ha perduto le braccia più forti, i cervelli migliori, le persone più capaci e più piene di spirito di iniziativa.Secondo il Rapporto SVIMEZ 2011 sull’economia del Mezzogiorno, il Sud Italia ha dunque subito più del Centro-Nord le conseguenze della crisi: una caduta maggiore del prodotto, una riduzione ancora più pesante dell’occupazione che ha raggiunto complessivamente il 25%, e la desertificazione del già debole tessuto industriale. Due giovani su tre nel Sud Italia sono senza lavoro  Ma le cattive notizie per il Sud non finiscono qua. Su 533mila posti di lavoro in meno in tutto il Paese dal 2008 al 2010, ben 281mila sono stati nel Mezzogiorno. Con meno del 30% degli occupati italiani, al Sud si concentra dunque il 60% della perdita di posti di lavoro.Ma Sud e Nord sono legati indissolubilmete da un unico filo: se non cresce l’uno non cresce l’altro. Se non cresce il Sud, l’italia non esce dalla crisi ed il rischio di una deriva Greca al Sud trascinerà l’intero paese nel baratro della bancarotta.Come ha piu volte dichiarato il presidente dello SVIMEZ Giannola: “occorre puntare sulla ritrovata centralità del Mediterraneo, in cui il Sud ricopre una posizione avvantaggiata; sulla fiscalità differenziata, da rivendicare con totale fermezza in sede europea, per permettere una maggiore attrazione di investimenti italiani e stranieri; una politica industriale centrata su logistica, fonti energetiche (alternative e tradizionali) e su una dotazione di risorse ambientali nettamente superiore a quella del resto del Paese. Il Mezzogiorno non si deve presentare come "palla al piede", ma come opportunità strategica per dare nuovo impulso al sistema Italia”.Allora se si vuole tenere unito il paese bisogna che finalmente si ascoltino queste grida di dolore (stavolta vere e non inventate come 150 anni fa) e che il divario Nord-Sud diventi il primo interesse del governo italiano. Oggi siamo al bivio, o si risolve la questione meridionale o dopo 150 anni, l’esperianza unitaria della penisola italiana potrebbe essere messa a serio rischio e forse il Sud, una volta indipendente, con le sue eccellenze, le sue risorse, con l’aiuto della comunità internazionale e guardando di nuovo, e finalmente, al mediterraneo, potrà ritornare ad essere orgoglioso di se stesso. Chi ci perderà saranno solo i nostri fratelli settentrionali.