LE CITTA' DEL SUD

L'ALBERGO DEI POVERI: IL GRANDE SOGNO RIVOLUZIONARIO DI CARLO III


L'Albergo dei Poveri, opera di Ferdinando Fuga, fu realizzato nel 1751 su incarico di Carlo di Borbone, che  di pari passo con la realizzazione da parte di Vanvitelli della grande Reggia di Caserta, voleva un edificio che potesse ospitare tutti i poveri del Regno. L'Albergo doveva quindi rappresentare, nell'idea di re Carlo , un simbolo: il simbolo della "pietà illuminata" della casa dei Borbone verso i propri sudditi.L'albergo costruito dalla dinastia napoletana dei Borbone prevedeva l'edificazione di una struttura capace di accogliere circa ottomila tra poveri, diseredati, sbandati e immigrati. Nell'ospizio gli ospiti erano divisi in quattro categorie: uomini, donne, ragazzi e ragazze. Il progetto originario prevedeva un complesso edilizio molto più grande di quello attuale. Doveva estendersi su una vasta superficie con un prospetto di 600 metri di lunghezza e una larghezza di 135 metri e comprendere cinque grossi cortili; in quello centrale era prevista l'edificazione di una chiesa con pianta stellare a sei bracci. In realtà fu edificato solo in parte di quanto progettato: la facciata misurò 354 metri di larghezza e la superficie utile di circa 103.000 metri quadri. Nelle scuole-officine del Reale Albergo dei Poveri, vennero ospitati anche gli orfani maschi della Santa Casa dell'Annunziata. Lo scopo di questa caritatevole reggia dei poveri fu quello di assicurare ai meno fortunati mezzi di sussistenza e l'insegnamento di un mestiere. Nel 1838, nelle sale dell’Albergo trovò posto una scuola che sarebbe poi diventata in breve tempo famosa: la Scuola di Musica che fornì per vari anni suonatori provetti alle compagnie militari. In essa si avvicendarono insegnanti notissimi, tra i quali Raffaele Caravaglios. Nel 1816, sotto il regno di Ferdinando I, la scuola per sordomuti diretta dall’Abate Cozzolino (seconda tra gli stati preunitari dopo quella di Roma), venne trasferita in una parte autonoma del Reale Albergo.Alle spese contribuirono Carlo, la stessa regina Maria Amalia che donò i suoi gioielli, il popolo Napoletano, gli enti religiosi con notevoli somme e donazioni di proprietà ecclesiastiche, il tutto per l’ammontare di un milione di ducati. In sostanza queste le cifre di quello che fù una delle più grandi costruzioni settecentesche d'Europa: ottomila poveri, duemila addetti, nove chilometri di corridoi larghi cinque metri (varrebbe dire la larghezza di una strada con marciapiedi), volte a perdita d'occhio, finestre che infilano la luce di altre fila di finestre, di porticati e cortili, perché l'albergo dei poveri non era nè cupo nè spettrale, ma un circuito senza uscite in cui maschi da un lato e femmine dall'altra, seguivano, da mattina a sera, venivano abituati al lavoro e all’igiene del corpo e dell'anima. Venne istituita l’assistenza sanitaria per gli anziani e gli inabili, ai giovani venne impartita una adeguata qualificazione professionale con avviamento al lavoro. Venivano loro insegnate varie arti: calzolaio, fabbro, falegname, tornitore, filatrice, oltre allo studio della grammatica e dell’aritmetica. Fu tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX che l’ospizio ospitò le “donne perdute” e fu adibito anche a casa di “correzione dei minori” da cui il nomignolo di reclusorio” e di “serraglio”. Tra il 1800 e il 1816 furono terminate le parti frontali e laterali, i lavori proseguirono sino al 1829.Solo la lungimiranza di Carlo di Borbone e dei suoi discendenti ha permesso che un gran numero di emarginati, diseredati abbia potuto godere e assicurarsi un sicuro asilo, un pasto quotidiano, cure mediche ed istruzione, e ancor oggi il palazzo conserva la memoria di edificio che ha svolto sempre un ruolo di pubblico servizio (costruito per riqualificare le fasce sociali sottraendole all’emarginazione). E riferendoci all’epoca, il regno di Carlo è da considerarsi rivoluzionario, volto al progresso dello “Stato” inteso per la prima volta come collettività, e tale fu percepito dai sudditi, che uscivano da lunghi secoli di dominazioni vicereali. Carlo fece anche di più: portò il Regno ai primi posti del mondo dell’epoca per dinamismo e trasformazione, per ricchezza e varietà delle arti e della cultura in generale. Napoli in particolare, ma anche le tantissime altre città d’arte del Meridione, divennero meta obbligata dei viaggiatori, che trovarono un Paese in rapido ed armonico progresso, tanto che lo stesso Goethe espresse ammirazione per “gli operosi napoletani”.Poi le tristi vicende che portarono all’invasione piemontese e contemporaneamente alla fine del grande Regno delle Due Sicilie, con la tresformazione del meridione d’Italia in una colonia senza piu’ identità e dignità. Lo scempio maggiore avviene proprio nei pubblici stabilimenti di beneficenza, tanto che l’Albergo dei Poveri può sicuramente assurgere ad emblema dello stato di degrado che si determinò con la fine del regno. E il giornale napolitano “il Popolo d'Italia” cosi scrive il 6 maggio del 1862, riportando la visita fatta dal re Vittorio Emmanuele nel mese precedente: “Il re, e il ministro Rattazzi hanno visitato il maggiore pio stabilimento, che noi abbiamo, l'Albergo de' Poveri, e che è appunto il peggiormente amministrato, reso albergo della morte per lo spirito pel corpo. Ma quando essi vi andarono, i governatori prevenuti da' consorti, che pure circondano il nuovo ministero, col frastuono delle bande musicali soffocarono le grida de' gementi. I poverelli di quello stabilimento, più che creature umane, appaiono bestie pel modo, onde sono trattati. Dormono su vecchio e lurido strame: i loro vestimenti giornalieri sono cenci inutili più volte e rattoppati: senza calze e senza scarpe, il loro cibo è pasta nera ed acida, senza verun condimento le camicie e te lenzuola stoppia dura dì color bruno, in cui schifosi insetti formicolano a vergogna della umanità. Pessimo lo insegnamento, i maestri con meschino onorario servono svogliali, e con quel pagamento e per quella lontananza non possano esser certo i migliori di questo mondo. La morale, niuna. E le donne? Ahi ludibrio! Più di 300 giovanette hanno popolato i postriboli perché cacciate. Or questo stabilimento è specchio fedele di tutti gli altri in Napoli!”Anche questo è stato l’Unità d’Italia: le nostre donne piu sfortunate un giorno prima erano cittadine rispettate che potevano apprendere un lavoro e camminare a testa alta grazie all’impegno e alla presenza dello stato, ed il giorno dopo prostitute senza dignità da inviare al nord.  Questa vergogna venne denunciata dalla stampa napolitana che cosi scriveva: “Giovedì 6 condente, per ordine del governo, le più avvenenti giovanette alunne nel real albergo de’ poveri son condannate ad esibire il proprio ritratto in fotografa con la macchina appositamente introdotta in quello ospizio, assegnandone l'imponente oggetto di doversi spedire que ritratti a Torino. Il di più s'intende da per se stesso!”.Che le cose fossero peggiorate risulta evidente da una denuncia fatta al prefetto di Napoli e pubblicata il 10 dicembre del 1862 da un giornale politico-popolare di Napoli, in seguito ad una lettera inviata a tale giornale da un ragazzo ”recluso” nell’albergo: “Signor Generale Lamarmora, mandami a chiamare, se hai viscere di carità, ed io ti mostrerò una lettera rimessa a me da un infelice recluso nell'albergo de' poveri dì Napoli.... Quivi sono fanciulli, e ragazze! L'amministrazione è organizzata a camorra,... Non appena leggi queste parole, va, o manda persone di tua fede colà, ed ordina che visitassero tutto, tutto il locale; anche a le corsee sotterranee, ove sono ammucchiati quelli che si è chiamano i miserabili. Troverai fanciulli, e bambine, ignudi, perché i cenci non garentiscono quelle povere carni! Li troverai pieni d'insetti, su paglia marcita, pallidi, smunti per la fame, perché quel poco di polenta, che loro si amministra, spesso vien tolta a 500 infelici ogni di sotto pretesto di punizione! Vedrai come quelle creature non hanno in questa rigida stagione un lenzuolo, una coperta, ed a guisa di bestie rannicchiate sul terreno in stanze umide e malsane. Interroga que' poverelli, e prometti loro di garantirli dalle sevizie e dalle torture... Sovratutto, o Generale, dimanda a quelle sventurate fanciulle, che non hanno altro scudo, che le lagrime... com'è conservata la loro innocenza!... Recati sul luogo, e poi dimmi, se i napoletani han ragione dì maladire Torino!” E la Gazzetta di Napoli del 5 dicembre riporta di una petizione dei “reclusi” dell’albergo  da presentare in parlamento, diretta al deputato Ricciardi, in cui sono denunciate le sevizie, i maltrattamenti, e le iniquità dei nuovi amministratori, alla cui testa vi era il sopraintendente de Blasio. Questi nuovi amministratori, come se non bastasse, gonfiano i loro compensi a dismisura, mentre quelli del governo borbonico prestavano la loro opera gratuitamente, tanto da suscitare l’indignazione di tutti i cittadini napoletani. Questo comportamento immorale (vizio che nel corso degli anni la classe dirigente italiana non ha perso) determinò subito un enorme disavanzo che portò a restringere il numero degli impiegati, mettendo in mezzo alla strada, dopo tanti anni di servizio, poveri padri di famiglia. Col mutare dei tempi, l’Albergo dei Poveri perse, così, la sua primitiva impronta. Nel corso degli anni, poi, si avvicenderanno nei suoi locali un Centro di Rieducazione per Minorenni, un Tribunale competente a giudicare le cause riguardanti i minori di diciotto anni, un cinema, officine meccaniche, una palestra, un distaccamento dei Vigili del fuoco e l’Archivio di Stato civile. In seguito al terremoto del 1980, addirittura, un’ala dell'edificio ancora adibita ad ospizio crollò, causando la morte di alcune anziane donne e due persone che le assistevano. Chi ha voglia di festeggiare i 150 anni di unità d’Italia è libero di farlo, noi non abbiamo nulla da festeggiare, sono troppe ancora le verità nascoste e finchè non sarà fatta giustizia storica nessuna ferita potrà mai essere rimarginata e i napolitani “continueranno a  maladire Torino”.