LE CITTA' DEL SUD

L'UNITA' D’ITALIA E' UN DOGMA DA DIFENDERE A TUTTI I COSTI?


Il festeggiamento di questi 150 anni di “forzata” unità avranno, si spera, almeno un aspetto positivo. E cioè, dal punto di vista della questione meridionale, portare finalmente alla ribalta nazionale la nostra verità, quella degli sconfitti. Si, perché noi meridionali, dal 20 Marzo del 1861, ovvero dalla caduta dell’ultimo baluardo rimasto a difendere i confini del regno meridionale, Civitella del Tronto, siamo stati assoggettati, contro la nostra volontà, ad uno stato straniero: il Piemonte. L’unità d’Italia è avvenuta nel peggiore dei modi possibili, è avvenuta con un inganno e questo inganno dura ancora oggi, rendendo una storia vecchia di 150 anni di una straordinaria attualità per le tristi conseguenze abbattutesi nel sud del paese. E se fosse andata diversamente?Il regno delle Due Sicilie era uno stato sovrano e indipendente nel territorio italiano ed è stato, senza dichiarazione di guerra, invaso dal Piemonte e successivamente depredato e messo a ferro e fuoco dalla furia violenta e sanguinosa dell’esercito Piemontese. Più tardi, nel 1920, Gramsci usò queste parole: “lo Stato Italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono di infamare con il marchio di briganti”. Gli ideali unitari, quelli dei Mazzini, dei Gioberti, dei Cattaneo, e forse più tardi anche dello stesso Garibaldi, furono sacrificati in nome di una monarchia, quella sabauda, accecata dal potere e dalla brama di ricchezza, e ridotta in bancarotta per il suo carattere guerrafondaio. Siamo proprio sicuri che questa unità d’Italia, cosi come è avvenuta, sia stato un bene per il paese?Francesco II, ormai in esilio, cosi risponde alla proposta di Napoleone III di andare in Francia in cambio della restituzione dei beni confiscati dai piemontesi: “Io sono un principe italiano illegalmente spogliato del suo potere, è qui l’unica casa che mi è rimasta, qui è un lembo della mia patria, qui sono vicino al mio Regno ed ai sudditi miei…..vengono chiamati assassini e briganti quegli infelici che difendono in una lotta diseguale l’indipendenza della loro patria e i diritti della loro legittima dinastia. In questo senso anche io tengo per un grand’onor di essere un brigante…per ciò che concerne la mia fortuna confiscata…quando si perde un trono, importa ben poco perdere anche la fortuna…sarò povero come tanti altri che sono migliori di me ed ai miei occhi il decoro ha pregio assai maggiore della ricchezza”Un uomo di altri tempi, una onestà interiore ed un amore verso il suo popolo che non sarà mai più riscontrabile in nessun politico italiano fino ai giorni nostri. Francesco II si sentiva napoletano ed italiano, cosi come si sentiva italiano il grande Ferdinando II, suo padre, che dinanzi ad una vera ed effettiva unità degli italiani per l'indipendenza non si tirò mai indietro, inviando anche il suo esercito a combattere nella I guerra di indipendenza contro gli austriaci. Furono i piemontesi a rifiutarsi alla costituzione di una confederazione di stati, non nascondendo ma l'antico sogno di Casa Savoia di estendere i propri domini sul resto della penisola, considerando l’Italia solo un “carciofo di cui i Savoia mangeranno una foglia alla volta”. Cosa aveva di Italiano uno stato i cui regnanti e le classi più ricche parlavano e scrivevano in francese? Di opinione esattamente opposta era Ferdinando II, il quale, come riporta lo storico De Cesare, non certo sospetto di simpatie per i Borbone, dichiarò nel letto di morte: “Mi è stata offerta la corona d’Italia, ma non ho voluto accettarla; se io l’avessi accettata, ora soffrirei il rimorso di aver leso i diritti dei sovrani e specialmente i diritti del Sommo Pontefice”. Ferdinando II si adoperò molto affinché si realizzasse quella lega di stati confederati che, se realizzata, avrebbe fatto grande il nostro paese e soprattutto non avrebbe consentito la realizzazione di uno stato centralista che ha privilegiato lo sviluppo di un territorio a danno di un altro. E infatti, perduta l'indipendenza, entrarono in crisi proprio quei settori industriali che avevano visto il Regno primeggiare in Italia e nel Mondo (nel 1856 ottenne il premio come terzo Paese al mondo per sviluppo industriale all'esposizione Internazionale di Parigi). Dopo l’unità d’Italia la nuova politica di industrializzazione, oltre alla chiusura delle grandi industrie meridionali segnò la fine delle piccole e non più "protette" imprese rispetto alla concorrenza britannica e francese, in una competizione che si svolgeva sostanzialmente sul mercato interno. Alla crisi contribuì inoltre l'incameramento delle casse del Banco nazionale delle Due Sicilie (443 milioni di Ducati-oro, all'epoca corrispondenti ad oltre il 60% del patrimonio di tutti gli stati pre-unitari messi insieme) da parte di quelle esauste del Piemonte che emetteva come moneta della carta straccia ovvero i “pagherò” relativi ai debiti contratti con i banchieri di mezza Europa. Nonostante la razzia fatta dal Piemonte nelle varie casse degli stati pre-unitari, il nascente stato non riuscì ma ad azzerare un debito pubblico che ancora oggi ci portiamo in eredità.Alla luce di quanto brevemente esposto ci viene da chiedere: è utile a questo paese continuare in politiche sbagliate che aumentano le divisioni del paese? È ancora credibile la politica quando parla di questione meridionale? E perché si continua a difendere la retorica risorgimentale sull’unità d’Italia? A volte può essere utile fermarsi e ripartire per rimediare, alla luce di una riscoperta verità storica, agli errori commessi nel passato. Solo cosi potremo guardare ad una Italia migliore e rendere onore a tutti coloro che sono morti credendo nell’ideale di una unità che, tuttavia, non si è mai realizzata fino in fondo.