LE CITTA' DEL SUD

SAVOIA E BANCHE ALL'ASSALTO DEI BENI CULTURALI DEL SUD


Una scena a cui non avremmo mai voluto assistere. Un erede di quei Savoia, che tanto hanno "amato" la nostra terra da invaderla senza dichiarazione di guerra massacrando 1 milione (o forse più) di meridionali, depredando le casse del florido Regno delle Due Sicilie e distruggendo con una politica miope (che dura ancora oggi) la nostra economia, viene "accolto come una star" e diventa addirittura ambasciatore delle nostre terre. E nel caso specifico della provincia di Salerno. Inaudito!E come se gli ebrei chiamassero un nipote di Himmler a diventare testimonial delle bellezze di Israele. Ed il paragone non è azzardato visto che i Savoia si resero autori di crimini di guerra non inferiori ai nazisti. Ma, ovviamente, qualcuno dirà che sono passati 150 anni e bisogna guardare avanti. E' vero, sono passati 150 ma la ferita è ancora aperta ed il sud da allora è sprofondato in una crisi economica e sociale dalla quale sembra impossibile uscire. "La prima cosa che mi sono chiesto arrivando qui e trovandomi davanti scenari così spettacolari, abbandonati un po’ a se stessi", ha proclamato il principe di Savoia, "è stata se questa gente amasse i gioielli che la natura ha regalato loro e perché fossero così abbandonati".  Il Principe dovrebbe sapere perchè i nostri beni sono in questo stato. Con l’unità d’Italia il sud non ha avuto più una sua economia e l'assistenza che arriva dallo stato centrale finisce in parte nelle tasche dei politici locali (servi dei partiti del nord) ed in piccola parte a garantire un minimo di welfare. L’ultimo episodio è di pochi giorni fa, con il CIPE che sblocca 17 miliardi e di questi solo il 2,5% va al meridione. Il principe dovrebbe sapere bene che nel sud, e a Napoli, si muore per ottenere un diritto quale quello di poter lavorare ed avere uno stipendio a fine mese con cui pagare un mutuo e crescere due figli. Il principe dovrebbe sapere bene che con un economia poco sviluppata (il PIL è la metà rispetto alle regioni del nord, quando prima dell’unità d’Italia era l’esatto contrario e la Campania era la regione più ricca dello stato pre-unitario) e con la disoccupazione sopra al 20% non possono esserci i tributi sufficienti a coprire le spese che servono a far funzionare un amministrazione in maniera efficiente. ll quadro generale del nostro Mezzogiorno resta tuttavia per molti aspetti preoccupante. Basti pensare che se nel 1951 nel Sud veniva prodotto il 23,9% del Pil nazionale, sessant'anni dopo, nel 2008, la quota è rimasta sostanzialmente immutata (23,8%). Mentre il Pil per abitante continua ad essere nel meridione circa il 59% di quello del Centro- Nord, 17.971 euro contro 30.681 euro. E sembra purtroppo inarrestabile l'emorragia di risorse, soprattutto capitale umano: nel solo 2008 il Mezzogiorno ha perso oltre 122 mila residenti, dei quali oltre l'87% originari di tre regioni, Campania, Puglia, Sicilia. Un esodo che riguarda sempre più i giovani qualificati: nel 2004 partiva il 25% dei laureati meridionali con il massimo dei voti, oggi la percentuale è balzata al 38%. Che l’Italia sia un paese già diviso di fatto, lo riconosce lo stesso ministro dell’Economia Tremonti, secondo il quale le classifiche internazionali che ci vedono indietro nella ricerca e in altri settori fondamentali per lo sviluppo economico e culturale non fotografano l'intera realtà italiana, visto che il Centro-Nord si attesta sugli standard delle regioni più ricche d'Europa. E se siamo in queste condizione è grazie ai Savoia ieri, ed alla classe politica meridionale incapace e serva dei partiti del nord oggi.Perchè, per esempio, gli scavi di Pompei scoperti dai Borboni e tenuti da loro come veri gioielli invidiati in tutti il mondo, versano, oggi, in condizioni terribili tanto che qualcuno ha addirittura pensato di privatizzarli?Il drastico taglio dei fondi operato in questi anni e la scarsità del personale ha avuto come conseguenza la necessità di affidare essenzialmente ai privati, senza adeguati studi preventivi, il restauro e la conservazione dei beni culturali. Ci stiamo incamminando verso il tramonto di una grande tradizione italiana (o meglio Borbonica, visto che sono stati i primi in Italia) negli scavi archeologici che il mondo ci invidia, e il caso di Pompei è emblematico: nell'area archeologica vicino Napoli il 14 gennaio è avvenuto un crollo presso la casa dei Casti amanti, probabilmente causato anche dalla fretta. In altri tempi, quando a Pompei cadeva una tegola scoppiava il finimondo, con lunghi articoli su tutti i giornali. Ma oggi il sito è commissariato dalla protezione civile, ed è stato fatto di tutto per seppellire la gravità dell'incidente sotto la lava del segreto. Assistiamo, inoltre, a manovre speculative ed economicistiche che vedono svilire l’enorme patrimonio artistico nazionale, a cui nessun media, nessuna tv, nessun canale pubblicistico sta rivolgendo attenzione, nonostante si avverta l’imminente catastrofe. “In Italia” denuncia il Presidente dell’Associazione Nazionale Archeologi, Tsao Cevoli “si sta lentamente consumando il disimpegno dello Stato nella tutela e nella gestione dei beni culturali diffusi sul territorio, mentre i fiori all’occhiello l’uno dopo l’altro stanno passando nelle mani dei privati. Essendo Pompei il sito archeologico più visitato d'Italia, è ovvio che i suoi introiti fanno gola a molti”.Ma la cessione, senza regole e garanzie, a privati di un servizio pubblico, come la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale, non è che il frutto della sconfitta dello stato e della gestione socialmente tutelata e partecipata del nostro patrimonio culturale. L’Italia è il paese col maggior numero di luoghi e monumenti protetti dall’UNESCO come Patrimonio Mondiale dell’Umanità, eppure gli stanziamenti previsti per il 2009/2011 sono stati ridotti di 900 mil. di euro e il finanziamento della cultura in Italia scende sotto lo 0,28% del Pil (in Francia, per esempio, è pari all’1% e in Portogallo addirittura lo 0,9) Inoltre, dal 2000 al 2007 gli investimenti sono crollati del 45%. E scopriamo che dei due miliardi di euro previsti la metà viene utilizzata per il funzionamento del Ministero dei Beni Culturali, mentre nel frattempo sovvenzioniamo la scuola archeologica di Atene. In Italia si sta uccidendo il futuro: la volontà di fare cultura sembra sia stata affidata esclusivamente alla televisione, cioè ad uno strumento completamente passivo per lo spettatore e di spessore culturalmente dubbio. Questo cattivo gusto, che ormai sta permeando la nostra cultura si manifesta tutto, poi, nella campagna “diseducativa” promossa dal MIBAC (Se non lo visitate lo portiamo via) per fare riscoprire agli italiani il patrimonio artistico del nostro Paese ed invertire il trend negativo di visitatori. ”Dietro a queste parole” afferma l’on. Giovanna Melandri (Pd) ex ministro per i Beni culturali, “si mal cela l’idea di un patrimonio artistico considerato sempre piu’ come un cimelio ereditato che vale la pena di conservare solo se genera reddito, o, altrimenti, meglio venderlo a qualche illustre rigattiere”. Però, mentre la situazione al sud è gravissima, lo Stato centrale si impegna a tutelare i beni architettonici del nord. Caso esemplare è stato il recupero della Reggia di Venaria a Torino che ha richiesto un investimento finanziario di 200 milioni di euro, mentre al progetto progetto pilota strategico dei Poli museali di eccellenza di tutto il Mezzogiorno (Mumex) sono stati assegnati dal CIPE, con delibera 35/05, solo 35 milioni di euro.Il progetto di restauro e valorizzazione del complesso di Venaria rientrava fra le principali linee strategiche dell’Accordo di Programma Quadro in materia di beni culturali del Piemonte siglato il 18 maggio 2001 fra Stato e Regione Piemonte, e senza lo sforzo dello Stato e l'impegno di entrambe le forze politiche oggi probabilmente sarebbe ancora in stato di abbandono. Sfortunatamente i beni culturali del meridione non godono della stessa sorte della reggia di Venaria, pensiamo per esempio anche al Real Sito di Carditello, meravigliosa residenza Borbonica che da tempo necessita di una seria riqualificazione. Proprio contro la privatizzazione di Pompei, il 24 maggio il Movimento di Insorgenza Giovani si è recato all’ingresso degli scavi per protestare contro la privatizzazione di uno dei beni artistici più conosciuti al mondo. “Gli scavi di Pompei” ha spiegato il referente di Insorgenza Giovani, Gianpaolo Schirani “sono sempre stati un bene pubblico e noi lotteremo affinché restino tali. Il ministro dei Beni Culturali Bondi ha proposto di affidare il sito archeologico ad una fondazione formata da enti privati, tra cui anche molte banche, che di certo non agirebbero disinteressatamente. Inoltre sappiamo che oggi tutte le Banche si fanno portatrici degli interessi del Nord, mentre i nostri beni devono restare patrimonio di questo territorio e del suo popolo”.