LE CITTA' DEL SUD

IL FEDERALISMO IN SALSA LEGHISTA: OVVERO “LA PEZZA A COLORI”


Quando penso all’Italia mi vengono in mente le parole del più grande scrittore di tutti i tempi, Fedor Dostoevskij, che la considerava come “un piccolo regno dì second'ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, ... un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un'unità meccanica e non spirituale .... e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second'ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!".E intanto questo piccolo regno è riuscito a farne cadere uno più grande, imponendo le sue leggi, mandando i suoi uomini ai posti di comando, distruggendo la nostra economia e la nostra cultura, incendiando i nostri paesi, rubando le nostre terre ed uccidendo i nostri figli, costringendo milioni di loro ad emigrare. Questo piccolo regno ha portato la corruzione su vasta scala ed ha reso servili i nostri politici rendendoli squallidamente responsabili della “questione meridionale”. Questo piccolo regno ha cercato di ditruggere il fondamento della nostra civiltà, ossia quella fede in Dio che ci ha permesso di superare tante avversità pur mantenendo intatto il valore più importante su cui si fonda la nostra società, ovvero la famiglia, barattando quella stessa fede per stregoneria. Questo piccolo regno ha prodotto altre guerre, mandando in prima linea i nostri figli meridionali, ha partorito il fascismo, che insabbiò ancor di più la questione meridionale, ritenendola inutile e dannosa nell'impianto culturale del regime, e ha creato quel “mostro bicefalo” che è l’Italia che conosciamo.La storia ufficiale di propaganda ci ha insegnato che i Piemontesi sono venuti ha portare civiltà: bene allora dobbiamo intenderci sul significato di civiltà. Io condivido la definizione che ne diede l’insigne nostro pedagogista Marco Gatti secondo cui “la vera civilizzazione ..... consiste nello sviluppamento proporzionato e regolare delle umane facoltà, diretto al bene universale della nazione e della specie”. Appunto, proprio quello che in Italia non è avvenuto e che ci porta a sostenere che in questa nostra cara e amata patria duosiciliana non si è portata la civiltà ma si è esportata “barbarie” da parte di un governo che, riprendendo le parole del Gatti, “......tiene sempre contratto e represso lo stimolo interno dell' attività de' governati, ne inceppa lo sviluppo, o di questo ne altera le direzioni, ne arresta o distrae i progressi”. Per questo non possiamo definire oggi, come ieri, l’Italia un paese civile. Dov’è la civiltà quando esiste sopruso, sfruttamento e  denigrazione del tuo fratello “italiano”?.Ora, ritornando ai giorni nostri, la nostra politica avrebbe la presunzione e l’arroganza di voler risolvere le imperfezioni di questa unità attraverso una toppa, come si dice al sud “una pezza a colori” ossia il federalismo fiscale. E come voler insegnare ad un bambino i primi passi dandogli uno spinta! Quale sarebbe il prevedibile risultato?Il federalismo da solo non può risolvere i mali del paese, per il fatto che verrebbe applicato in ritardo, a cose già compiute; come se volessimo riparare il foro di una ruota in movimento: è impossibile. Il federalismo sarebbe stato utile all’inizio, quando le economia dei vari stati si eguagliavano fra di loro per prodotto interno lordo. E a tal proposito vorrei ricordare quanto affermò il conte piemontese Bianco di Saint Joroiz, Capitano nel Corpo di Stato Maggiore Generale, che partecipò al massacro delle popolazioni del Regno delle due Sicilie: “il 1860 trovò questo popolo del 1859, vestito, calzato, industrie, con riserve economiche. Il contadino possedeva una moneta e vendeva animali; corrispondeva esattamente gli affitti; con poco alimentava la famiglia, tutti, in propria condizione, vivevano contenti del proprio stato materiale. Adesso è l’opposto. La pubblica istruzione era fino al 1859 gratuita; cattedre letterarie e scientifiche in tutte le città principali di ogni provincia. Adesso veruna cattedra scientifica. Nobili e plebei, ricchi e poveri, qui tutti aspirano, meno qualche onorevole eccezione, ad una prossima restaurazione borbonica”.Oggi è troppo tardi, il divario tra le due parti del paese è talmente grande (il PIL delle regioni del sud è la meta di quelle del nord) che nessuna pezza può rimettere le cose a posto, farle ritornare, in termini di produttività, a quella parità che è esistita fino al 1860. Quali sarebbero i presupposti che permetterebbero al sud di sviluppare una sua economia? Basterebbe solo essere “virtuosi” sulla spesa pubblica per rimettere i conti in pari? Sicuramente le regioni del sud imparerebbero a diventare “virtuose” ma solo per continuare a sopravvivere e tenere in piedi un minimo di assistenza pubblica, visto che il fondo perequativo, garantirebbe meno della metà di quanto oggi viene distribuito dallo stato centrale. Non basta.Il federalismo dà solo l’illusione di uno stato non più centralista, ma le decisioni importanti che riguardano lo sviluppo economico del paese, e quindi occupazionale, continuerebbero ad essere prese nelle stese stanze e dalle stesse persone che non permetteranno mai al meridione di uscire dalla sua condizione di subalternità. Allora ci vuole altro, il federalismo da solo non basta più perchè si è pensato di applicarlo troppo tardi per noi, questo deve essere accompagnato da altri fattori fondamentali che accompagnino il riscatto del popolo meridionale, quali; il recuperò della propria identità ed il ricambio della classe dirigente. Nel primo caso è fondamentale che, a partire dal presidente della repubblica, si dia fine allo spettacolo indecoroso e indegno di un paese civile delle celebrazioni dei 150 anni di unità, ammettendo finalmente i crimini commessi dai Savoia e restituendo dignità ai nostri martiti definiti “briganti”. Nel secondo caso è necessaria una “rivoluzione”, ovvero spazzare definitivamente via la classe politica meridionale poco proclive ai superiori interessi del Mezzogiorno, che pure ha rappresentato e tuttora rappresenta anche in importanti ruoli nazionali, e piuttosto incline a seguire la strada del “trasformismo”, del clientelismo, del personalismo e dell’assistenzialismo pensando più a a gestire il potere, che a rinnovarsi. Le parole di Guido Dordo, pronunciate più di 60 anni fà oggi suonano profetiche: “la questione italiana è .… la questione meridionale, e la rivoluzione italiana sarà la rivoluzione meridionale .… perciò questa nuova classe politica meridionale, che dovrà razionalmente innestarsi nella grande classe politica nazionale .… dovrà esserne la sezione più agguerrita, più vitale, perché nelle nostre regioni, attraverso la predicazione meridionalista, si dovrà necessariamente pervenire ad istituire per la prima volta nella sua interezza la lotta politica moderna”La questione meridionale, allora, deve diventare il punto fondamentale dell’azione di governo, altro che legge elettorale, leggittimo impedimento, processo breve e via discorrendo. Il sud non può aspettare più altri dieci anni per poi assistere al fallimento di un’ulteriore inganno: a quel punto la divisione del paese sarebbe inevitabile ed anche con conseguenze tragiche. Insomma non sarebbe un divorzio consensiente come accaduto in Cecoslovacchia.