LE CITTA' DEL SUD

LO STATUTO ALBERTINO: UNA PESSIMA CARTA COSTITUZIONALE


Il 17 marzo 1861, poco più di un mese dalla caduta di Gaeta e la resa di Francesco II di Borbone e mentre ancora si combatteva a Civitella del Tronto, che cadrà solo il 20 marzo, e si seppellivano i caduti di Messina, che si era arresa il 13 dello stesso mese, Vittorio Emanuele II, ancora con la pistola fumante in mano, sanzionava e promulgava la legge 4671, approvata dal nuovo parlamento nella seduta del 14 marzo 1861, che si compone di un solo articolo così formulato: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di Re d'Italia. Questo proclama è da sempre considerato l’atto di nascita della nuova Italia tanto che se ne vuole festeggiare nel 2011 il centocinquantesimo anniversario con cori osannanti di vecchi tromboni sfiatati e sparpaglio di denaro pubblico. In realtà con quella legge non fu creato un nuovo stato libero e democratico (la favola che ci hanno sempre raccontato), ma si sancì puramente e semplicemente l’annessione al militarista Piemonte, arretrato socialmente, culturalmente e politicamente, dei territori prosperi, civili e ben amministrati, sottratti con la forza ai loro legittimi sovrani, senza salvare nemmeno la forma: Vittorio Emanuele conservò la numerazione dinastica e la legislatura, eletta il 18 febbraio 1861, la sua numerazione progressiva di ottava.L’annessione fu un fatto sostanziale: rimasero validi solo i trattati internazionali del regno Sabaudo, mentre furono considerati decaduti tutti gli altri; il diritto vigente in Piemonte fu automaticamente esteso al resto d’Italia: la legge 20 marzo 1865 n°2248 estese a tutta l’Italia la legge comunale e provinciale del Piemonte, la legge di pubblica sicurezza, quella sanitaria, sul consiglio di Stato, sul contenzioso amministrativo e sui lavori pubblici.Ma la maggiore iattura, causa primaria delle molteplici tragedie, che la nuova Italia vivrà sino alla meta del successivo secolo fu, senz’altro, l’estensione automatica a tutto il territorio dello Statuto Albertino, concesso ai sudditi Sardo – Piemontesi dal Re Carlo Alberto il 4 marzo 1848, che tra le costituzioni vigenti nei vari stati preunitari era quanto di più retrivo ci potesse essere. Era quella una carta concepita per uno stato elitario, centralizzato intorno alla figura del sovrano ed a tendenza vagamente rappresentativa, che era stata concessa, ob torto collo dal Re Carlo Alberto, che sin dalla sua salita al trono nel 1831 si era ispirato all’assolutismo dell’ancien regime, sotto la pressione della piazza, quando l’ondata rivoluzionaria, che nel 1848 aveva scosso l’Europa, aveva investito anche l’arretrato Stato Sabaudo.L’animo conservatore col quale fu deciso di promulgare lo Statuto è ben sintetizzato dalle parole del ministro dell’interno Borrelli: >.Già il nome Statuto in luogo di costituzione la dice lunga: la costituzione è un atto fondante, generatrice di sovranità. Lo statuto è atto regolamentare nell’ambito e nei limiti di una diversa autorità, che detiene la sovranità. La sovranità nello Statuto Albertino è riservata solo al Re, la cui persona è sacra ed inviolabile, che è capo assoluto di uno Stato centralizzato ed esercita il potere esecutivo nominando e revocando i ministri; esercita il potere giudiziario nominando i giudici, comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra; fa i trattati di pace, d’alleanza, di commercio ed altri; nomina a tutte le cariche dello Stato; nomina i componenti del senato e tutti i funzionari pubblici, compresi sindaci e presidenti delle province. La camera dei deputati, l’unica, che si potrebbe definire elettiva e rappresentativa, se ad avere il diritto di elettorato attivo e passivo non fosse stata una sparuta minoranza: 250.000 su una popolazione di 30milioni di abitanti, poteva essere sciolta dal Re a suo arbitrio. I diritti fondamentali, di elettorato attivo e passivo, di libertà di stampa, di riunione eccetera, erano solo formalmente riconosciuti perché una generale riserva di legge ordinaria, ne limitava l’esercizio sino, a volte, ad annullarlo. Basterà una legge ordinaria per legittimare il boia Cialdini a mettere a ferro ed a fuoco l’intero meridione ed a far fucilare, dopo un processo farsa decine di miglia di patrioti napoletani; sempre grazie ad una legge ordinaria nel 1898 Bava beccarsi in piena legalità e col plauso del re potrà sparare ad alzo zero con i cannoni su una folla che manifestava pacificamente; nel 1915 fu firmato il patto di Londra e fu deciso l’intervento nell’immane conflitto, senza che il parlamento ne fosse informato.Non vi è alcun riconoscimento delle autonomie locali l’art. 74, infatti, recitava: >, così ignorando che nel resto d’Italia l’autonomia statutaria degli enti locali ed il diritto di tutti i cittadini ad eleggere i propri amministratori erano prerogative antichissime, gelosamente conservate nel corso di molti secoli. Eppure sarebbe bastato poco per avere una carta costituzionale, degna di questo nome; sarebbe bastato un sereno confronto tra quelle elaborate e promulgate nei vari stati che avevano composto l’Italia. Confronto che, però, non si voleva perché gli stati annessi erano considerati dai Piemontesi nulla più di terre conquistate ed il meridione, in particolare, anche abitato da una razza inferiore.Lo statuto del regno di Sicilia (10 luglio 1848) all’art. 3 solennemente proclamava che la sovranità risiede nella università dei cittadini siciliani e che nessuna classe, nessun individuo può attribuirsene l’esercizio; entrambe le camere erano elettive e l’elettorato attivo era concesso a tutti i cittadini; i membri del parlamento non potevano essere perseguiti per quanto detto e votato in parlamento (era previsto l’esilio per i magistrati che attentassero a tale prerogativa).Il Re restava il capo dell’esecutivo, ma i trattati da lui stipulati, diversamente da quanto previsto dallo Statuto Albertino, avevano effetto solo dopo l’approvazione del parlamento (con questa costituzione l’Italia si sarebbe risparmiata l’immane carneficina delle grande guerra).I Municipi, quali comunità di base avevano il diritto di autoamministrarsi. La legge avrebbe solo garantito le loro libertà. Era garantita la libertà di stampa e di parola, con l’unico limite di non violare la legge penale; era libero l’insegnamento. Il pubblico insegnamento era gratuito per principio costituzionale; era garantita la segretezza della corrispondenza e l’inviolabilità del domicilio; i cittadini avevano diritto di adunarsi pacificamente e senza armi, per privata o pubblica utilità, senza permesso alcuno, salvo l’applicazione delle leggi penali pei reati che si commettessero per l’abuso di questo diritto ( non ci sarebbe mai stato un Bava Beccaris).Anche la costituzione del Regno delle due Sicilie del 29 gennaio 1948, se pure nella struttura istituzionale è incentrata sulla figura del re come capo dell’esecutivo e su due camere legislative di cui una di nomina ragia e l’altra elettiva, già dal suo impianto rovescia l’ordine dei valori dello Statuto Albertino, che dedicava al Re la prima parte, dilungandosi sulla sua figura e sulle sue prerogative. Qui i primi articoli sono dedicati al popolo, al territorio, alle autonomie locali, ai diritti fondamentali ed inviolabili dei cittadini. Le autonomia locali, anche se regolate da apposite leggi, sono riconosciute come preesistenti allo stato, col diritto inalienabile di tutti gli abitanti di scegliere gli amministratori mediante elezioni (art. 9).Diversamente dal liberticida statuto Albertino in base al quale i sindaci erano di nomina regia ( questa la libertà che portarono !) il Re può solo negoziare i trattati, che per avere validità devono essere approvati dalle due camere. I diritti fondamentali dei cittadini, inviolabilità del domicilio, libertà personale, libertà di parola e di stampa, liberta di associarsi e riunirsi anche in luogo pubblico, segretezza della corrispondenza eccetera, erano pianamente riconosciuti e garanti: unico limite al loro esercizio è il rispetto della legge penale. Perciò, prima di festeggiare i 150 dell’unità sarebbe opportuno far conoscere la verità, mediante i mas media, perché solo con la verità si riparano quegli assi epistemologici, strumenti indispensabili per avere quella dirittura morale, politica e sociale, che è l’unico strumento per una riforma istituzionale che veramente riconosca ed attribuisca al corpo elettorale la sovranità. Assi che, si badi bene, non si sono frammentati per indicarci una nuova aurora, ma usurati e spezzati, facendo perdere al carrozzone strada e buoi, per l’esagerato egocentrismo, il diffuso relativismo e la supina accettazione dei luoghi comuni, anche da parte di quelli che si ritengono l’intellighenzia della Nazione.Autore: Pasquale Corrado Mario Iovino Fonte:http://www.comunedipignataro.it/modules.php?name=News&file=article&sid=13595