NELLA TEMPESTA, QUALSIASI APPRODO.
Ci sono cose nella vita che hanno senso fino a quando non ci si interroga su quale esso sia. Tenere un blog è una di queste. Scrivo con il confessato timore che nessuno mi legga.
« Maschere - I | Chiedersi d'autunno » |
Post n°198 pubblicato il 19 Novembre 2014 da DifettoDiReciprocita
Scoprire ciò che non sapevo di sapere già, ovvero che scrivere, in fine, è ascoltare. Ascoltare e scrivere contro le paure, il disorientamento, le categorie del reale e del mondo che non contempla la nostra dimensione. Chi può sapere se una scrittura di questo genere è lontana dalla verità come dalla falsità, ma con le radici mineralizzate da un’urgenza indefinibile e inspiegabile, un’urgenza fatta di semplici oggetti, soprattutto mancanze e manchevolezze? È quindi per bisogno che si scrive, ma piegandosi al moltiplicarsi di voci che paiono insistere, quasi infierendo a volte, per sradicarci da inutili concretezze, rubando così quanto è nominato, saccheggiando quello che è segreto, voce-memoria di luoghi dove siamo testimoni e ospiti. Scrittura-scritture di testardo rovesciamento e di molte ombre. Scrivere per manifestarci come noi stessi è difficile e vivere come siamo pare a volte impossibile. Le convenzioni ci sbarrano le strade e ci impediscono la parola per rendere inaccessibile il pensare. Allora troviamo i deserti. Ci sono deserti anche senza parole, di silenziosa instabilità e deserti di parole la cui instabilità permette di muoversi, di toccare l’esterno della fuga che non ha ricompense né un ricomporsi e non ha una fine. Siamo le nostre parole in cerca del margine che le inscriva e della propria pura leggenda. Le leggende non sono sogni, sono i nostri segni, deserto e parola che ora si ritirano e riparano dietro lo sguardo volutamente inespressivo. Il deserto è risonanza, ma anche il miraggio del silenzio. Si sente che attira l’inverosimile e non ha prudenza come il centro del sogno non ha tempo. La parola è come i deserti, creduta e incredibile o non è parola. Togliersela dalle mani, per metterla nelle mani di qualcuno, è crederci o interrompere la propria libertà? Un mondo felice può essere un mondo migliore, ma un deserto può essere un posto felice? Può esserlo per alcuni. C’è una solitudine dal mondo e c’è una solitudine che è fatta dal mondo e forse non è possibile a chi scrive indicare a quale appartiene. La scrittura è spazio sognato e imperfetto, che nell’atto di darsi si sottrae. Non si cura del tempo. Il tempo può solo essere altro tempo, il divenire, il dipanarsi quasi molecolare a cui resistere, inchinarsi, eclissarsi, ma a cui in fondo non crediamo. Il tempo è ancora e sempre "dopo". Scrivere scaglia il tempo lontanissimo. Logora il tempo e lo rende inservibile, lo ridefinisce inessenziale (non lo nega perché non è questo il punto), ma lo allarga, lo strania, lo smargina. Quello che lo scrivere occupa o tralascia è lo spazio non misurabile della vita, è la tentazione/tensione stessa che arriva ad esserci. Un oltre immediato e fin troppo conosciuto. La pagina bianca è il deserto o qualcosa visto dal suo dentro, ma dentro qui è sempre confine, la linea d’ombra che attraversa quello che siamo e quello che saremo. Più ci inoltriamo e più si sporca la pagina e più il passo ci dissomiglia da quello che eravamo o abbiamo creduto di essere. Scopriamo con entusiasmo o trasognati gli infiniti e increduti io. La moltitudine di noi dell'individuo. Di fronte a questo squarcio la vera possibilità che ci è data è l'ammissione. Non più l’atto in sé dello scrivere, ma l’ascolto delle proprie imperfezioni. Sentire è anche voler vedere e tradurre lo spazio bianco, in rivolta contro le nostre stesse abitudini, di somigliarci senza somigliarci affatto e di non essere come invece siamo. La grotta dell’alchimista, l’antro della strega, il palcoscenico dell'illusionista sono il posto dove ci troviamo e da cui viaggio e scrittura ricominciano. Ricominciano più deserti ogni volta, più inoltrati. I nostri luoghi sono, frontiera dopo frontiera, quel non lasciare mai perdere, quella lenta e meticolosa preparazione al suicidio del nostro pudore. Scrivere è mettere in scena una storia nata vera e proseguita in sogno, desiderata: scritture, contaminazioni, inadeguatezza, coinvolgimenti, impazienza, mutismi, attraversamenti... i puntini stessi, le sospensioni, sono l’impraticabilità di concludere. La scrittura non finisce. Non solo. La scrittura può aprire, abbandonarci, essere integralmente scritta e quindi recidiva anche nel farsi leggere. Intima, come quegli incontri casuali che lasciano ombra e solitudine di qualcuno. Probabile, parola che si cancella e riscrive.
Digiland, novembre 2012
|
©-DIFETTO DI RECIPROCITĄ.
Il materiale presente in questo blog, sia esso in forma di immagine o testo, a meno di esplicita indicazione di segno contrario, è di mia produzione ed è utilizzabile esclusivamente alle condizioni della Common Creative License 3.0, consultabile selezionando l'immagine riportata in questo box.
In particolare, non ne é ammessa l'alterazione, né l'uso commerciale e deve esserne sempre riportata l'origine indicandone l'autore in Difetto Di Reciprocità - www.immaginelatente.net, il titolo del presente blog e la piattaforma Digiland di Libero a cui è associato.
I MIEI BLOG AMICI
ULTIMI COMMENTI
Inviato da: DifettoDiReciprocita
il 05/12/2014 alle 01:11
Inviato da: STREGAPORFIDIA
il 04/12/2014 alle 18:24
Inviato da: ILFIUMEDILEI
il 30/11/2014 alle 20:29
Inviato da: hora9
il 30/11/2014 alle 15:13
Inviato da: DifettoDiReciprocita
il 27/11/2014 alle 00:48
lascio un saluto