Creato da jacktruth il 29/01/2007
questo blog vuole essere uno strumento per parlare del corpo,scoprirne l'importanza attraverso le parole che lo hanno descritto, le iimmagini, i filmati, le poesie che lo hanno raccontato o ne sono stati ispirati.Vuole offrire proposte di esercizi, brani musicali o di narrativa tutto quanto puo servire a scoprire la centralità del nostro essere un corpo in ogni momento della nostra vita . Sono ben accetti proposte , commenti, immagini, filmati e quant'altro serva ad arricchire questa conoscenza.

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L'atlante dl corpo sparito (2P)

Post n°15 pubblicato il 15 Febbraio 2007 da jacktruth
 

Il privilegio che Platone concede all'occhio fonda la cultura greca che privilegia il vedere e l'i-deare, quindi quel mai dismesso ricercare che è apertura senza confini alla conoscenza.
In ciò la differenza della cultura greca da quella ebraica che, alla visione dell'occhio privilegia l'ascolto dell'orecchio che non deve essere sordo alla parola di Dio.
Due culture antitetiche, poi fuse in Occidente, che hanno nel privilegio di due diversi organi del corpo la loro matrice.
Una, che di visione in visione fonda l'oltrepassamento del già noto, l'altra che, nell'ascolto della parola e nella sua trasmissione, fonda la tradizione e mantiene le connessioni con la radice.
Punto di incontro è la parola che tiene in consegna sia verità sia menzogna.

La bocca è un organo equivoco, anche quando si affida a quel gesto che è il bacio.
E la bocca che la pronuncia diventa arbitro sia di parole di verità spesso disertate da persuasione, sia di parole persuasive che non contengono un grammo di verità.
Organo equivoco la bocca, sia quando si esprime con le parole, sia quando si affida a quel gesto che è il bacio, a cui si consegna sia l'amore, sia il tradimento.
Perché tante sono le potenze espressive del corpo e infinite le possibilità dei suoi messaggi che, dopo la riduzione del "cor-po" a "organismo" operata dalla scienza, noi rischiamo di non percepire più.
Divenuti sordi ai suoi messaggi che più non sappiamo decifrare, il nostro corpo è diventato una scatola chiusa che noi consegniamo all'estetica per la sua parte esterna e alla scienza medica per quella interna.
Per l'estetica noi ci separiamo dal nostro corpo con cui più non ci identifichiamo e perciò lo dobbiamo ricostruire. In palestra, dall'estetista, ogni mattina prima di uscire di casa. Non più il nostro corpo come veicolo nel mondo, ma il no-stro corpo come ostacolo per essere al mondo.

Agiamo sul nostro corpo come se non coincidessimo più con lui, ma abitassimo una regione diversa, lontana, separata.
Un io de-corporeizzato che, invece di coincidere con il proprio corpo per agire nel mondo, agisce sul proprio corpo per costruirlo secondo quei canoni collet-tivi di bellezza che fanno del nostro corpo un manichino, dove a dettar legge è la moda del tempo.
E così operiamo una scissione tra l'io e il nostro corpo, come è noto (in un registro più tragico) ad ogni espe-rienza schizofrenica che vive il proprio corpo come altro da sé.
Sull'altro versante, quello interno, tutto è diven-tato una scatola nera dove solo i tecnici della scienza medica sanno fare opera di decifrazio-ne.

Qui il simbolo diventa sintomo, e la simbolica del corpo diventa sintomatologia.
Quando si ammalano, i nostri organi non ci raccontano più la nostra vita: i nostri vizi, le nostre virtù, le nostre abitudini, i nostri traumi, le nostre inclinazioni, lo stile, che vita facendo ha assunto la nostra esistenza.
Quando si ammalano i nostri organi ci allarmano, e invece di raccontarci cosa va o non va del-la nostra vita, diventano subito presagio di morte. Come se noi morissimo perché ci siamo ammalati, mentre il nostro corpo sa che ci ammaliamo perché fondamentalmente dobbiamo morire.
Il nostro corpo infatti conosce solo il consumo e il godimento e nulla sa di quell'immortalità di cui va fiera l'anima, e che la scienza medica, in alleanza col desiderio di infinito, neppur troppo nascosto nelle cantine della nostra anima, vorrebbe far sognare al corpo.

Ma il corpo conosce il suo limite, riverbero della sua saggezza, per cui Nietzsche può dire, e noi in accordo con lui: "C'è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore sapienza" .

Umberto Galimberti

 
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Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 27/02/07 alle 22:26 via WEB
Scoprire il dolore dell'anima Umberto Galimberti su la Repubblica Lunedi 12 febbraio 2007 Perché la "psichiatria organicista", quella che impiega i farmaci per intenderci, utilissimi, anzi in alcuni casi indispensabili per alleviare le condizioni di chi soffre, non ascolta con una certa continuità e frequenza le parole che sgorgano dalla sofferenza e che riproducono in modo drammatico le condizioni d´esistenza di ciascuno di noi, e in modo vertiginoso alcuni abissi che solo l´arte, la poesia, la musica, la mistica fanno dischiudere, chiedendo spesso il sacrificio dell´artista, del poeta, del musicista, del mistico? Solo la "psichiatria fenomenologica", che in Italia non si insegna in nessuna scuola di specializzazione, si presta a questo ascolto, per andare incontro alla speranza di chi soffre, sciogliere i vissuti di colpa che incatenano, perforare i muri della solitudine quando nessuna parola la raggiunge, nessun gesto la incrina, fino a quel taedium vitae che tutti, per brevi attimi, avvertiamo come nausea dell´esistenza. Perché non avviene un´integrazione di questi due orientamenti psichiatrici? Perché la pratica farmacologica sopprime l´ascolto, disumanizza l´uomo, riducendolo ad un "caso" da rubricare in quei quadri nosologici, dove è l´efficacia del farmaco a decidere la diagnosi, mettendo a tacere tutte le parole del dolore che la follia urla e le nostre anime sussurrano. E così disimpariamo il vocabolario emozionale, anche se sappiamo che tutte le parole dimenticate diventano opachi silenzi del cuore, che aprono quei percorsi bui e insospettati di cui ci accorgiamo solo quando approdano a gesti tragici. ... Organicamente mi appariranno tensioni nervose e contrazioni muscolari, psicologicamente le dinamiche di quell´energia che Freud ha chiamato "libido", in nessuno dei due casi mi apparirà una successione di esperienze, perché sia l´apparato organico, sia l´apparato psichico sono senza mondo e senza quell´intenzionalità che si dispiega nel desiderio, nel timore, nella speranza e nella disperazione per le cose del mondo. <U>A questo punto, pensare di comprendere meglio l´esperienza di un corpo vivente che abita un mondo, scindendolo nell´impersonalità dei due sistemi, uno organico e uno psichico, che per definizione non hanno un mondo, perché sono costruiti sui modelli concettuali ricavati dalla fisica e dalla biologia, significa non rendersi conto di quanto sia assurdo tentare di comprendere persone con procedimenti di spersonalizzazione.</u> Se infatti la follia, come ci ricorda Bruno Callieri, è la scissione nell´uomo, la sua lontananza dagli altri, la sua estraneità al mondo, come si può pensare di guarire applicando una dottrina i cui principi sono l´esatta riproduzione delle componenti della follia? Come si può pensare di condurre all´unità dell´esistenza un uomo "a pezzi", servendosi di una dottrina che non ha mai conosciuto l´unità, ma sempre e solo la giustapposizione dei "pezzi"? Se è vero, come dice Heidegger che "il linguaggio parla", termini come psico-fisico, psico-somatico, bio-psico-logico, psico-pato-logico, psico-sociale dicono che la psicologia non ha mai conosciuto l´unità dell´esistenza, ma solo la composizione delle parti che la scienza ha già consegnato ai vari sistemi. Il suo sforzo di ricostruzione, come ci ricorda Laing, assomiglia "allo sforzo disperato dello schizofrenico per ricomporre il suo io e il suo mondo disgregati". Quando la psichiatria organicista presterà ascolto alla psichiatria fenomenologica e imparerà a conoscere le "diverse modalità" della sofferenza esistenziale che non ha organi specifici di riferimento? E soprattutto quando noi, tutti noi, presteremo attenzione all´urlo straziante del folle o al suo muto silenzio, dal momento che non possiamo ignorare che la sua disperazione solo per intensità e frequenza differisce dalla nostra? "Noi siamo un colloquio" diceva Hölderlin dall´abisso della sua follia, e allora incominciamo a parlare e ad ascoltare prima di tacitare o mentre attenuiamo l´urlo o il silenzio con un farmaco. Del resto già Kafka annotava che "scrivere una ricetta è facile, ma ascoltare la sofferenza è molto, molto più difficile". Il Far West delle schiave del sesso Sabino Acquaviva su La Stampa In Italia viene creato un osservatorio sulla prostituzione. Giusto e ovvio, perché il processo inarrestabile di globalizzazione dà vita a fenomeni difficilmente controllabili, come la prostituzione di massa. L'operazione di polizia condotta fra il 20 ottobre 2006 e la fine di gennaio di quest'anno, ha portato all'arresto di 784 delinquenti dediti allo sfruttamento della prostituzione e a 1311 denunce. Naturalmente, il fenomeno è lungi da essere debellato e ha dimensioni gigantesche in tutto il mondo. Ma chi sono e quante sono le vittime? Nel Sud-Est asiatico si parla di oltre trenta milioni di donne ragazzine e bambini vittime di questa nuova specie di schiavitù. Noi continuiamo a parlare dei neri d'America, a suo tempo ridotti in schiavitù, ma sono stati poco più di undici milioni, contro i trenta-quaranta milioni oggi coinvolti in questo mercato del sesso più o meno forzato e violento. ... Progressiva distruzione di un modello di convivenza In queste condizioni, di fronte al sovvertimento della stratificazione sociale, delle tecniche di lavoro, dei valori dominanti che regolavano il funzionamento dell'intera società, in un mondo in cui, come osservava il sociologo Domenico De Masi, tre persone hanno un reddito superiore a quello dei quarantotto Paesi più poveri presi insieme, come riorganizzare la società, come ricostruire un sistema di valori accettabile, come contenere il fenomeno della prostituzione di massa? Pensiamo davvero di risolvere i nostri problemi con la repressione? La globalizzazione è un fatto, la sua contestazione, che d'altronde e stranamente non si scaglia contro il mercato di trenta o quaranta milioni di schiave, è di per sé un evento piccolo piccolo di fronte ai mutamenti epocali di cui fatichiamo ad occuparci. La prostituzione di oggi è una specie di gigantesco far west a pagamento che continua a dilatarsi nella società europea e nel mondo ed è forse la conseguenza più distruttiva e devastante di un fenomeno che per altri aspetti sembra positivo. La distruzione progressiva di un antico modello di convivenza è una delle cause di un fenomeno che non sappiamo come combattere efficacemente.
 
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