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Scoprire il dolore dell'anima
Umberto Galimberti su la Repubblica
Lunedi 12 febbraio 2007
Perché la "psichiatria organicista", quella che impiega i farmaci per intenderci, utilissimi, anzi in alcuni casi indispensabili per alleviare le condizioni di chi soffre, non ascolta con una certa continuità e frequenza le parole che sgorgano dalla sofferenza e che riproducono in modo drammatico le condizioni d´esistenza di ciascuno di noi, e in modo vertiginoso alcuni abissi che solo l´arte, la poesia, la musica, la mistica fanno dischiudere, chiedendo spesso il sacrificio dell´artista, del poeta, del musicista, del mistico?
Solo la "psichiatria fenomenologica", che in Italia non si insegna in nessuna scuola di specializzazione, si presta a questo ascolto, per andare incontro alla speranza di chi soffre, sciogliere i vissuti di colpa che incatenano, perforare i muri della solitudine quando nessuna parola la raggiunge, nessun gesto la incrina, fino a quel taedium vitae che tutti, per brevi attimi, avvertiamo come nausea dell´esistenza.
Perché non avviene un´integrazione di questi due orientamenti psichiatrici? Perché la pratica farmacologica sopprime l´ascolto, disumanizza l´uomo, riducendolo ad un "caso" da rubricare in quei quadri nosologici, dove è l´efficacia del farmaco a decidere la diagnosi, mettendo a tacere tutte le parole del dolore che la follia urla e le nostre anime sussurrano. E così disimpariamo il vocabolario emozionale, anche se sappiamo che tutte le parole dimenticate diventano opachi silenzi del cuore, che aprono quei percorsi bui e insospettati di cui ci accorgiamo solo quando approdano a gesti tragici.
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Organicamente mi appariranno tensioni nervose e contrazioni muscolari, psicologicamente le dinamiche di quell´energia che Freud ha chiamato "libido", in nessuno dei due casi mi apparirà una successione di esperienze, perché sia l´apparato organico, sia l´apparato psichico sono senza mondo e senza quell´intenzionalità che si dispiega nel desiderio, nel timore, nella speranza e nella disperazione per le cose del mondo.
<U>A questo punto, pensare di comprendere meglio l´esperienza di un corpo vivente che abita un mondo, scindendolo nell´impersonalità dei due sistemi, uno organico e uno psichico, che per definizione non hanno un mondo, perché sono costruiti sui modelli concettuali ricavati dalla fisica e dalla biologia, significa non rendersi conto di quanto sia assurdo tentare di comprendere persone con procedimenti di spersonalizzazione.</u>
Se infatti la follia, come ci ricorda Bruno Callieri, è la scissione nell´uomo, la sua lontananza dagli altri, la sua estraneità al mondo, come si può pensare di guarire applicando una dottrina i cui principi sono l´esatta riproduzione delle componenti della follia? Come si può pensare di condurre all´unità dell´esistenza un uomo "a pezzi", servendosi di una dottrina che non ha mai conosciuto l´unità, ma sempre e solo la giustapposizione dei "pezzi"?
Se è vero, come dice Heidegger che "il linguaggio parla", termini come psico-fisico, psico-somatico, bio-psico-logico, psico-pato-logico, psico-sociale dicono che la psicologia non ha mai conosciuto l´unità dell´esistenza, ma solo la composizione delle parti che la scienza ha già consegnato ai vari sistemi. Il suo sforzo di ricostruzione, come ci ricorda Laing, assomiglia "allo sforzo disperato dello schizofrenico per ricomporre il suo io e il suo mondo disgregati".
Quando la psichiatria organicista presterà ascolto alla psichiatria fenomenologica e imparerà a conoscere le "diverse modalità" della sofferenza esistenziale che non ha organi specifici di riferimento? E soprattutto quando noi, tutti noi, presteremo attenzione all´urlo straziante del folle o al suo muto silenzio, dal momento che non possiamo ignorare che la sua disperazione solo per intensità e frequenza differisce dalla nostra? "Noi siamo un colloquio" diceva Hölderlin dall´abisso della sua follia, e allora incominciamo a parlare e ad ascoltare prima di tacitare o mentre attenuiamo l´urlo o il silenzio con un farmaco. Del resto già Kafka annotava che "scrivere una ricetta è facile, ma ascoltare la sofferenza è molto, molto più difficile".
Il Far West delle schiave del sesso
Sabino Acquaviva su La Stampa
In Italia viene creato un osservatorio sulla prostituzione. Giusto e ovvio, perché il processo inarrestabile di globalizzazione dà vita a fenomeni difficilmente controllabili, come la prostituzione di massa. L'operazione di polizia condotta fra il 20 ottobre 2006 e la fine di gennaio di quest'anno, ha portato all'arresto di 784 delinquenti dediti allo sfruttamento della prostituzione e a 1311 denunce.
Naturalmente, il fenomeno è lungi da essere debellato e ha dimensioni gigantesche in tutto il mondo. Ma chi sono e quante sono le vittime? Nel Sud-Est asiatico si parla di oltre trenta milioni di donne ragazzine e bambini vittime di questa nuova specie di schiavitù. Noi continuiamo a parlare dei neri d'America, a suo tempo ridotti in schiavitù, ma sono stati poco più di undici milioni, contro i trenta-quaranta milioni oggi coinvolti in questo mercato del sesso più o meno forzato e violento.
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Progressiva distruzione di un modello di convivenza
In queste condizioni, di fronte al sovvertimento della stratificazione sociale, delle tecniche di lavoro, dei valori dominanti che regolavano il funzionamento dell'intera società, in un mondo in cui, come osservava il sociologo Domenico De Masi, tre persone hanno un reddito superiore a quello dei quarantotto Paesi più poveri presi insieme, come riorganizzare la società, come ricostruire un sistema di valori accettabile, come contenere il fenomeno della prostituzione di massa? Pensiamo davvero di risolvere i nostri problemi con la repressione?
La globalizzazione è un fatto, la sua contestazione, che d'altronde e stranamente non si scaglia contro il mercato di trenta o quaranta milioni di schiave, è di per sé un evento piccolo piccolo di fronte ai mutamenti epocali di cui fatichiamo ad occuparci. La prostituzione di oggi è una specie di gigantesco far west a pagamento che continua a dilatarsi nella società europea e nel mondo ed è forse la conseguenza più distruttiva e devastante di un fenomeno che per altri aspetti sembra positivo. La distruzione progressiva di un antico modello di convivenza è una delle cause di un fenomeno che non sappiamo come combattere efficacemente.
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