Creato da MirtilloGirl il 11/09/2006
quando qualcosa comincia, comincia a finire (a.g. pinketts)

marmellata di mirtilli

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Post N° 64

Post n°64 pubblicato il 18 Dicembre 2006 da MirtilloGirl
 

Si fa presto a dire Artaud.

Quello che Picasso è stato per l'arte contemporanea, in qualche
modo Artaud lo è stato per il teatro contemporaneo.
L'ignorante guarda magari un'opera d'arte contemporanea e
dice "è uno scarabocchio, sa farlo anche mio figlio di quattro anni".
L'ignorante che si atteggia guarda uno scarabocchio e dice
"é astrattismo".
Luoghi comuni. Bisognerebbe partire da Cèzanne.
L'intorno dell'arte contemporanea arriva almeno fin lì.
Non è la forma che conta, sono i concetti, i linguaggi.
Si fa presto a dire Picasso.
E così si fa presto a dire Artaud. Tutto il teatro
contemporaneo si sviluppa attorno ad un'idea di immagine
e di corporalità cui ha dato voce l'intuizione di quest'uomo.

Ma se poi il genio diventa luogo comune, non si distingue
più la comprensione del genio dalla citazione di un simulacro,
e chiunque si sente in diritto di citare il genio in nome di
una contemporaneità che finisce col non significare più nulla.

Per farla finita col giudizio di Dio, Teatro Arsenale.
Uno può prendere questo testo e fare finta che sia un testo
teatrale, costruirsi una visione organica, immaginarsi uno spazio,
una scenografia persino, e fare l'attore e l'attrice così come
gli hanno insegnto a scuola. Sì, certo, si può prendere questo
testo e convincersi pure che sia un testo teatrale, avere
delle intuizioni sceniche anche interessanti, come l'uso di
un proiettore, e una videocamera che riprende l'attrice
in scena e la proiette contemporaneamente in un piccolo
televisore accanto a lei che sta di spalle, uno può persino
recitarselo questo testo.
Solo che poi io non ce la faccio, proprio non ce la faccio ad
applaudire. Perchè alla fine mi dico: a cosa serve tutto
questo? Non era già superato tutto questo? Non era
proprio Artaud che auspicava che si superasse?
Stiamo ancora qui a raccontarcela e a recitare?
E i corpi? Che ci stanno a fare i corpi? Con che coraggio
si affronta un testo che parla di merda, feci e liquidi organici
con l'urgenza di chi è stato violentato ed espropriato del
proprio corpo, come si fa a mettere in scena un testo che
grida la fisicità di un uomo ferito e frantumato senza
avere il coraggio di fisicizzarlo, questo testo, di reificarlo
sulla propia pelle?
Artaud genio e Artaud uomo sono due dimensioni seprate.
E dentro questo testo, più che nei saggi, sono presenti
entrambe le dimensioni. Ma in questa messa in scena,
non ne ho vista nemmeno una. Sporadici istanti.
Nei saggi lo scrive lucidamente. In questo testo lo scrive con
la lucida follia post-manicomiale. Ma in fondo il messaggio
è la frantumazione, l'incolmabile abisso che ci separa dalla Vita.
Io penso che se si sceglie di mettere in scena questo testo,
bisognerà pur avere il coraggio di guardare dentro questo
abisso e di sentire il desiderio di carne e sangue e merda per
riappropriarsi di ciò che ci fa presenti e reali prima dell'eternità.
Il punto di partenza della rivoluzione, la creazione del nuovo
linguaggio, del concetto.
Il corpo.
Quando la facciamo finita anche col teatro dei commedianti?

Se la nostra vita manca di zolfo, cioè di una
costante magia, è perchè ci compiacciamo
di contemplare le nostre azioni e di perderci
in riflessioni sulle forme fantasticate delle
azioni, anzichè lasciarci condurre da esse.
Antonin Artaud

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ascaso1974
ascaso1974 il 18/12/06 alle 20:32 via WEB
Se ne parlava con un'amica che poco tempo fa è riuscita a portare in scena uno spettacolo preparato da lei. E' un miracolo perfino trovare il denaro per le spese "obbligate". Artaud..difficile dire cosa si possa farne, della sua opera. Non sono nemmeno così sicuro che se ne fosse preoccupato, lui, al di là di quel che ne diceva nelle sue lettere. Perfino nella parola si capisce, credo, che lui vivesse la sua opera nel corpo. O può essere che lo sembri a me, che con il mio corpo ci combatto da una vita, e certe notti scrivo cose che conviene non far leggere a chi potrebbe preoccuparsi. Credo vivesse in modo corporeo le proprie parole, e che l'alchimia che operò scrivendo gli servisse, come un'urgenza, proprio per questo. Ci sono stati, per me sempre di malessere, in cui non si trova rispondenza tra interiore e corpo, momenti in cui s'avverte un'urgenza dolorosa, quella di uscire, di aprire il corpo, ma non se ne trova il mezzo. Come quando non si trova, non si ha, il termine giusto per dire qualcosa, a volte la necessità di liberare quello che si prova diventa dolorosa quanto il dolore stesso che la causa. Fantasia non autorizzata, la mia, anche se così si finisce nel campo delle interpretazioni. Leggo Artaud e m'accorgo che m'insegna linguaggio. Lo leggo mentre disarticola la struttura del periodare, poi quella delle proposizioni, e lo sento sbattere la testa contro i limiti della parola. Poi lo leggo disarticolare la parola stessa, forzarla, costringerla ad improvvisare a comando, e allora sembra che oltre la parola, insufficiente il linguaggio ad esprimere il significato, Artaud cerchi il suono, per far sì che sia lui, il suono, a parlare, e non la parola. Ed eccolo inventare fonemi, Artaud, puntuale. Glossolalia, diede questo nome al suo tentativo fonico (Stesso termine, e azione simile, in alcune religioni, ha il suono. Non la parola..ma il termine si usa anche in psichiatria. Tutto torna ad Artaud, parrebbe). E si torna a quello che diceva Mirtillo, lassù: oltre la parola pronunciata, il corpo ignorato. Artaud attraversa la parola, i suoi emuli spesso si fermano a lei, alla parola, non all'intenzione. Forse.
 
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