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Canzone di notte n° 2 (23,56)
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Trovare. Trovarsi. Ritrovare. Ritrovarsi.
E con queste parole scrivo e ne avrei troppe di parole affacciate sul parapetto della memoria e che sfrigolano sulla punta delle dita. Ma è come ne avessi paura a lasciarle andare come vogliono loro e potrebbe portarmi in un luogo in cui non vorrei andare. Adesso. Adesso non vorrei andarci?
Invece credo sia il momento in cui provare a trovare il punto di inizio di una narrazione che è me stessa ed il contrario di me stessa.
Ed il punto di inizio è il momento per trovarsi, per ricontare i percorsi che mi hanno portato fino qui e capire quali sono stati i passi veloci e leggeri e quali sono stati fatica e dolore.
Ritrovare questo luogo da cui sono stata lontana per troppo tempo e capire perché starne lontana dal momento che questo insieme di parole iniziato più di cinque anni fa è ancora così parte di me da non riuscire a farne a meno.
E forse dopo un percorso così difficile e sincero sarà più semplice ritrovarsi. E di questo ho davvero bisogno. Ritrovarsi per ritrovarmi nei gesti e nel sentire, nel buttare fuori da me la rabbia e lo scontento che questo lungo tempo senza parole mi hanno raggrumato nell’anima. Nell’anima? No. Il gomitolo ingarbugliato e di cui non trovo il filo iniziale non è nell’anima. L’anima è in pace, tranquilla ed indifferente alle inquietudini strane che mi stanno accompagnando come ombre nei giorni e nelle ore. Il grumo calcareo di rabbia, insofferenza e dubbio è nella mia testa, dietro gli occhi che non sempre vogliono essere attenti per vedere tutte le sfumature possibili.
Ecco.
Analizzare l’ultimo periodo sarà l’impresa più difficile perché la rabbia dolorosa e il dolore rabbioso della morte non si scioglie nelle lacrime che saprebbero lavarlo e purificarlo. Non so trovare lacrime per piangere la morte di un’amica che ammiro per la forza della battaglia che ha combattuto contro quell’infame nemico che non doveva prendersela con lei. Ho sempre pensato che non fosse giusto, che non poteva soffrire ancora, che adesso doveva essere per lei il tempo della serenità, della quieta famiglia e della conquistata serenità. E invece lei ha lottato per un tempo lungo e ha sofferto troppo e non c’è nessun disegno o destino e nessuna parabola che possa convincermi che così è la vita. La vita non è la morte. Non è la morte da giovani, e con un figlio di sette anni e ancora tante, troppe, infinite cose da fare ancora. E mi crollano addosso i miei meschini e minuscoli pezzetti di fede con cui riuscivo a difendermi dall’incomprensibile. L’incomprensibile mi è arrivato così vicino da non saper guardare oltre e da non riuscire a capire quale potrebbe essere la spiegazione. Ma spiegazioni non esistono. Rimango ferma a guardare il buio e la notte senza risposta.
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Canzone di notte n. 2 - Francesco Guccini
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DA LEGGERE
Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)
" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......
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