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« quasi l'una di nottequasi l'una di notte »

mezzanotte e mezza

Post n°558 pubblicato il 25 Aprile 2012 da liberante

.

Immagino ci fosse il sole chè dalle foto le ombre risultano nitide e mi sembra di sentire il tepore sui vestiti e sulla pelle del viso e il piacere dopo il freddo degli inverni in montagna senza altro da scaldarsi che un fuoco dietro una roccia.

Immagino ci fosse quella brezza lieve, appena un soffio a trasportare l’aroma aspro e ferroso della giacca indossata per troppo tempo e sempre con il fucile a tracolla ed un sentore di muschio per le tante notti trascorse sulla terra sotto gli alberi. E sotto a tutti gli altri odori quello cattivo e dolciastro della morte.

Immagino il passo leggero con cui camminavano per il corso così diverso dal passo rude e forzato tra forre e scoscesi sentieri rocciosi e così facile dopo la neve e il ghiaccio e la pioggia e il fango.

Immagino lo sguardo spalancato a rivedere luoghi lasciati in un tempo remoto e dimenticato, quando non si poteva sapere che l’ideale sarebbe diventato lotta.

Immagino il sorriso. Il sorriso. Il sorriso che non è sulla bocca, ma negli occhi e da lì si estende a tutto il corpo e lo riempie di un sentimento che forse sarebbe felicità totale e assoluta se non ci fosse il ricordo del sangue che era stato il primo e l’ultimo pensiero di tutti quei giorni su in montagna. E se non ci fosse il ricordo straziato di quelli che non avrebbero più camminato in quelle belle strade asfaltate, tra le grida della gente sui bordi, con le bandiere e le mani rilassate lungo i fianchi.

Immagino le voci che si sovrappongono in un impasto sonoro che non ha senso eppure significa riuscire finalmente a parlare senza avere paura che la paura era stata compagna fedele e messaggera di quel coraggio per cui anche le azioni più rischiose erano affrontate a testa alta e con la temerarietà che solo la consapevolezza di essere nel giusto sa dare.

Immagino il senso di Liberazione.

(avrei voluto esserci)

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DA LEGGERE

 

Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)   

 

" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......

..... continua qui  

 

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