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Filippa Filippazzi

Post n°352 pubblicato il 20 Maggio 2007 da liberante
 
Foto di liberante

I miei concordarono nel dire che una persona distinta e questo mi faceva un po’ ricredere, chè l’opinione della mia ottusa famiglia non era mai stata la mia.

Però loro avevano indagato tra i pettegolezzi della brava gente del nostro quartiere e tutti concordavano nel dire che era una brava persona.
Molto riservato.
Viveva da solo in un appartamento in un vecchio palazzo nello stesso viale alberato dove c’era la salumeria. Aveva una governante che badava alla casa.
Dopo quasi tre mesi di malattia ripresi ad andare a scuola e tutto era in un equilibrio perfetto, troppo perfetto.
Aspettavo che succedesse, desideravo che succedesse, volevo fare l’amore con lui, ma aspettavo i suoi tempi.
Successe, eccome che successe.
Un sabato sera mi invitò a cena a casa sua.
Non c’ero mai stata ed ero agitatissima.
Avevo provato una ventina di vestiti prima di scegliere il tubino nero, con sopra uno spolverino arancione fosforescente. Mi ero truccata con l’attenzione al particolare, un trucco che non si vedesse, che fosse facile da togliere, nel caso mi fossi fermata a dormire da lui, un profumo leggero, ma persistente e resistente agli umori ed ai sudori di quello che immaginavo dovesse succedere.
Al di là dell’eccitazione che questo uomo mi provocava, c’era anche una fame da anni d’astinenza da placare.
Misi in borsa un pacchetto di preservativi, non sia mai che lui non ci pensasse.
Tutto secondo il copione di un film romantico.
Cena raffinata, candele, Chopin e Debussy di sottofondo, la fiamma accesa nel caminetto, un vago profumo di legno di sandalo, discorsi lenti e parole sommesse, carezze e baci, insomma tutto il repertorio.
A letto era uno schianto.
Bravissimo e attento a ogni mio fremito.
Fu un’esplosione di piacere, un torrente di passione, un mare impetuoso di sesso.
Fu una notte indimenticabile, la prima di molte altre.
Andammo avanti così per un anno.
Mi sentivo la regina di un mondo incantato.
La mia pelle era lucida e splendente, perfino i miei capelli erano più gonfi. Ridevo e sorridevo a tutti e a tutto.
I miei alunni mi adoravano e pur restando una prof di quelle toste riuscivo a farmi volere bene. Mi dicevano
Prof la malattia le ha fatto bene e che cazzo di medicine le han dato? Qualche canna di quelle giuste?
Ridevo con loro e li ascoltavo e cercavo di risolvere con loro i problemi. Capivo finalmente quanto è difficile essere adolescenti e se avessi avuto un aiuto diverso durante i miei anni giovani sarebbe stato tutto più facile.
Ricordavo bene il non dialogo con la mia famiglia.
E come avrei potuto dire a mia madre che scopavo sui sedili scomodi delle 500 dei miei compagni di scuola e nemmeno chiederle se era meglio il preservativo o il diaframma.
Qualunque tipo di informazione sessuale avevo dovuto impararla dalle amiche e da qualche libro.
Nemmeno avrei potuto chiedere a mio padre cosa c’è dopo la morte e perché c’è la guerra, perché muoiono di fame i bambini africani, insomma se parlo di ottusa famiglia ne ho motivo.
Non c’è nella mia memoria nessun ricordo della mia infanzia e adolescenza che non sia riconducibile al lavoro, alla bottega, a quando sarai una buona moglie queste cose le capirai, e quando avrai figli saprai tutto quello che devi sapere.
Il loro orizzonte era chiuso e limitato dalla vetrina della salumeria e dalle pareti della casa, non c’era niente altro che il lavoro e la famiglia, tutto il resto era perdita di tempo.

L’immagine è la Filippa da adolescente e proviene dall’archivio fotografico di Gelsomina, sua grande amica.

 

 
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DA LEGGERE

 

Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)   

 

" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......

..... continua qui  

 

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