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Post N° 431
Denso scorre il tempo.
Vischioso.
Appiccica pezzi di minuti, ma spezza le ore in briciole che disperde nel vento della fretta.
E allora tu fermati.
Fermati.
Fermami.
Mettimi le mani sulle spalle e fammi guardare nello specchio opaco di giorni senza luce, senza inizio e senza fine.
Fissami negli occhi con i tuoi occhi e fammi capire il senso dell’abitudine, perché è lei, Signora Abitudine, che frantuma le mie ossa e mi lascia come un verme a strisciare sul viscido fango della palude.
Signora Abitudine sta dietro le spalle e bisbiglia una lenta cantilena, come la ninnananna che mamma cantava con la bocca nei miei capelli di bimba spaventata dal buio della notte e poi mi addormentavo sicura.
Signora Abitudine intreccia collane di rose e viole, così belle che le arrotolo sui polsi e intorno al collo in tanti giri stretti fino a incatenarmi e soffocarmi nella bellezza e nel profumo.
Signora Abitudine mi resta accanto trasformando i castelli di carta delle mie incertezze in muraglioni di pietre spesse, senza passaggi e alte da non poterle scavalcare.
Uccidila.
La vedi?
È nell’ombra nera della mia anima.
Si nasconde, vigliacca, tra i se ed i ma, i forse, i quasi.
Mi confonde con le buone intenzioni vuote e perse come sassi sporchi sui bordi della strada.
Uccidila con le tue mani d’amore e non aver paura di sporcarti le dita, non ha consistenza.
Signora Abitudine è effimera come il fumo di una sigaretta, ma impregna l’aria che respiro con l’odore cattivo di marcio e putrefazione.
Distruggila con la tua voce di passione sussurrata nel mio orecchio e lei imploderà nello stesso nulla di cui è fatta.
Nulla e niente sono i suoi vestiti ed il vuoto che resterà dopo che l’avrai uccisa sarà il punto di partenza del mio viaggio con te.
Uccidila e il tempo tornerà a scorrere liscio e leggero sulla mia pelle ed avrò sapore di mandorle e arance.
Uccidila e nell’esplosione della ritrovata interezza sarò per te quello che vorrai e sarò per me quello che vorrò essere.
Non ci saranno più specchi opachi, ma luminosi cristalli e acqua limpida e bere dalla tua bocca.
Uccidila.
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DA LEGGERE
Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)
" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......
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