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In metropolitana il caldo era soffocante e la stanchezza si scioglieva assieme al sudore, nelle gocce che sentiva scivolare dai capelli e lungo il collo.
Sentiva solo il suo malessere, quel miscuglio di triste allegria e di fastidio sulla pelle.
Nemmeno riusciva a fare il giochino di guardare le persone e immaginare una storia solo dagli atteggiamenti o dal modo di vestire.
Aveva solo questo disagio di respiro monco e di pensieri troncati.
Avrebbe voluto chiudere gli occhi e dormire per fare che quella mezz’ora passasse senza che se ne accorgesse.
Il suono del violino?
Dove?
(Marc Chagall - Il violinista)
In fondo alla vettura un uomo suonava il violino, un po’ stonato e stridulo, in completa dissonanza.
Le venne in mente Kusturica e le sue musiche assurdamente melanconiche e giocose, sfrenate, quasi uno sberleffo, una frase sottolineata, un carrozzone di zingari, un gatto nero e un gatto bianco, la traiettoria di un palloncino, il lento incedere di una fiaccolata sul letto di un fiume, un velo da sposa che scivolava negli abissi del mare, una ferrovia in cui nessun treno passava.
Ora attenta alla musica dimenticava se stessa.
La musica cambiò improvvisa e divenne intonata e perfetta.
Mozart. Eine kleine nachmusik.
Sorrideva adesso, il sorriso profondo, quello che arriva dallo stomaco che si rilassa e lascia passare l’aria troppo a lungo trattenuta.
Sorrideva adesso e guardava l’archetto scivolare sulle corde disegnando le note che cadevano per terra rimbalzando come tintinnanti gocce d’acqua su cristalli colorati.
Pensò a quella strana alchimia di musica conosciuta, conosciuta talmente bene da trovarla banale se fosse stata in un altro posto. In quello spazio ristretto e obbligato, insolito e anomalo diventava musica da farsi passare attraverlo la pelle per farla entrare a liberare quei pensieri che non volevano uscire.
Non era più stanca e il caldo era solo un sensazione lontana.
La mente pulita e tutti i suoi pensieri.
La donna seduta di fronte con la borsa della spesa era stanca, ma non per la spesa, stanca della vita mal vissuta e negli occhi il vuoto opaco del non aspettarsi più nulla.
Il ragazzo con la maglietta griffata e i pantaloni larghi aveva lo sguardo radiante aspettativa per l’appuntamento cui stava andando.
E quella vecchietta nell’angolo illuminata da una candida camicetta era la nonna che avrebbe voluto avere.
Sorrideva adesso facendo il suo solito giochino.
Frugò nel portafoglio e la moneta che mise nel bicchiere ammaccato e sporco, era gratidudine.
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DA LEGGERE
Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)
" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......
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