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Le parole dovranno essere lente e lunghe perché veloce e breve è stato il tempo e denso di talmente tanto che districarlo dalla massa informe sarà opera paziente.
Affioreranno le parole come bollicine.
Non so se l’immagine sarà il lampo di un attimo o il pacato racconto di un’isola finta.
Troverò tra i pensieri i pensieri già avuti e li specchierò in questo mio continuare ad essere nello stesso posto.
L’altrove immaginario sarà il reale immaginato.
Sarà la pedina che gioco con la fantasia.
Corre,
troppo verde,
il paesaggio fuori dal treno,
così rapido che lo stormo di uccelli è fermo nel cielo,
che non leggo i nomi delle stazioni,
che l’orizzonte trasmuta in un caleidoscopio
di colli-cipressi-case-vigne-campi.
Troppo veloce per capire.
È la lentezza che aiuta.
Non riesco a bere il caffè bollente.
Non riesco a sciogliere i nodi.
E mi si ingombrano dentro le parole che intrecciano storie.
Tante, una per ogni volto che ho sfiorato, una per ogni voce che ho ascoltato, una per ogni sapore che ho masticato. E infinite per gli infiniti colori che ho visto.
Non posso nemmeno paragonarle alle fotografie che ho fatto. Non ha odore la fotografia e non ha suono. Nella memoria ho stampati quadri fatti di aromi e rumori. Da non riuscire nemmeno a elencarli che non ci sarebbero lettere da allineare. Ma sono presuntuosa e ci provo.
Adesso e poi, dopo aver fatto passare del tempo.
Adesso la limpidezza di ieri e dell’altro ieri mi fanno annusare l’odore di mare e frittelle, di temporale sui tetti e di arcobaleni tra le nuvole, di resina e zolfo.
Adesso il suono della fontanella nel silenzio irreale del chiuso di un cortile è uno spazio fuori dallo spazio e oltre le righe.
Adesso la stanchezza rende pesante la testa e le mani scivolano sui tasti come se avessero una vita loro, indipendente da me.
Adesso l’allegria e la serenità non si sono ancora sbiadite con la quotidianità dei gesti usuali.
Adesso ho l’adrenalina dell’aver fatto quello che volevo e come volevo.
Adesso sento forte l’amicizia di chi mi ha regalato il suo tempo e un pezzo della sua vita per farmi stare bene.
Adesso ho voglia di scrivere come se bevessi senza mai placare la sete.
Adesso, e poi.
(Pink Martini - Una notte a Napoli)
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DA LEGGERE
Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)
" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......
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