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Canto XXXV - Inferno

Donne affette da Endometriosi

 
 
 
 
 
 

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LETTERA MAI LETTA AD UN MINISTRO DELLA SALUTE

Post n°135 pubblicato il 06 Aprile 2008 da librodade

Gentile Ministro Turco,

Le invio questa lettera, che ho cercato di scrivere altre volte, senza riuscire a terminarla.

 

Voglio parlarLe di , come nessuno Le ha mai parlato.

Sicuramente è già a conoscenza delle nozioni basilari sull’; in cosa consiste la patologia, come si sviluppa, quante colpisce, come viene curata…

Il mio approccio terapeutico sulla malattia è stato di tipo prettamente chirurgico nei primi mesi dopo la . Ovviamente questo mi fu consigliato dagli specialisti.

In cinque mesi subii due interventi. Il secondo fu molto delicato, perché erano coinvolti parecchi organi. Sapendo della situazione complicata, mi rivolsi ad un centro specializzato.

 

Prima dell’intervento mi furono indicate le conseguenze che avrei potuto subire. Ma il tutto, si sarebbe risolto in breve tempo. Ogni eventuale complicazione era da considerarsi transitoria. Quindi c’era la speranza che, nella peggiore delle ipotesi, avrei sopportato per un po’ qualche disturbo, ma poi la qualità della vita sarebbe stata migliore, ed avrei potuto cercare la tanto desiderata.

Così quel mattino di cinque anni fa, a 31 anni, sono entrata in sala operatoria serena, verso una nuova vita, un futuro migliore…

 

Non penso che le mie giornate ora possano considerarsi migliori. Ma una cosa è certa. Da quel giorno la mia vita è cambiata, stravolta. Sono cambiate le mie priorità, i progetti.

Quel giorno scoprii di non riuscire più a fare “pipì” da sola. Avevo bisogno di inserire una sonda (più comunemente chiamata catetere) direttamente in vescica per estrarre l’urina, perché, non riuscivo più ad espellerla spontaneamente. Ero tranquilla. Il tutto si sarebbe risolto nel giro di poco.

Dopo qualche settimana le cose non migliorarono. A quel punto i medici cercarono di tranquillizzarmi dicendomi di tornare a casa, che nel giro di sei mesi, sarei tornata come prima… poi dissero che ci sarebbe voluto un anno… poi dopo un anno dissero che non c’erano speranze…

Eccomi qui dopo cinque anni, durante i quali, mi sono sottoposta ai controlli più snervanti, le terapie più inutili. Spesso sono stata ritenuta una persona con problemi psicologici…

Non penso sia un problema psicologico il mio. Lo ritengo più un problema fisico. Gli esami rivelano che non ci sono contrazioni in vescica. Più verosimilmente per lesione ai nervi che per la mia psiche.

Ogni volta che inserisco una sonda ho una probabilità in più di portare batteri in vescica ed essere colpita da infezione delle vie urinarie.

I primi anni andarono bene. Mi venivano 4 o 5 infezioni all’anno. Poi le cose sono peggiorate e da un paio d’anni soffro di infezione cronica e sono costantemente sotto terapia antibiotica.

Non penso mai al mio futuro. Non lo faccio, perché so già che non ci vedrò una , che sarebbe complicata da gestire con le infezioni. Non lo faccio, perché non voglio vederci un apparecchio per la dialisi. Non accadrà sicuramente, ma i medici mi hanno spiegato che potrebbe accadere. Considerato che ne ho veramente il terrore, non ci penso. Ho imparato a vivere alla giornata. Cerco di godermi con serenità i giorni felici che il Signore mi manda. Se in quei giorni posso fare qualcosa per gli altri, e ritagliare spazi per me stessa, riesco a dare uno scopo alla mia esistenza. Per questo partecipo attivamente alla vita dell’associazione quando posso.

Quando invece arrivano i giorni difficili, per le infezioni o per l’, che nonostante l’intervento si è ripresentata in forma aggressiva, li affronto con un “c’era da aspettarselo…”. E attendo che ritornino tempi migliori. Guardo oltre la finestra. Là c’è un mondo che va avanti anche senza di me. Ma ancora pochi giorni e potrò rimettermi in pista.

 

Penso poco anche al passato, ovvero al periodo che ha seguito l’intervento, perchè è stato veramente deludente. A tal proposito apro una piccola parentesi dove Le esprimo i miei dubbi e dissapori, ma non per lamentarmi. Lo faccio con la speranza che un giorno le cose cambino.

Non ho trovato sostegno su nessun fronte. Né medico, né assistenziale, né sociale, né legale.

Subito ero sconcertata. Poi col tempo ho capito il perché.

Non esiste una linea guida per casi come questi.

Dal punto di vista medico, una volta usciti dalla sala operatoria con danni chirurgici ci si arrangia come si può. Non c’è un trattamento specifico, non si rientra in nessuna patologia. Si cerca di curare nel modo in cui si affronterebbe la patologia che più si assomiglia per disfunzioni e disturbi.

Sul fronte assistenziale, non è prevista alcuna esenzione su farmaci che aiutano a “conservarsi nel tempo”. Mio marito ed io, affrontiamo circa 300 euro di spese mensili per medicine che non avrei mai preso, se non mi fosse accaduto nulla. Stesso discorso vale per l’esenzione ticket per gli accertamenti da eseguire.

Non c’è testo neppure per l’elargizione delle protesi. I casi come il mio, vengono trattati come i mielolesi. Ovvero un paraplegico che non ha stimoli e si trattiene nel bere riesce a cateterizzarsi quattro volte al giorno. Il discorso è diverso invece per una ragazza che a causa di vescicale e cicatrici chirurgiche soffre spesso di spasmi e ha bisogno di svuotare la vescica con più frequenza. Ma alla fine il risultato è lo stesso. Si ricevono 4 protesi al giorno… per il resto, si provvede autonomamente.

In un discorso d’invalidità civile, il danno chirurgico non fa punteggio, l’ nemmeno, non essendo patologia riconosciuta. Di conseguenza non si accede alle liste speciali d’invalidità per un leggero. Così continuo a non avere una indipendenza economica e a contare sull’aiuto dei miei familiari.

Dal punto di vista legale, meglio stendere un velo pietoso. Purtroppo conosciamo tutti come vanno queste cose, e i periti stessi dicono che è meglio lasciar perdere…

Mi scuso se non sono riuscita ad essere più concisa, ma del resto quando avrò ancora occasione di parlare con il Ministro della salute?!!!

Lei ha letto con attenzione questa storia… ebbene, moltiplichi ora per 4!!! Perché siamo almeno in quattro in queste condizioni, operate nella stessa struttura. Ci sono altre tre famiglie che devono affrontare le nostre speranze, e delusioni ed avranno sempre una sola ed unica certezza… nulla tornerà come prima di quel giorno. Altre ragazze invece devono affrontare conseguenze diverse, magari non croniche, con una risoluzione, ma gravi in ogni caso.

Io mi ritengo un po’ come la bimba, che in spiaggia getta a mare le stelle marine morenti. Ad un signore che le chiede cosa sta facendo, dice che lei in quel momento è l’unica che ha il potere di strapparle alla .

Ogni volta che parlo dell’associazione, distribuisco un volantino, organizzo una conferenza, scrivo una lettera ad un ministro, lo faccio con la speranza di togliere ad una ragazza la possibilità che avvenga ciò che è accaduto a me o ad altre… ma se arrivo in tempo, è solo un caso fortuito…

Lei invece ha la possibilità di salvare tante stelle marine, ed eventualmente dar vita a tante altre piccole stelle, con il ruolo che riveste. Lei può fare qualcosa.

 

Come donna comprendere a fondo la delicatezza di questa malattia. Come Ministro, sostenere efficacemente il disegno di legge sull’.

Il riconoscimento di questa patologia è importante, ma ancor più essenziale è predisporre formazione nei medici.

Negli anni 70 i medici non conoscevano la celiachia. Ora ai pediatri è stato insegnato come riconoscere un celiaco… così in futuro sapranno riconoscerne un altro in un loro piccolo paziente…

La stessa cosa un giorno dovrà accadere con i ginecologi e l’.

Penso che il mio/nostro caso di mala-sanità non sia nato in una sala operatoria, bensì vi è sfociato. Se i medici nel corso dei dieci anni precedenti avessero capito di cosa soffrivo, forse sarei arrivata in sala operatoria con una situazione meno complicata, evitando un intervento pesante e rischioso; oppure più semplicemente, avrei potuto non arrivarvi affatto, curando con i farmaci una situazione leggera..

Ringraziando per l’attenzione, e sperando di aver lasciato un segno, La saluto “calorosamente”. Non trova che un freddo saluto cordiale non si addica tra due persone che d’ora in poi, lotteranno per un obiettivo comune? Due persone che anche se lontane fisicamente affronteranno un tratto del loro percorso “insieme”.

 

Stefania

 
 
 
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