L'uomo ha scoperto la bomba atomica, però
nessun topo al mondo costruirebbe una trappola per topi.
Albert Einstein
IO
La notte chiedo chi sono
sono la sua insonne intimità,
profonda e oscura,
sono la sua voce ribelle.
Velo la mia realtà con il silenzio
e avvolgo il mio cuore nel dubbio.
E triste fisso lo sguardo
mentre i secoli mi chiedono
chi sono
Nazik al-Mala'ika
« Vasco | Dreamcatcher » |
Post n°339 pubblicato il 31 Maggio 2008 da lightdew
|
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Mezzanotte.
Per tutti i rettilinei delle strade
serrate in una sintesi lunare,
incanti lunari che bisbigliano
dissolvono i piani della memoria
e tutte le sue chiare relazioni,
le sue divisioni e precisioni,
ogni lampione che oltrepasso
batte come un tamburo fatale,
e attraverso gli spazi del buio
la mezzanotte scuote la memoria come
un pazzo scuote un geranio appassito.
L’una e mezzo.
Il lampione sfrigolava,
il lampione borbottava,
il lampione diceva, “Guarda quella donna
che esita verso di te nella luce della porta
che si apre su di lei come un sogghigno.
Vedi l’orlo della sua veste
come è strappato e sporco di sabbia,
e vedi l’angolo del suo occhio
che si torce come uno spillo ricurvo”.
La memoria rigetta e dissecca
un ammasso di cose distorte;
un ramo curvo sopra la spiaggia
tutto consunto e polito
come se il mondo portasse in superficie
il segreto del suo scheletro,
rigido e bianco.
Una molla rotta nel cortile di una fabbrica,
ruggine che s’afferra alla forma che la potenza ha lasciato
dura e arricciata e pronta a spezzarsi.
Le due e mezzo.
Il lampione disse,
“Osserva il gatto che si stira nello scolo,
che cava la lingua
e divora un boccone di burro rancido”.
Così la mano del bambino, automatica,
scivolò fuori e mise in tasca un giocattolo che correva
lungo il molo.
Non potei veder nulla oltre l’occhio del bambino.
Ho visto occhi nella strada
che tentavano di spiare attraverso le imposte illuminate,
e un pomeriggio un granchio in uno stagno,
un vecchio granchio pieno di parassiti sulla schiena,
che s’aggrappava alla punta dello stecco che gli tendevo.
Le tre e mezzo.
Il lampione sfrigolava,
il lampione borbottava nel buio.
Il lampione ronzava:
“Guarda la luna,
la lune ne regarde aucune rancune,
strizza il suo occhio languido,
sorride negli angoli.
Liscia la chioma dell’erba.
La luna ha perduto la memoria.
Un vaiolo slavato le screpola la faccia,
attorce con la mano una rosa di carta,
che profuma di polvere e d’eau de Cologne,
è sola
con tutti gli antichi profumi notturni
che le incrociano e incrociano dentro il cervello”.
Viene reminiscenza
di aridi gerani senza sole
e polvere nelle crepe,
profumi di castagne nelle strade,
e odori di donna nelle stanze chiuse,
e di sigarette nei corridoi
e di cocktail nei bar.
Il lampione disse,
“Le quattro,
ecco il numero sulla porta.
Memoria!
Hai la chiave,
la piccola lampada getta un cerchio di luce sulla scala.
Sali.
Il letto è pronto; lo spazzolino da denti è appeso al muro,
posa le scarpe davanti alla porta, dormi, preparati alla
vita”.
L’ultima trafittura del coltello.