A Room of One's Own

ROM


Quando la domenica vado al cimitero con mia mamma é sempre lì, in piedi vicino al cancello d’ingresso. Non è sempre la stessa, si alternano una un po’ più vecchia, un’altra apparentemente più giovane di qualche anno, una ragazza graziosa a suo modo,  ma con uno sguardo sempre triste, a differenza della prima che invece il sorriso non lo fa mai mancare, facendo brillare la capsula d’oro che le ricopre uno dei denti.. Spesso ci sono anche dei bambini con loro, la più giovane un bambino deve averlo avuto anche di recente, la sua figura ha mostrato chiaramente il procedere della gravidanza, poi per qualche settimana non si è vista, e al ritorno, era di nuovo senza pancione, ma sempre con lo stesso sguardo triste. Ferme in piedi a lato dell’ingresso, salutano chi entra e chi esce,  solo un saluto, ma senza chiedere nulla, dopo tanti anni quello che aspettano si sa, non c’è più bisogno di chiedere. Se allunghi la mano con una moneta, porgono il piattino per riceverla e ringraziano, a volte invece il piattino è appoggiato sui gradini , con i pochi spiccioli raccolti.  Solo una volta la più vecchia mi ha fermato, all’epoca usavo portare delle gonne ampie e lunghe, molto zingaresche. Ne avevo diverse, le aveva notate, mi chiese se ne avessi di smesse, da  regalarle. Ma lo chiese con garbo, senza insistenza, scusandosi di essere forse importuna.  Mi ha fatto pensare a loro il post di Rosalux. Mi rendo conto che le ‘mie’ zingare non sono esattamente lo standard. Ha ragione Pelino, nei commenti al post di Rosalux,  i nomadi fanno paura alla stragrande maggioranza degli italiani, e non è solo un problema italiano. Leggevo un articolo su una rivista qualche tempo fa, che anche nel loro paese d’origine, in Romania, sono considerati cittadini di serie B, e in Europa in nessuna nazione godono di simpatia e protezione, non sono considerati minoranza linguistica, perché non hanno una lingua scritta,  e vivono per lo più ammassati in campi che le popolazioni residenti tollerano molto malvolentieri, perché dove ci sono loro si ha la precisa percezione che aumentino i furti e la criminalità. Pelino ha citato l’operato di don Colmegna a Milano. Ho letto che è stato tra i promotori di quello che è chiamato ‘patto di legalità e socialità’  tra comune di Milano e comunità Rom: chi ha aderito si è impegnato a mandare i bambini a scuola, avere la residenza nel comune, non avere carichi giudiziari pendenti, non essere dedito all’accattonaggio. Chi non ha aderito, ha dovuto lasciare il campo di Via Triboniano, che il comune ha ripulito e reso meno invivibile, dotandolo di container e roulotte in luogo delle tende e dei rifugi di fortuna che lo ingombravano in precedenza. Ma chi è stato allontanato, che fine ha fatto?  Lungo i navigli, oppure a occupare case abbandonate prive di luce e acqua, o sotto i ponti, come quella famiglia  di cui i giornali hanno parlato in questi giorni. Ricordo che mio papà mi raccontava che quando era bambino, nell’aia della casa di mio nonno gli zingari di passaggio fermavano i loro carri, finché stavano in paese. Si mantenevano facendo piccoli lavori, calderai, stagnini. Ma erano altri tempi,  ospiti e ospitanti  all’epoca erano tutti povera gente.