Creato da loredanafina1964 il 10/10/2011

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scrivere scrivere scrivere!

 

 

Dal libro: "la Rabbia e l'Orgoglio" di Oriana Fallaci Rizzoli ed. - Le pagine più interessanti - pag. 46

Post n°197 pubblicato il 14 Marzo 2015 da loredanafina1964

Se potessi intervistare Osama Bin Laden, gli chiederei: "Sor Bin Laden, quanti soldi Le vengono non da suo padre e dal Suo patrimonio personale, bensì dai Suoi compaesani, inclusi quelli della famiglia reale? ". Ma forse, più che porgli domande, dovrei informarlo che New York non l'ha messa in ginocchio.  E per informarlo che non l'ha messa in ginocchio dorvrei raccontargli quel che ha detto Bobby. Un bambino newyorkese (otto anni) che un telecronista ha intervistato oggi per caso. Ecco qua. Parola per parola.

"My mom always used to say: "Bobby, if you get lost on the way home, have no fear. Look at the Towers and remember that we live ten blocks away on the Hudson River". Well, now the Towers are gone. Evil people wiped them out with those who were inside. So, for a weeck I asked myself: Bobby, how do you get home if you get lost now? Yes I thought a lot about this, but then I sayd to myself: Bobby, in this world there are good people too. If you get lost now, some good person will help you instead of the Towers. The important thing is to have no fear". Traduco: "La mia mamma diceva sempre: "Bobby, se ti perdi quando torni a casa non avere paura. Guarda le Torri e rammenta che noi viviamo a dieci blocchi lungo la Hudson River". Bè. ora le Torri non ci sono più. Gente cattiva le ha spazzate via con chi ci stava dentro. Così per una settimana mi sono chiesto: Bobby, se ti perdi ora, come fai a tornare a casa? Ci ho pensato parecchio, sì. Ma poi mi son detto: Bobby, a questo mondo c'è anche gente buona. Se ti perdi ora, qualche persona buona ti aiuterà al posto delle Torri. L'importante è non avere paura". Ma su questa faccenda ho da aggiungere qualcosa. 

Quando ci siamo incontrati t'ho visto quasi stupefatto dall'eroica efficienza e dall'ammirevole unità con cui gli americani hanno affrontato quest'Apocalisse. Eh, sì. Nonostante i difetti che le vengono continuamente rinfacciati, che io stessa le rinfaccio, (ma quelli dell'Europa e in particolare dell'Italia sono ancora più gravi), l'America è un paese che ha grosse cose da insegnarci. E a porposito dell'eroica efficienza lasciami cantare una peana per il sindaco di New York. Quel Rudolph Giuliani che noi italiani dovremmo ringraziare in ginocchio perchè ha un cognome italiano, è un oriundo italiano, e ci fa fare bella figura all'estero cioè dinanzi al mondo intero. Sì, è un grande anzi grandissimo sindaco, Rudolph Giuliani. Te lo dice una che non è mai contenta di nulla e di nessuno incominciando da sè stessa. Un sindaco degno d'un altro sindaco col cognome italiano, Fiorello La Guardia, e molti dei nostri sindaci dovrebbero andare a scuola da lui. Presentarsi a lui col capo chino, anzi con la cenere sul capo, e chiedergli: "Signor Giuliani, per cortesia ci dice come si fa?". Lui non delega  i suoi doveri al prossimo, no. Non perde tempo nelle bischerate e nelle avidità. Non si divide tra l'incarico di sindaco e quello di ministro o deputato. Essendo corso subito e subito entrato nel secondo grattacielo, ha rischiato di trasformarsi i cenere con gli altri. S'è salvato per un pelo e per caso. E nel giro di quattro giorni ha rimesso in piedi New York. Una città che ha nove milioni e mezzo di abitanti, bada bene, e quasi due nella sola Manhattan. Come abbia fatto, non lo so. E' malato come me, pover'uomo. Il cancro che torna e ritorna ha beccato anche lui. E, come me, fa finta d'esser sano. Lavora lo stesso. Ma io lavoro a tavolino, perbacco, stando seduta! Lui invece.....

Sembrava un generale che partecipa di persona alla battaglia, un soldato che si lancia all'attacco con la baionetta. "Forza, gente, forzaaaaa! Tiriamoci su le maniche, sveltiiiii!". E ieri ci ha detto: "The first of the Human Rights is Freedom from Fear. Il primo dei diritti umani è la Libertà dalla Paura. Non abbiate paura". Ma può comportarsi così perchè quelli intorno a lui sono come lui. Tipi senza boria, senza pigrizia e con le palle. Uno è l'unico pompiere sopravvissuto al crollo della seconda Torre anzi estratto vivo dalle macerie.

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Dal libro: "la Rabbia e l'Orgoglio" di Oriana Fallaci Rizzoli ed. - Le pagine più interessanti - pag. 40

Post n°196 pubblicato il 12 Marzo 2015 da loredanafina1964

Che cosa penso dell'invulnerabilità che tanti attribuivano all'America, che cosa sento per i kamikaze che ora ci affliggono? Per i kamikaze, nessun rispetto. Nessuna pietà. No, neanche pietà. Io che in ogni caso finisco sempre col cedere alla pietà. A me i kamikaze cioè i tipi che si suicidano per ammazzare gli altri sono sempre stati antipatici, incominciando da quelli giapponesi della Seconda Guerra Mondiale. Esibizionisti che invece di cercarl la gloria attraverso il cinema o la politica o lo sport la cercano nella morte propria ed altrui. Una morte che invece del premio Oscar o della poltrona ministeriale o dello scudetto gli procurerà (credono) ammirazione. Ho sotto gli occhi la fotografia dei due kamikaze di cui parlo nel mio Insciallah, il romanzo che incomincia con la distruzione della base americana e della base francese (circa quattrocento morti) a Beirut. Se l'erano fatta scattare la vigilia della strage. Prima di farsela scattare erano stati dal barbiere, e guarda che bel taglio di capelli. Che bei baffi impomatati, che bella barbetta leccata, che belle basette civettuole.... Quanto a quelli che si sono buttati sulle due Torri e sul Pentagono, li trovo particolarmente odiosi. S'è scoperto infatti che il loro capo, Muhammed Attah, ha lasciato due testamenti. Uno che dice: " Ai miei funerali non voglio esseri impuri, ossia animali, e donne". Un altro che dice: "Neanche intorno alla mia tomba voglio esseri impuri. In particolare i più impuri: le donne incinte". E mi consola tanto pensare che non avrà mai nè funerali nè tombe, che neanche di lui  è rimasto un capello. Eh! chissà come friggerebbe il signor Arafat ad ascoltarmi. Sai, il signor Arafat non mi ha mai perdonato le roventi differenze di opinione che avemmo durante l'incontro di Amman, ed io non gli ho mai perdonato nulla incluso il fatto che un giornalista italiano imprudentemente presentandosi a lui come mio amico sia stato accolto con una rivoltella puntata contro il cuore. Ergo tra noi due non corre buon sangue, e non ci parliamo più. Però se lo incontrassi di nuovo, o meglio se gli concedessi udienza, gli e lo direi sul muso chi sono i martiri e gli eroi. Gli direi: lo sa chi sono i martiri, signor Arafat? Sono i passeggeri dei quattro aerei dirottati e trasformati in bombe umane e fra di loro la bambina di quattro anni che si è disintegrata dentro la seconda Torre. Sono gli impiegati che lavoravano nelle due Torri e al Pentagono. Sono i quattrocentodiciannove tra pompieri e poliziotti, trecentoquarantatre pompieri e settantasei poliziotti, morti per tentar di salvarli. (La metà o quasi, col cognome italiano cioè oriundi italiani. Tra questi, un padre col figlio: Joseph Angelini semior e Joseph Angelini junior). E lo sa chi sono gli eroi? Sono i passeggeri del volo che doveva buttarsi sulla Casa Bianca e che invece si è schiantato in un bosco della Pennsylvania perchè tutti a bordo si sono ribellati! Nel loro caso sì che ci vorrebbe il Paradiso, caro il mio Arafat. 

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Dal libro: "la Rabbia e l'Orgoglio" di Oriana Fallaci Rizzoli ed. - Le pagine più interessanti - pag. 37

Post n°195 pubblicato il 25 Febbraio 2015 da loredanafina1964

Mi chiedi di parlare, stavolta mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio che ho scelto, che da anni mi impongo per non mischiarmi alle cicale. E lo faccio. Perchè ho saputo che in Italia alcuni gioiscono come l'altra ser in TV gioivano i palestinesi di Gaza. "Vittoria! Vittoria!" Uomini, donne, bambini. (Ammesso che chi fa una cosa simile possa essere definito uomo, donna, bambino). Ho saputo che alcune cicale di lusso, politici o cosidetti politici, intellettuali o cosidetti intellettuali, nonchè altri individui che non meritano la qualifica di cittadini, si comportano sostanzialmente nello stesso modo. Dicono: "Bene. Agli americani gli sta bene". E sono molto, molto, molto arrabbiata. Arrabbiata d'una rabbia fredda, lucida, razionale. Una rabbia che elimina ogni distacco, ogni indulgenza, che mi ordina di rispondergli e anzitutto di sputargli addosso. Io gli sputo addosso. Arrabbiata come me, la poetessa afro-americana Maya angelou ieri ha ruggito: "Be angry. It's good to be angry. it's healthy! Siate arrabbiati. Fa bene essere arrabbiati. E' sano". E se a me faccia bene non lo so. Però so che non farà bene a loro. Intendo dire a chi ammira gli Osama Bin Laden, a chi gli esprime comprensione o simpatia o solidarietà. A rompere il silenzio accendo un detonatore che da troppo tempo ha voglia di scoppiare. Vedrai.

Mi chiedi anche di raccontare come l'ho vissuta io, quest'Apocalisse.

PAG. 38

Di fornire insomma la mia testimonianza. Incomincerò dunque da quella. Ero a casa, la mia casa è nel centro di Manhattan, e verso le 9 ho avuto la sensazione d'un pericolo che forse non mi avrebbe toccato ma che certo mi riguardava. La sensazione che si prova alla guerra, anzi in combattimento, quando con ogni poro della tua pelle senti la pallottola o il razzo che arriva, e tendi le orecchie e gridi a chi ti sta accanto: "Down! Get down! Giù! Buttati biù!" L'ho respinta. Non ero mica in Vietnam, non ero mica in una delle tante e fottutissime guerre che sin dalla seconda Guerra Mondiale hanno seviziato la mia vita! Ero a New York, perbacco, in un meraviglioso mattino di settembre. L'11 Settembre 2001. Ma la sensazione ha continuato a possedermi, inspiegabile, e allora ho fatto ciò che al mattino non faccio mai. Ho acceso la Tv. Bè, l'audio non funzionava. Lo schermo sì. E su ogni canale, qui di canali ve ne sono circa cento, vedevi una torre del World Trade Center che dagli ottantesimi piani in su bruciava come un gigantesco fiammifero. Un corto circuito? Un piccolo aereo sbadato? Oppure un atto di terrorismo mirato? Quasi paralizzata sono rimasta a fissarla e, mentre la fissavo, mentre mi ponevo quelle tre domande, sullo schermo è apparso un aereo. Bianco, grosso. Un aereo di linea. Volava bassissimo. Volando bassissimo si dirigeva verso la seconda Torre come un bombardiere che punta sull'obbiettivo, si getta sull'obbiettivo. Sicchè ho capito. Voglio dire, ho capito che si trattava d'un aereo kamikaze e che per la prima Torre era successo lo stesso. E, mentre lo capivo, l'audio è tornato. Ha trasmesso un coro di urla selvagge. Ripetute, selvagge. "God! Oh God! Oh God, God, God! Gooooooood! Dio! Oddio! Oddio! Dio! Diooooooooo!". E l'aereo bianco s'è infilato nella seconda Torre come un coltello che si infila dentro un panetto di burro.

PAG. 39

Erano le 9 e zero tre minuti, ora. E non chiedermi che cosa ho provato in quel momento e dopo. Non lo so, non lo ricordo. Ero un pezzo di ghiaccio. Anche il mio cervekki era ghiaccio. Non ricordo neppure se certe cose le ho viste sulla prima o sulla seconda Torre. La gente che per non morire bruciata viva si buttava dalle finestre degli ottantesimi o novantesimi o centesimi piani, ad esempio. Rompevano i vetri delle finestre, le scavalcavano, si buttavano giù come ci si butta da un aereo avendo addosso il paracadute. A dozzine. Sì, a dozzine. E venivano giù così lentamente. Così lentamente ..... Agitando le gambe e le braccia, nuotando nell'aria.

Sembravano nuotare nell'aria. E non arrivavano mai. Verso i trentesimi piani, però, accelleravano. Si mettevano a gesticolar disperati, suppongo pentiti, quasi gridassero help-aiuto-help. E magari lo gridavano davvero. Infine cadevano a sasso e paf! Santiddio, io credevo d'aver visto tutto alle guerre. Dalle guerre mi ritenevo vaccinata, e in sostanza lo sono. Niente mi sorprende più. Neanche quando mi arrabbio, neanche quando mi sdegno. Però alle guerre io ho sempre visto la gente che muore ammazzata. Non l'ho mai vista la gente che muore ammazzandosi, buttandosi senza paracadute dalle finestre d'un ottantesimo o novantesimo o centesimo piano. Hanno continuato a buttarsi finchè, una verso le dieci, una verso le dieci e mezzo, le Torri sono crollate e.... Sai, con la gente che muore ammazzata, alle guerre io ho sempre visto roba che scoppia. Che crolla perchè scoppia, perchè esplode a ventaglio. Le due Torri, invece, non sono crollate per questo. La prima è crollata perchè è implosa, ha inghiottito sè stessa. La seconda perchè s'è fusa, s'è sciolta proprio come se fosse stata un panetto di burro. E tutto è avvenuto, o m'è parso, in un silenzio di tomba. Possibile? C'era davvero, quel silenzio, o era dentro di me?

Forse era dentro di me. Chiusa dentro quel silenzio ho infatti ascoltato la notizia del terzo aereo buttatosi sul Pentagono, e quella del quarto caduto sopra un bosco della Pennsylvania. Chiusa dentro quel silenzio mi son messa a calcolare il numero dei morti e mi son sentita mancare il respiro.  Perchè nella battaglia più sanguinosa alla quale abbia assistito in Vietnam, una delle battaglie avvenute a Dak To, di morti ce ne furono quattrocento. Nella strage di Mexico City, quella dove anch'io mi beccai un bel po di pallottole, almeno ottocento. E quando credendomi morta con loro mi scaraventarono nell'obitorio, mi lasciarono lì tra i cadaveri, quelli che presto mi ritrovai addosso mi sembrarono ancora di più. Nellr Torri lavoravano ben cinquantamila persone, capisci, e molte non hanno fatto in tempo ad evacuare. Una prima stima pala di settemila missing. 

Però v'è una differenza tra la parola missing cioè disperso, e la parola dead cioè morto. 

In Vietnam si distingueva sempre tra i missingi-in-action cioè i dispersi e i killed-in-action cioè i morti....

Mah! Io sono convinta che il vero numero dei morti non lo sapremo mai. Le due voragini che hanno assorbito le migliaia e migliaia di creature sono troppo profonde, troppo tappate da detriti, e al massimo gli operai dissotterrano pezzettini di membra sparse.  Un naso qui, un dito là. Oppure una specie di melma che sembra caffè macinato e che invece è materia organica. Il residuo dei corpi che in un lampo si disintegrarono, si incenerirono. Ieri il sindaco Giuliani ha mandato altri diecimila sacchi per metterci i cadaveri. Ma sono rimasti inutilizzati.

 

 
 
 

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Post n°194 pubblicato il 22 Febbraio 2015 da loredanafina1964

Dulcis in fundo, io campo sui miei libri. Sui miei scritti. Campo sui miei Diritti d'Autore e ne vado fiera. Ai miei Diritti d'Autore ci tengo anche se la percentuale che un autore riceve su ogni copia venduta è una percentuale davvero modesta anzi irrisoria.

Una cifra che specialmente sui paperback (sulle traduzioni ancora peggio) non basta a compare mezza matita anzi un terzo di matita, da un foglio di Allah che vende le matite lungo i marciapiedi e che non ha mai sentito parlare di "Le Mille e una Notte". I miei Diritti d'Autore li voglio. Li ricevo, e del resto senza quelli, le matite lungo i marciapiedi dovrei venderle io. Ma non scrivo per soldi. Non ho mai scritto per soldi. Mai! Neanche quando ero giovanissima e avevo acuto bisogno di denaro per aiutare la mia famiglia a tirare avanti nonchè per mantenermi all'università, facoltà di Medicina, che a quel tempo costava parecchio. A diciassette anni fui assunta, come cronista, in un quotidiano di Firenze. E a diciannove o giù di lì fui licenziata in tronco per aver respinto il principio dell'orrenda parola "pennivendolo". Eh, si. Mi avevano ingiunto di scrivere un pezzo bugiardo su un comizio d'un famoso leader nei riguardi del quale, bada bene, nutrivo profonda antipatia anzi avversione. (Togliatti). Prezzo che, bada bene, non dovevo firmare. Scandalizzata dissi che le bugie io non le scrivevo, e il direttore (un democristiano grasso e borioso) rispose che i giornalisti erano pennivendoli tenuti a scrivere le cose per cui venivan pagati. "Non si sputa nel piatto in cui si mangia". Replicai che in quel piatto poteva mangiarci lui, che prima di diventare una pennivendola sarei morta di fame, e subito mi licenziò. La laurea in Medicina non la presi anche per questo. Ossia perchè mi trovai senza lo stipendio necessario a pagare le tasse dell'università. No, nessuno è mai riuscito a farmi scrivere una riga per soldi. Tutto ciò che ho scritto nella mia vita non ha mai avuto niente a che fare con i soldi. Mi sono sempre resa conto che a scrivere si influenzano i pensieri e le azioni di chi legge più di quanto si influenzano con le bombe o con le baionette, e la responsabilità che deriva da tale consapevolezza non può essere esercitata pensando ai soldi o in cambio di soldi. La straziante fatica che in quelle settimane distrusse il mio corpo malconcio non me la imposi certo in cambio di soldi. Tantomeno misi il mio bambino cioè il mio impegnativo romanzo a dormire per guadagnare più del poco che guadagno coi miei Diritti d'Autore e qui viene il bello.

Viene perchè, quando il direttore infiammato piombò a New York e mi chiese di rompere il silenzio già rotto, non parlò di soldi. Ed io gli e ne fui grata. Giudicai addirittura elegante che egli non toccasse un simile tasto a proposito d'un lavoro che oltre a prender l'avvio da migliaia di creature incenerite si proponeva (da parte mia) di sturare le orecchie dei sordi, aprire gli occhi dei ciechi eccetera. Qualche giorno dopo la pubblicazione, però, mi fu detto a bruciapelo che il compenso per la straziante fatica era pronto. Un compenso molto-molto-molto-lauto. Così lauto (la cifra non la conosco e non la voglio conoscere) che sarebbe stato superfluo rimborsarmi le forti spese sostenute con le telefonate intercontinentali. Bè: sebbene comprendessi che secondo le leggi dell'economia pagarmi era giusto, (non a caso gli articoli scritti dai miei detrattori per quel giornale sono stati regolarmente e profumatamente pagati), il molto-molto-molto-lauto compenso io lo rifiutai. Tout-court. Meglio: prima di rifiutarlo provai lo stesso imbarazzo e lo stesso stupore del giorno in cui,quattordicenne, appresi che l'Esercito Italiano intendeva pagarmi il congedo di soldato semplice perchè avevo combattuto i nazi-fascisti nel Corpo Volontari della Libertà. (L'episodio di cui parlo nel piccolo libro a proposito dei soldi finalmente accettati per comprare le scarpe che nè io nè le mie sorelline avevamo). Bè... So che il direttore pentito c'è rimasto di sale come la moglie di Lot. Ma sia a lui che a chi legge l'eretica dice: ora le scarpe ce l'ho. E, se non le avessi, preferirei camminare scalza piuttosto che trovarmi in tasca i soldi di quell'articolo. Anche ad accettar mezza lira, mi sarei insudiciata l'anima.

 

New York, novembre 2001                                      Oriana Fallaci

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Post n°193 pubblicato il 22 Febbraio 2015 da loredanafina1964

Pensi che nel 1861, quando proclamata l'Unità d'Italia ottocento garibaldini corsero in America per partecipare alla Guerra Civile Americana, perfino loro si divisero in due. Perchè non tutti scelsero di combattere a fianco dei nordisti ossia nelle unità di cui ho parlato a proposito del mio esilio: no. Molti scelsero di combattere a fianco dei nordisti ossia nelle unità di cui ho parlato a proposito del mio esilio: no. Molti scelsero di conbattere a fianco dei sudisti e anzichè a New York si riunirono a New Orleans. Anzichè nelle Garibaldi Guards cioè nel Trentanovesimo Reggimento Fanteria passato in rassegna da Lincoln, si arruolarono nelle Garibaldi Guards dell'Italian Battalion- Louisiana Militia che nel 1862 divenne il Sesto Reggimento Fanteria dell'European Brigade. Anch'essi, nota bene, con una bandiera tricolore appartenuta a Garibaldi e fregiata del motto "Vincere o Morire". Anch'essi, nota bene, per distinguersi con grande eroismo nelle battaglie di First Bull Run, Spotsylvania, Wilderness, Cold Harbor, Strawberry Plain, Cross Keys, North Anna, Bristoe Station, Po River, Mine Run, eccetera, su su fino ad Appomattox. E sai che cosa successe nel 1863 cioè nella tremenda battaglia di Gettysburg dove tra nordisti e sudisti morirono in cinquantaquattromila? Successe che alle 3,30 pomeridiane del 2 luglio le trecentosessantacinque Garibaldi Guards del Trentanovesimo Reggimento Fanteria agli ordini del generale nordista Hancock si trovaron di fronte alle trecentosessanta Garibaldi Guards del Sesto Reggimento Fanteria agli ordini del generale sudista Early. I primi con l'uniforme blu, i secondi con l'uniforme grigia. Entrambi, col tricolore sventolato in Italia per fare l'Unità d'Itala e fregiato del motto "Vincere o Morire"  Gli uni urlando sporco-sudista, gli altri urlando sudicio-nordista, si buttarono in un furibondo corpo a corpo per il possesso della collina Cemetery Hill e s'ammazzarono fra di  loro. Novantacinque morti tra i garibaldini del Trentanovesimo, sessanta tra i garibaldini del Sesto. E l'indomani, nella carica finale che si svolse in mezzo alla vallata, quasi il doppio. Senza aver letto l'articolo della Fallaci, caro mio, senza che io ne avessi colpa alcuna.

So anche che dalla parte di quelli il cui voto vale (a quanto pare) dieci volte di più, insomma dalla parte di chi si espresse contro di me, un menagramo scrisse o disse: " La Fallaci recita la parte della coraggiosa perchè ha un piede nella tomba". Eh no, caro mio, no. Io non recito la parte della coraggiosa. Io sono coraggiosa. Lo sono sempre stata. E sempre pagando un altissimo prezzo incluso il prezzo delle minacce fisiche o morali, delle altrui gelosie, delle altrui carognate. Mi rilegga e vedrà. Quanto al piede nella tomba, corna e accidenti a Lei. Non sguazzo nella salute, è vero, ma i malatucci del mio tipo finiscono spesso col sotterrare gli altri. E poi so che dopo la pubblicazione dell'articolo l'Italia brutta, l'Italia meschina, l'Itali che ha sempressa venduto sè stessa allo straniero, l'Italia a causa della quale vivo in esilio, inscenò un gran putiferio a favore dei figli di Allah. Sicchè il direttore infiammato diventò un direttore impaurito, corse ai ripari ospitando detrattori della fatica che egli stesso aveva incoraggiato, e quella che poteva essere una buona occasione per difendere la nostra cultura divenne una squallida vanità. (Ci sono-anch'io, ci sono anch'io). Come ombre d'un passato che in Italia non muore mai coloro che definisco Cicale o Cicale di Lusso accesero un bel fuoco per tentar di bruciare l'eretica, e giù berci. "Al rogo, al rogo! Allah akbar. Allah akbar!". Giù offese, accuse, condanne, maratone scrittorie che almeno nella lunghezza cercavano di imitare la mia. O così m'è stato riferito da coloro che, poverini, si son presi il disturbo di leggerle.

Io, devo confessarlo, non le ho lette. Nè le leggerò. Numero uno, perchè me le aspettavo. Aspettandomele sapevo su che cosa i ci-sono-anch'io avrebbero sproloquiato, e non avvertivo alcuna curiosità. Numero due, perchè a chiusura dell'articolo avevo avvertito il direttore infiammato che non avrei partecipato a risse o polemiche vane. Numero tre, perchè le Cicale sono invariabilmente persone senza idee e senza qualità. Frivole sanguisughe che per esibirsi s'attaccano all'ombra di chi sta al sole, e quando finiscono sui giornali sono mortalmente noiose. (Il fratello maggiore di mio padre era Bruno Fallaci. Un grande giornalista. Detestava i giornalisti, al tempo in cui lavoravo per i giornali, mi rimproverava sempre di fare il giornalista non lo scrittore, e mi perdonava solo quando facevo il corrispondente di guerra. Ma era un gran giornalista. Era pure un gran direttore, un vero maestro, e nell'elencare le regole del giornalismo tuonava: "Anzitutto, non annoiare chi legge!". Loro, invece annoiano). Infine perchè io conduco una vita molto severa e intellettualmente ricca. Nel mio tipo di vita non c'è posto per i messaggeri di pochezza o di frivolezza, e per tenermene lontana seguo il consiglio del mio celebre concittadino. il superesiliato Dante Alighieri. "Non ti curar di lor ma guarda e passa". Anzi vado oltre: passando non li guardo nemmeno.

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