Un blog creato da myfriend.mi il 24/03/2014

Lo Stagista

Carte da decifrare

 
 
 
 
 
 

AREA PERSONALE

 
 
 
 
 
 
 

TAG

 
 
 
 
 
 
 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Luglio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30 31        
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Citazioni nei Blog Amici: 8
 
 
 
 
 
 
 

CONTATTA L'AUTORE

Nickname: myfriend.mi
Se copi, violi le regole della Community Sesso: M
Età: 59
Prov: MI
 
 
 
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 

Frammenti: Confluence

Post n°52 pubblicato il 07 Maggio 2014 da myfriend.mi
 

Al tempio c'è una poesia intitolata "La mancanza", incisa nella pietra.
E' fatta di soli tre versi, ma il poeta li ha cancellati.
Perchè non si può leggere la mancanza, solo avvertirla.

I versi erano questi:

Il corpo è il tempio dell'anima
Vorrei toccare il tuo corpo
Per arrivare a sfiorarti l'anima

 
 
 

Frammenti: Cartelli stradali

Post n°51 pubblicato il 07 Maggio 2014 da myfriend.mi
 

 

Qui siamo nel cuore del mediterraneo.

C'è chi è attratto dalla conoscenza.
C'è chi è attratto dalla sostanza.
Ma io mi persi nei suoi occhi.
E il risultato fu che mi persi.
Mi persi nel cuore del mediterraneo.

E il guaio è che, in mezzo al mare, non c'è neppure un cartello stradale per potersi orientare e ritrovare, così, la strada di casa.

 
 
 

Viaggi

Post n°50 pubblicato il 06 Maggio 2014 da myfriend.mi
 

 

Mai dimenticare, o non considerare, che ciascuno sceglie sempre ciò che ritiene sia il meglio per sè. Questo è insindacabile e incontestabile. E' assurdo pensare, o immaginare, che le persone decidano di fare ciò che noi vogliamo che facciano. O che speriamo che facciano.
Ovviamente non funziona così. E non funzionerà mai così.

Quello che, però, si può pretendere, quando ci si avventura in una impresa, è la chiarezza di intenti. Se ci viene chiesto di partecipare a una spedizione sull'Everest, non è corretto partecipare se non si è preparati e se, in realtà, si vuol solo andare a raccogliere margherite in alta quota. Anche perchè, quando si arriva al dunque, gli altri membri della spedizione contano sul tuo appoggio. E non è bello dire, in quel momento critico: "Ma stai scherzando? Io mica sono venuto qui per andare fin lassù, sono venuto qui solo per raccogliere margherite."

Perchè uno potrebbe, giustamente, alterarsi e rispondere: "Pezzo di merda! Perchè non lo hai detto subito?"

Vale anche il vice-versa. Non è bello sentirsi chiedere di partecipare a una scampagnata in alta quota per raccogliere margherite, e poi ritrovarsi in una spedizione per l'Everest.

Io, personalmente, voglio vicino a me persone trasparenti, che dicono le cose come stanno. Persone motivate, preparate, che sanno quello che stanno facendo e per le quali non esiste alcuna distanza tra quello che vogliono realmente fare (le loro vere intenzioni) e quello che stanno facendo.

La vita è fatta anche di momenti duri. E se pensi che sia tutta e solo una bella scampagnata è meglio che rimani a casa. Io, con me, non ti ci voglio.

Trovarsi da soli in barca mentre infuria la tempesta, con chi è impreparato, incompetente o che, peggio ancora, si è spacciato per un grande marinaio e poi non lo è, non è piacevole. Trovarsi da soli in barca mentre infuria la tempesta con chi si squaglia alla prima difficoltà perchè, in realtà, è venuto solo per prendere la tintarella, non è piacevole.

Come non è piacevole trovarsi da soli in barca mentre infuria la tempesta con qualcuno che si diverte a sfidare la morte ed il destino. Con un incosciente che adora andare sempre e comunque oltre le righe, che adora giocare con la vita propria e con quella altrui. Se sei così pazzo da giocare con la vita tua e quella degli altri, io con te non ci vengo. Rimango a terra.

Certe cose non sono un gioco. E, credimi, non mi diverte affatto vedere la gente soffrire o morire. Per cui...solo gente motivata, preparata e consapevole. Gente trasparente che non si perde in chiacchiere inutili. Gente per cui il "no" significa no. E il "si" significa si.

 
 
 

La Peste Rossa

Post n°49 pubblicato il 06 Maggio 2014 da myfriend.mi
 

Dal blog di Beppe Grillo:

 

Nel 1300 in Europa arrivò la peste nera. Fu portata da delle navi genovesi dalla Crimea alla Sicilia e da lì dilagò in tutta Europa. Morì tra un terzo e la metà della popolazione europea e l'economia fu completamente distrutta. Vasti territori coltivati furono abbandonati, i raccolti rovinati e alcune grandi città spopolate. Topi e pulci furono i portatori dell'epidemia. I rimedi messi in campo furono solo dei palliativi, un po' come gli 80 euro di Renzie (da lui definiti con spregio e sarcasmo "l'antipasto"): preghiera, penitenza, quarantena dei malati, sfollamento delle persone sane e ricerca di capri espiatori.

Quando è arrivata la nuova peste in Europa? E' epidemica come quella medioevale, spietata nel distruggere le economie nazionali più deboli, indifferente alla democrazia e allo Stato sociale. E' giunta tra noi, silenziosa, tra la fine dello scorso secolo e l'attuale. La sua esplosione è avvenuta con la caduta del muro di Berlino e l'avvento del Supercapitalismo e della finanza. Da quel momento il morbo non ha più avuto freni.

In Italia il ceppo iniziale della Peste nera ha avuto una sua mutazione, la cosiddetta Peste rossa. Una peste più subdola, insidiosa, che si è qualificata come cura invece che malattia. I suoi effetti sono stati il deserto della produzione, la morte dell'innovazione, il cemento come idea di futuro e il massacro dell'ambiente. La Peste rossa si indigna se viene chiamata così, in particolare i vecchi compagni che hanno bisogno di una fede, di "Credere, Obbedire e Combattere", e, più ancora di loro, i nuovi affaristi rossi venduti alle multinazionali, lupi travestiti da agnelli post comunisti, figli di massoni e non di operai.

La Peste rossa ha ormai i suoi luoghi dove si possono ammirare nuove Hiroshima nostrane. Dal MPS di Siena, alla Lucchini di Piombino, alla Sorgenia di Vado, all'Olivetti di Ivrea, alla Telecom (ex) Italia, alle nuove schiavitù di Prato, all'ILVA di Taranto, alla Tav in Val di Susa. Un elenco interminabile dove il minimo comun denominatore è la desertificazione industriale italiana o il lavoro concesso sotto ricatto. Gli untori sono immancabilmente il PD (spesso alleato con Forza Italia o con quello che ne resta) e le cooperative rosse, quest'ultime instancabili cementificatrici del territorio con i soldi pubblici, dalla Val di Susa all'Expo di Milano.

Gli untori della Peste rossa sono permalosi, chi li accusa è sempre in odore di fascismo, nazista, contro l'informazione, antidemocratico e non si accorgono che così si qualificano per quello che invece sono loro: fascisti, anzi "fascistelli" che fa più figo, per dirla alla De Benedetti.

 
 
 

L'Europa germanocentrica e il ruolo del PD

Post n°48 pubblicato il 05 Maggio 2014 da myfriend.mi
 

Gli Stati Uniti, con la FED, stampano moneta a gogò per finanziare investimenti e creare posti di lavoro e, inoltre, fanno anche politiche protezioniste e impongono dazi nei settori strategici proprio per NON fare in modo che la loro industria locale venga spazzata via dalla concorrenza cinese a basso prezzo.

I paesi sudamericani fanno protezionismo e impongono dazi per costringere le multinazionali ad aprire fabbriche in loco se vogliono vendere i loro prodotti senza che siano falcidiati dai dazi. Lo fanno per proteggere i posti di lavoro.

La Cina impone i dazi su alcuni settori industriali, costringendo le aziende europee e americane che vogliono vendere nel mercato cinese, ad aprire fabbriche in Cina. I dazi, infatti, costringono le aziende a creare fabbriche in loco per poter vendere i loro prodotti senza che questi vengano falcidiati dai dazi. In questo modo la Cina si impadronisce anche del know-how.

E noi, in Europa, abbiamo la Germania che impedisce che la BCE stampi moneta per immettere liquidità e rilanciare gli investimenti e quindi l'occupazione. Inoltre, sempre la Germania, si oppone a politiche di protezionismo e alla imposizione dei dazi perchè ha basato tutta la sua crescita sull'export con la Cina...e quindi ha paura che imponendo noi i dazi, lo facciano anche i cinesi per ritorsione e quindi il suo export crollerebbe.

Inoltre il fondo salvastati era, in realtà, un fondo salvabanche tedesche che erano indebitate col debito greco. In sostanza la Germania ci ha imposto il fondo salvastati, che Monti e il PD si sono affrettati a firmare, per strangolare gli italiani di tasse e usare i soldi delle nostre tasse per salvare le banche tedesche indebitate con la Grecia.

La Germania, in sostanza, fa quel cazzo che vuole con i soldi nostri e con i nostri destini.

E questa è l'Europa che quelli del PD - Renzi in testa - vorrebbero che noi votassimo. Un'Europa in cui la Germania sta operando fattivamente per distruggere la nostra industria e portare il mercato del lavoro alle logiche che c'erano alla fine del 1800. Secondo la Merkel e qualche ben pensante del PD, noi italiani dovremmo finire a fare tutti i camerieri e i pulisci-camere di alberghi detenuti dalle multinazionali perchè la nostra forza è il turismo. La Merkel vorrebbe tanto che noi votassimo il PD e Renzi - che è stato messo lì dalle èlite finanziare e massoniche che comandano in Europa proprio per sostenere questo progetto germanocentrico.

Tanto vale suicidarsi sparandosi un colpo di pistola nei coglioni. Faremmmo più bella figura.

 
 
 

Frammenti: La passione

Post n°47 pubblicato il 04 Maggio 2014 da myfriend.mi
 

La passione allo stato puro

La passione ai suoi livelli più intensi. La passione come perfezione. Come ispirazione trascendente. La passione che trascende ciò che riusciamo a vedere, ciò che riusciamo a comprendere. Ciò che riusciamo a sentire.

La passione come seduzione

La passione come gioco sottile e sinuoso. La passione come fuoco, come esplosione di energia. Come forza inarrestabile. La passione come erotismo. Impossibile da imbrigliare. Che esplode incontrollabile e travolgente.

La passione come libertà

Inseguirsi e trovarsi. Allontanarsi per poi ritrovarsi di nuovo.
La passione come angoscia. La passione come tenerezza. Leggera come aria e libera. Libera di volare.

 
 
 

Frammenti: La ragazza con l'orecchino di perla

Post n°46 pubblicato il 03 Maggio 2014 da myfriend.mi
 

Esiste un grande freddo che ci avvolge.
Ma, nel contempo, possediamo adeguate risorse per neutralizzare il nostro deserto.
Queste risorse sono la sapienza che ci permetterà di evitare la disperazione.
E di godere degli istanti di pace che sapremo ritagliarci.

E' la ricerca della bellezza che ci salva dallo squallore.
E rende la vita degna di essere vissuta.
E la bellezza è la verità delle sensazioni.
Rivelate e catturate in una immagine.

Di che colore sono le nuvole?

Bianche, grige o rosa quando tramonta il sole. E' la luce che dà colore alle cose e le rende sensuali. L'oscurità è assenza di luce. E di colori. I colori esistono perchè c'è luce. Senza luce, niente colori.

Il buio ha senso solo quando esalta la luce. Il buio come dimensione fine a se stessa è assenza. Assenza di tutto. Questo vale per me, che amo la luce e il buio al suo servizio.

 
 
 

Il disegno criminale degli Illuminati (3)

Post n°45 pubblicato il 02 Maggio 2014 da myfriend.mi
 

8 marzo, 25 aprile, 1 maggio: davvero tutte queste celebrazioni fanno parte del passato e sono, ormai, anacronistiche? Non siamo, forse, davanti a dei nuovi nazifascisti? A dei nuovi Lager o Gulag? Davvero questi bastardi vorrebbero farci credere che la soluzione alla crisi sta nello loro riforme?


 

Incendio alla Ali Enterprise di Karachi – Pakistan

L’ 11 settembre 2012 un incendio terrificante ha distrutto la fabbrica tessile «Ali Enterprises» di Karachi, nella regione pakistana del Sindh. La conta dei morti iniziava a poche ore dall’incendio che, nella città di Lahore, aveva distrutto una fabbrica illegale di scarpe, uccidendo almeno 25 persone. Ma è a Karachi che si è consumato il più grave disastro industriale del Pakistan moderno: i dati riportati dai media parlano di 289 morti, tra cui 23 donne. Secondo Zehra Akbar Khan, segretaria della Home Based Women Workers Federation, cui dobbiamo le informazioni che oggi pubblichiamo, i morti sono quasi 250. «Molti mancano ancora all’appello, e sono più di 70 i corpi che saranno riconsegnati alle loro famiglie solo dopo che sarà stato effettuato un test del DNA. La maggior parte dei lavoratori non era registrata regolarmente in fabbrica, e molti erano assunti tramite agenzie esterne, attraverso il sistema dei subappalti. Siamo stati informati che c’erano più di 600 operai nella fabbrica al momento dell’incendio. Pensiamo anche che il numero delle donne sia superiore a quello riportato dai media. Sono soprattutto le donne, infatti, a essere impiegate nel settore tessile, e lo stesso avveniva nella fabbrica dove è scoppiato l’incendio. Al lavoro c’erano anche dei minori. Sono stati recuperati i cadaveri di due bambini, di 15 e 16 anni».

L’incertezza delle stime non lascia dubbi sul fatto che si sia trattato di una strage di operai e operaie, ed è indicativa del fatto che nella fabbrica di Karachi lavoravano uomini, donne e bambini in condizioni informali, senza una lettera o un contratto di assunzione, reclutati prevalentemente attraverso il sistema del caporalato.

Karachi è una delle più grandi città del Pakistan, il cuore commerciale del paese, e secondo la Camera del Commercio e dell’Industria locale conta 10.000 fabbriche e sette aree industriali, cui bisogna aggiungere 50.000 piccole imprese informali costruite nelle zone residenziali. La «Ali Enterprise» ha un fatturato stimato tra i 10 e i 50 milioni di dollari l’anno, a fronte di un salario tra i 50 e i 100 dollari pagato alla fine del mese ai suoi operai, provenienti per la maggior parte dalle aree rurali del Sindh e del Punjab. L’azienda realizza semilavorati e prodotti finiti per il brand «OKAY Jeans», con sede in Germania. È uno degli impianti che compongono l’imponente industria tessile pakistana, da cui nel 2011 ha avuto origine il 7,4% del prodotto interno lordo, nella quale ha trovato impiego il 38% dei lavoratori manifatturieri, e che ha fornito il 55,6% delle merci destinate all’esportazione.

Lo sfruttamento intensivo del lavoro operaio è il motivo politico che a Karachi, come in molte altre fabbriche del mondo, fa considerare la morte degli operai come un rischio che si può correre. Nelle fabbriche pakistane, cinesi, messicane o italiane l’espressione «società del rischio» non ha a che fare con il fatalismo, ma assume un significato costante, letale e globale. Qui il neoliberismo non è un’eccezione del sistema democratico, non ha a che fare con la crisi della rappresentanza, non è una governance distante o incomprensibile. Qui c’è un sistema sociale di sfruttamento con garanzie istituzionali evidenti e identificate.

L’11/9 del movimento operaio pakistano non è un incidente locale o confinabile, né un episodio tragico in un sistema di sviluppo tardivo. Non è nemmeno un incidente sul lavoro in una fabbrica lontana. A Karachi, come a Taranto o a Torino, la morte è trattata come l’inevitabile effetto collaterale del processo di valorizzazione del capitale. L’assenza di controlli e norme di sicurezza perseguita dagli industriali con il beneplacito dei governi non è un’eccezione resa possibile dalla corruzione diffusa, ma la scelta precisa di un sistema di sfruttamento che fa leva sulla creazione di differenziali – nei salari, negli standard di sicurezza, nell’organizzazione politica e sindacale del lavoro – per accrescere il profitto.

Publichiamo di seguito la dichiarazione di Nasir Mansoor, della segreteria della National Trade Union Federation del Pakistan (NTUF) diffuso all’indomani dell’incendio di Karachi.

È stato il giorno più buio e triste della storia del movimento operaio in Pakistan, quello in cui oltre 300 lavoratori sono bruciati vivi nel terribile incendio in una fabbrica tessile di Karachi, l’11 settembre. Non si è trattato del primo incidente di questo tipo, in quella fabbrica come in molte altre. È un fenomeno quasi quotidiano ma che passa sempre sotto silenzio, finché non si trasforma in un crimine atroce illuminato sui media da una luce sinistra. Più di 300 lavoratori hanno perso le loro vite preziose, immolate sull’altare della sfrenata passione capitalistica per il profitto.

La società, in questo modo, è criminalmente brutalizzata, e nessuno ascolta le voci e le invocazioni dei reietti della terra finché un danno incalcolabile e una miseria inimmaginabile non li colpiscono. È quanto accaduto agli operai della «Ali Enterprises», una fabbrica tessile nell’area industriale SITE di Karachi, dove già un paio di incendi erano scoppiati senza che nessuna agenzia governativa intervenisse con azioni severe.

Si è venuti a sapere che la fabbrica era stata impiantata illegalmente, senza essere registrata secondo quanto previsto dal Factories Act. È una fabbrica che produce per l’esportazione. Qui, in Pakistan, la maggioranza delle fabbriche non è registrata sotto il Factories Act, così da evitare regole e regolamenti, e negare ai lavoratori qualsiasi diritto. L’edificio della fabbrica non era stato approvato come avrebbe dovuto, secondo la Karachi Building Authority (KBA). Le misure di sicurezza sono osservate molto raramente, e questa era la situazione anche alla «Ali Enterprises», dove c’era una sola uscita di sicurezza per più di 500 lavoratori, dove tutte le finestre erano chiuse con sbarre di ferro, e dove le porte e le scale erano ingombrate dalle merci finite o semilavorate.

Come fonte di energia era utilizzato un generatore, privo di qualsiasi sicurezza. In generale, questa è la causa principale degli incendi assieme all’esplosione delle caldaie. In questo caso 300 giovani donne e uomini sono stati uccisi in un paio d’ore, e molti corpi sono ancora sepolti tra le macerie. Non c’erano sistemi antincendio, né estintori nella fabbrica. La maggioranza dei lavoratori era assunta tramite agenzie in subappalto, e praticamente nessuno aveva una lettera di assunzione, così che l’identità di molte delle vittime può essere accertata solo attraverso il test del DNA. Nessun lavoratore era registrato presso il Social Security and Employees Old Age Benefit Institute (EOBI) o il Worker Welfare Board/Fund. Ai lavoratori della fabbrica era stato negato il diritto di formare un loro sindacato, e di godere dei loro diritti alla contrattazione collettiva. I lavoratori che sono sopravvissuti all’incidente dicono che la fabbrica era assicurata, ma non gli operai, e accusano il proprietario di aver pianificato egli stesso l’incendio per ottenere il risarcimento dall’assicurazione.

La NTUF è stata la prima a reagire di fronte all’incidente, e ha organizzato una manifestazione a Karachi chiedendo l’arresto del proprietario, l’imputazione dei funzionari responsabili e le dimissioni dei ministri del lavoro, dell’industria, e del Governatore del Sindh a causa della loro grave negligenza. La NTUF ha anche chiesto una compensazione di un milione di Rupie per le famiglie dei lavoratori morti, e di 400.000 Rupie per quelli feriti, oltre che cure mediche gratuite. Ha chiesto, ancora, che si dia avvio a una rigida ispezione, con la collaborazione dei corpi rappresentativi dei lavoratori, che tutte le fabbriche siano registrate sotto il Factories Act, e che siano applicate nel loro spirito le leggi sulla sicurezza, abolendo l’orrendo sistema dei subappalti e garantendo a tutti i lavoratori una lettera di assunzione, la registrazione presso le istituzioni di previdenza sociale e il godimento degli schemi di welfare. La NTUF, infine, ha fatto appello alle organizzazioni internazionali dei lavoratori affinché facciano pressione sui marchi e le etichette internazionali per costringere le industrie locali alla stretta osservanza delle leggi sul lavoro e degli standard di sicurezza previsti dall’Organizzazione mondiale del lavoro e dalle leggi di ciascun paese.

Come informazioni importanti, è necessario aggiungere che si stima che più di 650 operai fossero nella fabbrica al momento dell’incendio; che sembra che la cantina fosse allagata, così che più di 250 persone erano state chiamate a intervenire per risolvere il problema e altrettanti corpi sono ancora intrappolati sotto terra; che più di 100 donne siano morte nell’incendio, e con loro alcuni bambini.

 
 
 
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963