Creato da luigi.frezza il 25/09/2009
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Dott. Luigi Frezza

Psicologo a indirizzo umanistico-esistenziale

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Psicologia della fruizione del fumetto. Parte I: MECCANISMI PSICOLOGICI COINVOLTI

Inauguro con questo post una serie di approfondimenti in chiave psicologica sul fumetto, un medium artistico a mio avviso troppo spesso sottovalutato, ma dalle numerose potenzialità comunicative e terapeutiche.

Le relazioni tra gli ambiti concettuali del fumetto e della psicologia sono molteplici.
Innanzitutto
lo studio psicologico del fumetto può avvenire ponendo l’accento sull’autore. In particolare, esso a mio avviso si concentra sui seguenti aspetti:

  • Psicologia dell’autore, intesa come studio delle dinamiche interne a chi crea il fumetto, scrive una trama e/o disegna le tavole. Ovvero, l’approfondimento delle emozioni, dei pensieri e delle motivazioni che portano l’autore a creare quel particolare fumetto.

  • Stile dell’autore, ovvero approfondimento delle modalità di utilizzo delle regole comunicative nella stesura del fumetto. Più nello specifico, si può parlare di modalità di svolgimento della trama, di modalità di utilizzare e manipolare le immagini, in modo da soddisfare le leggi della percezione umana, e infine di qualità ed efficacia dello stile comunicativo adottato

In secondo luogo, si può porre l’accento sul fruitore del fumetto, concentrandosi su:

  • Percezione delle informazioni sensoriali del fumetto (segni, linee, ecc.) ed elaborazione cognitiva delle stesse per costruire uno schema organico e coerente della trama rappresentata. Approfondimenti di questo tipo sono appannaggio della psicofisica (ad es. gli studi sulla percezione del movimento secondo le leggi della percezione umana) e della psicologia della percezione.

  • Indagine sulle dinamiche interne al lettore, ovvero delle reazioni cognitive ed emotive nella lettura del fumetto, unitamente all’individuazione e all’analisi dei meccanismi psicologici inconsci che si attivano nel fruitore. Questo tipo di studi è per lo più appannaggio della cosiddetta psicologia del profondo, ovvero quel ramo della psicologia che si occupa di studiare le dinamiche interne, per lo più inconsce, dell'essere umano.

È a quest’ultimo tipo di approfondimento che si rivolge il presente articolo, atto a descrivere i meccanismi psicologici coinvolti nell’esperienza di lettura di un fumetto, e da ciò cercare di delineare le motivazioni che portano un fruitore ad avvicinarsi a uno specifico fumetto piuttosto che a un altro. In altre parole, l'accento è posto sul contenuto del fumetto, e sul significato che il fruitore dà a tale contenuto.
Il fumetto, come qualsiasi altro prodotto artistico, ha la caratteristica di sollecitare processi affettivi, determinando l’emergenza e l’esplicitazione di dinamiche psicologiche spesso significative e favorendo così nel fruitore l’autoesplorazione. In che modo? Il fumetto, così come il cinema, il fotoromanzo, il cartone animato, può essere anche interpretato come metafora della realtà. “Metafora” deriva dal greco
metaphero (= io trasferisco) e indica un’operazione di passaggio, di trasferimento di un termine da un dominio concettuale, al quale propriamente si applica, ad un altro che con il primo condivide una somiglianza. La metafora è uno strumento usato per trasmettere suggestioni e permette di rendere semplici i concetti complessi perché è espressa con linguaggio analogico – ovvero un linguaggio per immagini – più antico e accessibile al nostro inconscio. Possiamo dire che il fumetto è di per sé una metafora perché un certo dominio concettuale (ad es. la figura umana) viene riprodotto attraverso un altro (il segno della matita sul foglio che noi individuiamo come rappresentante della figura umana), e in quanto narrazione metaforica è uno strumento trasformativo potente e immediato, che ha il dono di mobilitare le risorse soggettive necessarie all’evoluzione.Ma in che modo il fumetto può divenire un potente strumento di crescita personale? In quanto sollecita una serie di meccanismi inconsci, che ogni lettore mette in atto.
Il
primo è la REGRESSIONE, ovvero il ritornare a uno stadio evolutivo precedente a quello attuale. Come il bambino che si affida alla madre nella speranza di ricevere nutrimento, così noi ci affidiamo al fumetto, alla trama e al disegno, nella speranza che essi ci diano piacere e nutrimento. Durante la lettura del fumetto si verifica un’alterazione temporanea dei processi di conoscenza che ci riportano a uno stadio preverbale, in cui il linguaggio analogico ha un ruolo predominante.
Il
secondo meccanismo è l’IDENTIFICAZIONE, un meccanismo psicologico arcaico fisiologico per la costruzione dell’Io. Assume un significato rilevante in quanto tramite l’identificazione l’individuo si costruisce la propria identità: il soggetto sviluppa la propria personalità attraverso molteplici e continue identificazioni. Il processo di identificazione nel fumetto fa sì che ci appropriamo di caratteristiche, attributi e qualità di un personaggio ritenuti desiderabili e li facciamo nostri, attingendo alla nostra realtà interiore fantastica. Se consideriamo ad esempio il fumetto supereroistico, un espediente ricorrente che viene utilizzato per favorire l'identificazione è la creazione di una doppia identità del personaggio, cioè la presenza di un'identità comune accanto ad un’identità onnipotente (si pensi alla diade Superman/Clark Kent), oppure l’avvicinamento di un personaggio giovane (il cosiddetto sidekick) a uno adulto, espediente utile per favorire l'identificazione nei lettori giovani (i quali, ad esempio, entrano maggiormente in empatia con Robin piuttosto che con Batman).
Il
terzo meccanismo è la PROIEZIONE, anch’esso un meccanismo arcaico che consiste nello spostare sentimenti propri e parti di sé su altri oggetti o persone. Attraverso la proiezione noi trasferiamo le nostre parti ritenute indesiderabili e fonte di angoscia su alcuni personaggi, e parti desiderabili e che ci piacciono su altri. Il processo di proiezione è fondamentale per capire il nostro mondo interno, perché quanto più è necessario interpretare un fenomeno, tanto più esso diverrà oggetto di proiezione da parte nostra. L’assunto di base è che maggiore è l’ambiguità dello stimolo, maggiore sarà lo sforzo interpretativo e quindi l’atto proiettivo. Si pensi ad es. al test delle macchie di Rorschach, che prevede la presentazione al soggetto di 10 tavole (alcune in bianco e nero, altre colorate) rappresentanti delle macchie. Essendo tali macchie stimoli estremamente ambigui, l’interpretazione che il soggetto dà a ognuna di esse risente molto del processo di proiezione. Per lo stesso motivo, il fumetto ha maggiore possibilità di evocare una realtà interiore fantastica, preconscia e inconscia, più di quanto non lo possano fare il film fotografico o il fotoromanzo:  lo stimolo fornito dal disegno, infatti, è molto più impreciso e ambiguo di quello costituito da una fotografia e pertanto maggiormente implicante fenomeni di proiezione.
Il
quarto meccanismo è l’AMPLIFICAZIONE, ovvero l’accentuazione dei nostri vissuti emotivi in quanto i personaggi dei fumetti vivono avventure sopra le righe esagerate, fantastiche. L’amplificazione emotiva favorisce l’esplicitazione dei nostri vissuti, e quindi la possibilità di esplorarli con più chiarezza e profondità.
Il
quinto meccanismo, infine, è l’INTERIORIZZAZIONE, ovvero il “prendere dentro di sé” le caratteristiche dei personaggi del fumetto, i quali divengono modelli di comportamento, acquisendo una funzione pedagogica e contemporaneamente dettando leggi di mercato.
Ma in cosa ci identifichiamo, e cosa proiettiamo sul fumetto? Credo che a questo punto sia utile un approfondimento sul concetto di "archetipo", tema che sarà al centro del prossimo articolo sul fumetto.

 
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INSEGNAMENTO E SINDROME DA BURNOUT

Post n°3 pubblicato il 26 Settembre 2009 da luigi.frezza
 

La “sindrome da burnout”è una problematica che colpisce i lavoratori impiegati nelle cosiddette professioni di aiuto, ovvero quelle professioni che si occupano di aiutare il prossimo nella sfera sociale, psicologica ed educativa. Queste figure sono caricate da una duplice fonte di stress: il loro stress personale e quello della persona aiutata, e per questo rischiano di manifestare una condizione di malessere caratterizzata da un affaticamento fisico ed emotivo, cui si aggiunge un atteggiamento distaccato e apatico nei rapporti interpersonali e un sentimento di frustrazione per mancata realizzazione delle proprie aspettative. Tra le professioni di aiuto rientra la categoria degli insegnanti, a rischio di burnout per  numerosi fattori, legati alla specificità della professione, alle trasformazione multietniche e multiculturali, al susseguirsi continuo di riforme. Il mestiere di insegnante, in riferimento anche all'attuale scenario scolastico italiano, si caratterizza per la necessità di costituire e gestire un lavoro di equipe tra colleghi, mantenere un aggiornamento e una formazione costanti, e soprattutto creare relazioni con gli alunni (raggruppati in classi spesso numerose) e le loro famiglie.

Un intervento di sostegno psicologico è in questi casi fondamentale e utile non solo per aiutare il personale docente in burnout conclamato, ma anche (e soprattutto) per prevenire il manifestarsi del malessere. Tale intervento è indirizzato a promuovere negli insegnanti l'esplorazione dei propri vissuti riguardanti il loro lavoro e, attraverso una metodologia rigorosa orientata all'ascolto e alla confrontazione, favorisce un ridimensionamento delle loro aspettative riconducendole a un piano più attinente alla realtà, determinando così una diminuzione del livello di frustrazione e un conseguente aumento delle sensazioni di benessere e autoefficacia personale.

da "Il Salernitano" del 25/09/2009

 
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LA PRECARIETA' OCCASIONE PER RISCOPRIRE LA SOLIDARIETA'

Post n°2 pubblicato il 25 Settembre 2009 da luigi.frezza
 

Le proteste dei lavoratori che in questi ultimi giorni stanno infiammando la provincia di Salerno fanno riflettere su un argomento rilevante come la precarietà. Avvertita rispetto al lavoro, all’abitazione e talvolta anche rispetto agli affetti, la precarietà mette di fronte alla perdita di sicurezza, la quale invece rappresenta un’urgenza fondamentale per l’uomo.
Secondo Abraham Maslow, uno dei massimi esponenti della psicologia umanistico-esistenziale, ogni individuo agisce sul mondo in base a una gerarchia di bisogni e motivazioni, alla cui base vi sono i bisogni primari (fisiologici e di sicurezza), poi quelli secondari (bisogno di soddisfare il senso di appartenenza al gruppo, bisogno di stima sociale e autostima, e infine bisogno di autorealizzazione). La precarietà va a minare quindi un nostro bisogno primario, che tendiamo a manifestare in buona parte attraverso il lavoro e la ricerca di un posto stabile che ci garantisca un compenso e uno stile di vita dignitosi. Non a caso, la condizione di incertezza e instabilità professionale procura in noi l’insorgere di emozioni basilari quali la paura e la rabbia che possono portare a compiere gesti disperati, come occupare le sedi di lavoro, incatenarsi o minacciare il suicidio. Tali comportamenti possono essere intesi come tentativi di affrontare il vuoto della mancanza di lavoro, esperienza che consideriamo un lutto, una perdita dolorosa e non voluta di fronte alla quale ci sentiamo impotenti e frustrati, se non addirittura colpevoli verso noi stessi e le nostre famiglie per non essere riusciti a “sistemarci”.
Paradossalmente, però, la precarietà, proprio perché è una condizione al momento altamente diffusa, può essere anche un’occasione per riscoprire l’importante valore umano della solidarietà e della vicinanza, attraverso la condivisione empatica e il supporto emotivo che possiamo ricevere dalla nostra rete di relazioni e/o grazie all’aiuto di specialisti nel sostegno psicologico.

da "Il Salernitano" del 12/09/2009

 
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STRESS DA RIENTRO, RICONOSCERE IL SENSO DI DISAGIO E RIPRENDERE GRADUALMENTE LA ROUTINE

Post n°1 pubblicato il 25 Settembre 2009 da luigi.frezza
 

Il rientro dalle ferie e la riprese delle attività quotidiane sono difficoltosi per molti di noi. Siamo stati in vacanza, ci siamo divertiti, rilassati e magari pensavamo di essere pronti ad affrontare per un altro anno la vita di tutti i giorni, e invece al rientro dalle ferie può capitare di sentirci stanchi, affaticati, preoccupati, nervosi e svogliati.
In una parola, stressati. Niente paura: tale reazione può essere del tutto fisiologica, in quanto ogni qual volta l’organismo cerca di adattarsi plasticamente all’ambiente si genera una condizione di stress. Sotto certi aspetti possiamo affermare che la nostra vita è un continuo tentativo di adattarci al mondo esterno, cercando di trovare un equilibrio tra le nostre esigenze e le richieste ambientali. Un qualsiasi cambiamento di stato (per esempio il passaggio dalle ferie alla ripresa del lavoro, con i conseguenti ritmi e responsabilità che richiedono energie sia psicologiche che fisiche assai diverse dal periodo di vacanza) impone una rottura dello status quo e di conseguenza genera stress, finché, piano piano, ci adattiamo alla nuova situazione e ripristiniamo l’equilibrio. Gli stessi problemi psico-fisici possono comparire ad esempio anche all’inizio di una vacanza, per le medesime dinamiche di cambiamento e di adattamento sopra descritte. Allora anche lo sbalzo dalla routine quotidiana ai ritmi vacanzieri, può portare ad una sorta di perturbazione dell’equilibrio psicologico.
Come gestire questa “sindrome da rientro”? Prima di tutto questo senso di disagio, proprio perché fisiologico, non va sottovalutato, ma riconosciuto e, per quanto possibile, accettato, altrimenti si corre il rischio di accentuarlo e prolungarlo nel tempo.
Può essere quindi utile non abbandonare completamente e improvvisamente le abitudini e i ritmi riscoperti durante le ferie, e riprendere la routine gradatamente, lasciando il tempo all’organismo e alla nostra psiche di riadattarsi alla nuova condizione.

da "Il Salernitano" del 09/09/2009

 
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