Creato da: pipperaiomatto il 06/01/2006
per scriverci le basi, aggiornate da chi la vive, della filosofia e delle pratiche di vita indipendente delle persone con disabilità

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« Messaggio #124Fermento »

Il vecchio Welby ha lasciato

Post n°125 pubblicato il 21 Dicembre 2006 da pipperaiomatto
 

Aveva annunciato che avrebbe nominato un altro medico curante che non avesse avuto paura di aiutarlo a smettere di soffrire
Così è stato e la notte scorsa ha potuto lasciare il suo corpo alle speculazioni funebri sottraendolo alle speculazioni sanitarie
La questione aveva stuzzicato non poco anche le speculazioni politiche e filosofiche e non tutti quelli che si sono espressi in questi mesi sono apparsi onesti
Certo gli interrogativi suscitati non verranno sotterrati in poco tempo, soprattutto gli interrogativi che riguardano la domanda di una vita decente da parte di chi vive la disabilità e non vuole morire

Qui si puo' leggere cosa ne scrive Libero

 
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Commenti al Post:
bimbayoko
bimbayoko il 24/12/06 alle 02:38 via WEB
YOU HAVE A MERRY CHRISTMAS AND SUCCESSFUL NEW YEAR p.s.un abbraccio a te ed ai tuoi cari...
(Rispondi)
 
mariovna
mariovna il 25/12/06 alle 12:13 via WEB
Il tempo di scrivere la nostra vita Silvia Niccolai* Poiché ha offerto la propria malattia alla battaglia per la legalizzazione dell'eutanasia, Piergiorgio Welby ha sopportato i tempi propri di una protesta civile: prima l'esperimento delle procedure giudiziarie, poi, come atto finale di denuncia di una legge considerata ingiusta perché ostacola quell'azione, lo spegnimento dei macchinari. Ha accettato la spersonalizzazione che queste battaglie comportano: «ho eseguito la volontà del paziente», dice il medico, che pure era amico di Welby, e che però non mette come movente del suo gesto l'amicizia, ma qualcosa che si pretende oggettivo, normativo. Il potere, della legge, della volontà, il potere di vietare e autorizzare, è stato al centro della vicenda di Welby, insieme alla ribellione contro il disciplinamento tecnologico, al quale la malattia e la morte sono nel nostro tempo consegnate, ribellione tentata da un uomo che, per il tipo di lotta che con esso ha ingaggiato, ha reso forse quel disciplinamento più irrimediabile, più pieno, più potente, accettando che l'interesse politico per una nuova e diversa legge quasi dettasse i tempi della morte. Ma che proprio in tal modo ci ha restituito per intero la domanda su dove mettiamo la vita, la malattia e la morte, che cosa pensiamo le governi; a chi, secondo noi, esse appartengono. Oggi che Welby è morto, resta a noi la responsabilità di che cosa sapremo fare della sua domanda. Potremmo lasciarla alla politica dei partiti, dove, come lotta iterativa della battaglia per la legalizzazione dell'aborto, potrebbe concludersi con il riconoscimento di un diritto di morire che suggellerà un ulteriore allontanamento da noi della morte, e la finzione che, alla fine, si muore sempre per scelta. Potremmo invocare a favore di questa legge l'urgenza di decidere, e farlo specialmente a fronte delle indecisioni dei giudici. Essi, quando hanno esaminato la richiesta di Welby di interruzione dei trattamenti, hanno pensato probabilmente al fatto che proprio nella protezione della vita la democrazia che si è costituita dopo i campi di sterminio ha riposto la propria identità, una identità che, d'altronde, evidentemente non offre una guida certa e sufficiente quando non si sa se le cure stanno dalla parte della vita, o della morte. Perciò, le loro risposte non sono state risposte, e in questo può esser vista una mancanza di giustizia. Ma la mancanza della giustizia, in certi casi, contiene una opportunità. Essa segnala che bisogna tenere aperto il tempo affinché un senso possa formarsi tra di noi, senza il quale nessuna risposta è possibile. È questo il tempo che ci serve. L'urgenza di decidere, si dice, c'è per proteggerci dagli abusi, che in assenza di regole i medici potrebbero compiere ai danni di malati come Welby. Ma si potrebbe dire che una legge non ci proteggerà dagli abusi; che, anzi, la ritualizzazione e l'abitudine, che le regole portano con sé, ne accresce il rischio. Potremmo allora ascoltare altre versioni, altre storie, altre interpretazioni, ed esse potrebbero suggerirci che ciò che ci protegge dagli abusi è la posizione in cui riusciamo a trovarci in una situazione; e che questa posizione è fatta dei nostri rapporti con gli altri e con noi stessi, che ci sostengono e ci tengono insieme. Più versioni, più storie, più interpretazioni ci daremo il tempo di sentire, di tenere presenti e tra di noi, più potremmo iniziare a vedere, in vicende come quella di Welby, anziché il potere che giganteggia solo, più modestamente tante, diverse possibilità aperte. Se il senso comune di ciò che è in gioco in questi casi cambiasse così, anche il fantasma dei giudici che o non decidono o perseguitano chi compie un gesto di pietà, potrebbe affievolirsi, perché quel tipo di senso comune potrebbe sostenere decisioni giudiziarie capaci di equità, del tener conto delle circostanze, della ragione e della coscienza. Se ci daremo tempo, potremmo forse, invece di vivere nel terrore e nell'impotenza, renderci capaci di nutrirci l'un l'altro della convinzione che, se non si è soli, possiamo scrivere la nostra vita fino in fondo, e in tanti modi diversi. Questo dono io spero ci venga dalla domanda che Welby ci ha lasciato. * Docente di diritto costituzionale Università di Cagliari (da "il manifesto")
(Rispondi)
 
mariovna
mariovna il 13/01/07 alle 21:58 via WEB

PREGHIERA IN GENNAIO
Fabrizio de Andrè

Lascia che sia fiorito
Signore, il suo sentiero
quando a te la sua anima
e al mondo la sua pelle
dovrà riconsegnare
quando verrà al tuo cielo
là dove in pieno giorno
risplendono le stelle.

Quando attraverserà
l'ultimo vecchio ponte
ai suicidi dirà
baciandoli alla fronte
venite in Paradiso
là dove vado anch'io
perché non c'è l'inferno
nel mondo del buon Dio.

Fate che giunga a Voi
con le sue ossa stanche
seguito da migliaia
di quelle facce bianche
fate che a voi ritorni
fra i morti per oltraggio
che al cielo ed alla terra
mostrarono il coraggio.

Signori benpensanti
spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai Santi
Dio, fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo
di quelle labbra smorte
che all'odio e all'ignoranza
preferirono la morte.

Dio di misericordia
il tuo bel Paradiso
lo hai fatto soprattutto
per chi non ha sorriso
per quelli che han vissuto
con la coscienza pura
l'inferno esiste solo
per chi ne ha paura.

Meglio di lui nessuno
mai ti potrà indicare
gli errori di noi tutti
che puoi e vuoi salvare.

Ascolta la sua voce
che ormai canta nel vento
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.
(Rispondi)
 
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