Through the Wire

I nati del giorno


Basta. Non voglio sentire più niente, nessun rumore, nemmeno la pioggia o il sole fuori dalla mia finestra. Non voglio nessuno accanto a me, ma non mi lasciare qui. Basta. Ho la testa che mi scoppia nel dirlo, è un urlo così forte, che sento solo io. Sospesa nel tempo mi ingegno, mi impongo di continuare a produrre, a non lasciarmi andare a sciocchezze. Non mi piace la finta allegria, le persone che fanno “buon viso a cattivo gioco”, i ricordi, le fotografie. Basta. Non sopporto tutta questa eccessiva informazione, tutti che hanno da parlare e sparlare su tutto e su tutti, mi fanno tristezza, perché vivono solo di quello. “Di gente che ha da dire ce né tanta. La qualità non è richiesta, è il numero che conta”. Odio fingere di stare bene e sorridere per nascondere il tutto: ci sono cose che hanno bisogno di spazio, che si impossessano anche del tuo tempo senza che tu te ne accorga; ci sono attimi della tua vita in cui vorresti che accanto a te ci fosse solo silenzio, come in questo momento. E intanto inizi a contare i giorni che diventano settimane, mesi, anni. Ci vuole il conto per l’equilibrio. Eppure in questo equilibrio, la bilancia pesa da una parte, e allora ti perdi. Non riesci a trovare un senso, non riesci a vederlo, a toccarlo, a percepirlo. Non ci riesci perché non esiste. Non c’è niente di vero, di tangibile. Siamo sempre alla ricerca, e cerchiamo inutilmente, perché noi stessi non sappiamo cosa cercare, oppure l’abbiamo dimenticato, perso durante il lungo viaggio attraverso noi stessi. Come a Gennaio la nebbia scende fitta sulle strade cancellando ogni segno di abitazione e civiltà, i miei ricordi, i miei pensieri e sensazioni si dileguano a poco a poco; la vista mi viene meno, come il respiro. Sto morendo, in questa stanza, io sto morendo. Da sola. Non c’è nessuno qui. Ho sempre sentito dire e hanno sempre fatto vedere nei film, che prima di morire, davanti ai nostri occhi, ci appaiono tutti i momenti della nostra vita, le cose lasciate in sospeso, pensieri non detti, parole non scritte né lette. E invece io non le vedo. Perché? Ho tante cose ancora da concludere, tante esperienze da fare ancora. Non posso andarmene ora. Non voglio. Eppure questa è l’unica cosa che nessuno decide per noi, casi straordinari a parte. Non puoi darti la colpa, non puoi darla, puoi solo subirla, inerme. Il cuore batte sempre più lentamente, il mio cervello è convinto ancora che io stia respirando, ma non avverto più l’aria che attraversa il mio corpo. Non sento niente. Apro la bocca, ma non esce alcun suono. Non riesco a muovermi, e inizia a prendermi il panico. Non ho le forze neanche per piangere. Me ne sto andando, in silenzio; come quando cala il sipario in teatro e si conclude la commedia. Non riesco a pensare a niente. Vedo solo l’immagine di lei, mia madre, che si dispera sul mio corpo, le lacrime, il terrore. Per una vita che se ne và, un’altra è in arrivo. È così, da sempre. È la regola. Quindi, una domanda che non ho mai espresso, mi si presenta di nuovo: per me che lascio questo corpo, quanti sono nati oggi? La vita non muore. Mai.