Through the Wire

Ricordo.


Ricordo ancora la mia prima guida. Arrivasti tu con l'istruttore seduto in fianco; fiera, orgogliosa e solare come eri sempre, conscia del tuo essere donna e della totale assenza di timore nel mostrarlo, nel mostrarti. Invidiavo questa tua sicurezza tanto che in un primo momento ti giudicai male. Bastò uno sguardo e la tua prima risata nel momento in cui prendesti posto in classe in autoscuola per farmi sentire a casa, accettata. Non mi sentivo più un pesce fuor d'acqua.Nonostante tu abbia cominciato le guide prima di me, prendesti la patente un mese dopo, a Giugno.  Dopo tanti curriculum lasciati nelle varie aziende vicino casa, finalmente verso Novembre una di queste mi chiama per un contratto a tempo determinato ovviamente. Nel frattempo le nostre vite erano tornate quelle di prima, eravamo tornate due sconosciute. Non ci siamo più riviste. Ricordo ancora il primo giorno di lavoro da dopo quella chiamata fortunata. Finalmente lavoravo, finalmente potevo pensare di mettermi via qualcosa anche se sarebbe stato davvero poco, non mi importava; ero felice di aver trovato qualcosa, quella piccola speranza per il futuro, per me, per la mia famiglia, per l'amore della mia vita.Era una giornata bigia. Piovigginava. Per scacciare l'ansia, portai via con me la foto stampata del mio Amore che, gelosamente, tenevo nel diario. Ero partita con un'ora di anticipo: odio essere in ritardo, soprattutto se si tratta di una cosa importante come il primo giorno di lavoro. Non correvo, rispettavo i limiti come sempre. E poi non so, ricordo un'auto blu scuro, una donna bionda a bordo...la curva. Non tenevo più il volante. Tentai con tutte le mie forze di raddrizzarlo, ma non ci riuscivo e nel momento in cui vidi che sbandavo nella corsia opposta chiusi gli occhi. Accettai tutto quello che sarebbe successo in seguito. Accettai l'ipotesi di poter non uscirne viva. Un grande cozzare da tutte le parti mi avvolgeva in quel buio oculare e poi più niente. Quando riaprii gli occhi, l'ultima cosa che accadde fu lo staccarsi del cruscotto e l'incrinarsi del parabrezza; scoppiò l'airbag e non so se fosse dell'acido o la carica esplosiva dello stesso che mi bruciò la manica destra del cappotto. Ero bloccata: la portiera destra era ammaccata e la mia era inutilizzabile perchè ero rifinita contro il guardrail e sul fianco c'era una scarpata. Ho visto un uomo correre verso la mia auto per aiutarmi. Ma era come se io li non ci fossi. Piangevo, pensando che mia madre non avrebbe avuto più un mezzo per andare al lavoro. Piangevo perchè dovevo andare al lavoro e stavo facendo tardi. Poi trovai il cellulare, riuscii ad uscire dall'auto; chiamai a casa, chiamai il mio Amore. E poi più niente fino all'arrivo dei soccorsi. Ed ero lì stesa per terra come una salma, con la coperta termica addosso. Aveva iniziato a piovigginare di nuovo e mi sono sentita abbandonare il presente. I giorni in ospedale, il ritorno a casa. Ventiquattro giorni dopo, la notizia. Il nostro vecchio istruttore, si mette in contatto con me: "Non hai saputo? Giada è morta. Stava tornando a casa, la curva prima di entrare in paese...c'era il nevischio. L'auto si è girata su se stessa... Lei è morta sul colpo mentre il suo amico è rimasto illeso."E da un anno e mezzo a questa parte, c'è un pensiero che mi tiene ancora sveglia la notte. Un pensiero oscuro alla mia comprensione; una domanda senza risposta, una delle tante. Certo il peggio è per chi assiste non per chi se ne va.