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Gabbiani

Post n°4 pubblicato il 12 Agosto 2009 da Lupoir

 

 

In colonia di un'estate assolata,
col nasino schiacciato sul vetro,
i miei giorni che passano uguali.

Tra i bagliori di un'alba isolata,
sfilano avanti e tornano indietro,
si esibiscono con volteggi di ali.

Bianche piume sospese sul mare
allungo le mani e pare le sfioro
braccia aperte, fantastico un mondo.

Chiudo gli occhi, mi trovo a volare
lo stridio come il canto di un coro
che lenisce un dolore profondo.

Sorvolo oltre orizzonti infiniti
di opposte sponde scorgo la riva
coste deserte mi si offrono libere.

I miei dispiaceri adesso fuggiti
strazi lontani di una sorte cattiva
non più chiuse ostruite barriere.

Apro gli occhi, ritorno al presente
sono svaniti gli amici nel nulla
non resta che aspettare domani.

Tutto intorno si riempie di niente.
se per oggi un sogno si annulla
nel nuovo giorno rivive ... gabbiani.

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Lupoir
Lupoir il 14/08/09 alle 21:10 via WEB
14 agosto 2009 “GABBIANI” – RAFFAELE LEGGERINI COMMENTO CRITICO di Francesco Brizioli Mi accingo ad analizzare e commentare la lirica “Gabbiani”, scritta mercoledì 15 luglio 2009 dal poeta Raffaele Leggerini. Di tutta la sua raccolta, che ho avuto il piacere e il privilegio di poter leggere nonostante non sia stata ancora pubblicata, questa poesia mi ha colpito particolarmente, dato che, dopo le prime terzine, mi ha richiamato alla mente la poesia “L’ infinito”, della raccolta “Canti” di Giacomo Leopardi. Qui di seguito spiegherò il motivo della mia affermazione. Passiamo dunque ad analizzare analiticamente il testo. Il componimento è costituito da otto terzine di versi sciolti: la lunghezza varia (anche se la maggior parte di essi sono decasillabi; troviamo poi alcuni novenari e alcuni endecasillabi), ma sono vincolati da una rima particolare, difficle da trovare in altri componimenti poetici, in schema metrico ABC ABC DEF DEF… (simile ad una rima baciata tra ogni coppia di terzine). Dopo questa breve analisi dal punto di vista metrico, vorrei soffermarmi sul significato e sul valore connotativo di ogni singola terzina. Da qui in poi non chiamerò il narratore della poesia “Io lirico”, ma piuttosto “poeta”, proprio per sottolineare come secondo me i sentimenti e le emozioni racchiuse in questa lirica sono in stretto legame con la vita del poeta stesso. La poesia viene aperta con la descrizione della situazione che il poeta sta vivendo. Abbiamo infatti due immagini che ci fanno entrambe avvertire una sensazione di malinconia: il nasino schiacciato sul vetro, probabilmente di qualche finestra che si affaccia sul mare, e il passare del tempo sempre allo stesso modo (non a caso l’ aggettivo “uguali” messo in posizione predominante alla fine della terzina). Possiamo, a mio avviso, considerare queste immagini una metafora per tutte quelle volte che nella nostra vita ci capita di essere annoiati, senza saper cosa fare, in uno stato di malinconia e, perché no, tristezza. Nella seconda terzina qualcosa distacca la mente del poeta dallo stato in cui si trova (già ripreso nel verso 4 con l’ aggettivo “isolata” affiancato al sostantivo “alba”, alla fine del verso): abbiamo la descrizione del movimento che viene compiuto da un qualcosa che capiamo essere gabbiani solo dal titolo della poesia, proprio come in molte liriche del decadente Giovanni Pascoli. Già nella terza strofa, dopo il primo verso, scompare la figura dei gabbiani, e al centro della narrazione è il poeta, che in un modo tutto suo riesce, metaforicamente, a mettersi in contatto con gli uccelli. Da qui questa figura non compare più fino all’ ultimo verso della lirica, ma diventa per il poeta il mezzo per riuscire a viaggiare e fantasticare con il pensiero e distaccarsi dalla realtà quotidiana, che ci era stata descritta all’ inizio della poesia. E’ proprio per questo motivo che all’ inizio del mio commento avevo azzardato il paragone tra questo componimento e la lirica leopardiana “L’ infinito”. Infatti in quest’ ultima il poeta romantico, stando nel suo giardino non riesce a vedere oltre una siepe, ed è proprio attraverso questo impedimento che riesce a fantasticare con la mente immergendosi nell’ infinito; qui la figura dei gabbiani è se vogliamo opposta, visto che non rappresentano un impedimento, ma anzi essi aprono con il loro volo nuovi orizzonti; però per il poeta di ciascuna lirica, o la siepe o i gabbiani sono il mezzo per immergersi e fantasticare nei loro pensieri. Nella quarta terzina infatti, attraverso la chiusura degli occhi, comincia il “viaggio” del poeta, e incontriamo subito un elemento che ci fa capire come lo stato d’ animo di quest’ ultimo sia cambiato: abbiamo lo stridio dei gabbiani che “lenisce un dolore profondo”. Questi versi sono a mio avviso, insieme ai tre successivi, i più belli di tutta la lirica, dato che possiamo individuare una vera e propria redenzione del dolore profondo in cui fino ad ora era immerso il poeta, da parte dello stridio degli uccelli, addirittura paragonato al canto di un coro. Questa figura, secondo me bellissima, mi ha richiamato alla mente ciò che succede nel capitolo 17 del romanzo manzoniano “I promessi sposi”, quando Renzo, in preda alla disperazione, proprio sul punto di cedere, sente, come dice lo stesso Manzoni “un mormorio di acqua a corrente”: il fiume Adda. Questo rumore rappresenta per Renzo la vera redenzione, proprio come lo stridio dei gabbiani per il nostro poeta, tanto che anche lo scrittore romantico scrive: “Fu il ritrovamento d’ un amico, d’ un fratello, d’ un salvatore”. Nei tre versi successivi il poeta ci mette, una accanto all’ altra, tre immagini bellissime, che tutte insieme ci permettono di immergerci nel suo nuovo stato d’ animo: gli orizzonti infiniti, le sponde opposte e le coste deserte sono ormai raggiungibili agli occhi del poeta, che è quindi riuscito a distaccarsi dalla realtà terrena. Anche nella sesta terzina ci viene offerto un quadro positivo dell’ umore del poeta, in cui ci viene descritto ciò che lui stesso è riuscito a lasciare alle spalle: i dispiaceri, gli strazi, la sorte cattiva e le barriere ostruite, che rappresentano tutte quelle cose che ci possono rendere tristi e malinconici durante la nostra vita. Poi, nella penultima terzina, il poeta compie un gesto che è l’ opposto di quello che aveva fatto per “entrare” nell’ immaginario: apre gli occhi. Così facendo tutto finisce, per ritornare alla situazione con cui era stato aperto il componimento. Nell’ ultima terzina abbiamo, nel primo verso, un’ antitesi con la quale il poeta vuole sottolineare il ritorno alla malinconia: il tutto che si riempie di niente. La conclusione è affidata ad una speranza che ognuno di noi dovrebbe serbare nel cuore: ciò che di bello finisce in un giorno in un futuro rivivrà. Solo con l’ ultima parola della lirica l’ autore ci spiega che gli amici uccelli erano gabbiani (non considerando il titolo, come suddetto). Una poesia dunque bellissima, nella quale il poeta gioca a contrapporre continuamente i concetti di malinconia e tristezza con quelli di felicità e libertà. E’ ricca inoltre di significati metaforici, visto che questa banale situazione dell’ uomo che annoiato si distrae vedendo i gabbiani, è specchio di molte altre che ci possono capitare durante la nostra vita. Posso dire, grazie ai riferimenti fatti ai due più grandi esponenti del romanticismo in Italia, che la lirica, nonostante sia stata scritta nel XXI secolo da un poeta nato nella seconda metà del ‘900, ha tutte le caratteristiche per essere collocata tra quelle della corrente romantica ottocentesca. I miei più grandi complimenti dunque all’ autore, per come è riuscito in così pochi versi a tirar fuori sentimenti ed emozioni che, al giorno d’ oggi, non si riescono ad esprimere nemmeno con mille parole.
 
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Data di creazione: 11/08/2009
 

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