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devozione maria bambina

Post n°122 pubblicato il 07 Marzo 2010 da luxilla77dgls
Foto di luxilla77dgls

MARIA BAMBINA E L'ISTITUTO DELLE SUORE DI CARITA' DELLE SANTE BARTOLOMEA CAPITANIO E VINCENZA GEROSA.

Maria Bambina non è entrata nella spiritualità dell'istituto delle suore di carità per una precisa ispirazione della fondatrice Bartolomea Capitanio; (Nota: L'istituto fu fondato a Lovere (provincia di Bergamo) il 21 novembre 1832 da Bartolomea Capitanio (1807-1833) che ebbe come prima compagna Caterina (suor Vincenza) Gerosa (1784-1847) e come guida spirituale e consigliere don Angelo Bosio (1796-1863)). è venuta però a far parte della sua storia a poca distanza dalle origini; ne ha poi sempre accompagnato il cammino facendosi richiamo di un tratto specifico del carisma di fondazione: il confidente e umile abbandono all'iniziativa del Padre. L'istituto riconosce nelle vicende che lo hanno fatto depositario di un suo simulacro, e soprattutto centro di irradiazione del suo culto, «un disegno provvidenziale», di cui però ha sempre ritrovato l'ordito nella devozione mariana della fondatrice. Se si volesse rappresentare con un grafico la curva di sviluppo del culto a Maria Bambina dentro la storia dell'istituto, si do­vrebbe, quindi, segnare una prima punta emergente negli anni della vita privata della Capitanio.

 I.

MARIA BAMBINA NELLA SPIRITUALITA' E NELLA VITA DI BARTOLOMEA CAPITANIO

Il rapporto di Bartolomea con Maria

L'anima mariana di Bartolomea vibra ancora nei suoi scritti; ma per capirla occorre spesso superare un'istintiva reazione alle forme che la esprimono, non più rispondenti alla diversa sensibilità di oggi. Quello che lei scrive della Vergine va accostato tenendo presente che nel quadro devozionale della prima metà dell'Ottocento la pietà mariana si effondeva in una molteplicità di esercizi esteriori cui mancava un vero supporto teologico-dottrinale. So­lo più tardi riceverà un significativo contributo dalla diffusione del Trattato della vera devozione alla Madonna di Grignion de Montfort, dalla proclamazione del dogma dell'Immacolata Con­cezione nel 1854 e dalle apparizioni della Vergine, soprattutto a Lourdes nel 1858. Queste date però si collocano tutte oltre il breve arco di vita di Bartolomea Capitanio. La sua devozione mariana è quindi la devozione popolare del primo Ottocento, che si andava affer­mando sotto l'influsso del sentimento romantico e come reazione al rigorismo giansenista. Bartolomea, che non poteva ispirarsi nelle sue meditazioni a pubblicazioni mariane di una certa levatura perché mancavano al suo tempo, non fa, intorno a Maria, riflessioni particolarmente originali, e neppure sembra prediligere in modo abbastanza di­stinto qualcuna delle sue prerogative. Ella ne contempla sempli­cemente il mistero nel suo graduale svolgersi attraverso le feste mariane che costellano l'anno liturgico, ripresentandola via via Immacolata, Serva del Signore, Madre di Dio, esempio di carità, di umiltà, Madre addolorata, glorificata dal Figlio, Regina del­l'universo ecc. «La nostra cara Mamma - scriveva introducendo un esercizio devoto - è proprio come lo svegliarino della pietà. Ella ci si presenta a ogni momento sotto qualche diverso aspetto ed ogni volta par che ci inviti a ricordarci di lei in maniera distinta» (Scr 11,80). Di fatto, per onorarla, Bartolomea costruiva pratiche o le attingeva dai numerosi e spesso mediocri libriccini devozionali che venivano divulgati, cercando di cogliere bene il messaggio specifico della festa. In circostanze da lei particolarmente sentite componeva preghiere per presentare a Maria le sue risoluzioni e palesarle i suoi sentimenti; si faceva, inoltre, apostola della sua devozione nelle lettere alle amiche e con la diffusione di pratiche spirituali nelle varie associazioni. Si tratta, comunque, sempre di scritti pervasi di affetti, che Maria Bambina e l'istituto delle suore di carità suppongono, più che sviluppare, alcune verità fondamentali ac­quisite dalla pietà popolare. Bartolomea non cerca tanto luce per la comprensione teologica del mistero di Maria; vuole piut­tosto suscitare calore al cuore e impegno nell'esercizio delle vir­tù. Per queste caratteristiche i suoi scritti rivelano soprattutto un rapporto, quello di una figlia verso la propria madre. Nel suo itinerario spirituale Maria è una presenza materna inseparabile da quella del Figlio, da lui stesso assicurata sulla croce «a tutto il genere umano» (Scr 111,102). Bartolomea si appropria, per così dire, questa consegna che discende dalla croce e che «la inteneri­sce più di tutto» (ib): «Apre la bocca Gesù [...] - scrive medi­tando le sue ultime parole in ben tre corsi di esercizi spirituali - e mi fa un regalo, il più prezioso: mi dona la cosa a Lui più cara, mi consegna a Maria per figlia, mi dona Maria per Madre. A Maria raccomanda di amarmi, di aver cura come se fossi Lui stesso; a me dice di onorare, servire, amare la sua e mia cara Mamma, come faceva Lui» (Scr 111,49). Madre del Redentore, Maria diventa pure la Madre dei redenti, la Madre di Bartolo­mea che sentiva profondamente la propria realtà di salvata e rivelerà nel progetto di fondazione dell'istituto una particolare sensibilità per il mistero della redenzione. Qui sembra ancorarsi la sua spiritualità mariana. Specialmen­te le «offerte», che hanno carattere più personale, sono costruite su questa ossatura fondamentale: il rapporto madre-figlia in un contesto di redenzione. Il pensiero corre incessantemente tra due poli: sosta ora sulle prerogative di Maria viste sempre in funzio­ne della sua missione di madre della grazia, di soccorritrice, di guida a Gesù, di via alla salvezza; e ora sulla sua realtà di figlia bisognosa di «compatimento» e che pure sente vivamente il do­vere di corrispondere alle sue cure. Bartolomea compendia quello che lei chiama «il bell'ufficio» (Scr 1,287) o «il suo speciale dovere» verso Maria (Scr 111,731) in un'espressione che risuona spesso negli scritti con il vigore di un impegno: «amarla e farla amare». Per inclinazione e per forma­zione spirituale Bartolomea è portata a rivestire di azione pen­siero e affetti, a effondersi in esercizi ascetici, in pratiche devo­zionali e penitenziali che coinvolgano corpo e spirito, in servizio apostolico, convinta che chi più ama più sa industriarsi nell'inventare le forme concrete dell'amore. Anche la preoccupazione apostolica, dunque, sorge, all'interno della sua devozione mariana, come conseguenza di un rapporto: sperimenta amore e vuol coinvolgere nel medesimo amore: «Vi prometto che studierò ogni mezzo per insinuare la vostra devo­zione nel cuore di quanti mai potrò trovare»; «Non sarò contenta finché il vostro amore non lo vedrò dilatato per tutto il mondo» (Scr 111,736; 732).

Bartolomea davanti al mistero della Natività

La considerazione della natività della Vergine s'inquadra in queste linee generali della pietà mariana di Bartolomea; neppure essa però risulta di primo piano rispetto ad altre sfaccettature del suo mistero. Nel ciclo delle feste, ogni anno, l'8 settembre, la Bambina Maria si ripresentava alla sua contemplazione come a un consueto appuntamento. Nell'incontro spirituale con lei, Bar­tolomea la saluta «cara Bambina e Mamma» proiettandola subito nel cuore della sua missione e lasciando insieme emergere il rapporto preferito che gliela fa sentire subito madre, anche se qui può sembrare inopportunamente anticipato. Come tutte le im­magini di Maria che si susseguono nelle meditazioni di Barto­lomea si unificano in questo rapporto filiale che ella vive nel cuore, così anche il suo volto di Bambina le appare già soffuso della grazia della maternità. Intorno a questo momento iniziale della vita di Maria, Barto­lomea ha lasciato una preghiera composta il 7 settembre 1828 (Scr 111,740-741), una decina di riferimenti nelle lettere, tre nove-ne (Scr 11,74-77; 528; 529) dirette alle compagne di associazione o alle educande del monastero di santa Chiara, alcuni esercizi spiri­tuali e ascetici da praticare nella novena e nell'ottava della Nativi­tà (Scr 111,686; 11,78-79). I contenuti di questi scritti si ripetono e si ritrovano sostan­zialmente nella preghiera del 7 settembre che rimane perciò il documento più significativo, emblematico - anche perché più personale - della sua devozione a Maria Bambina. Bartolomea si pone anzitutto a contemplare il mistero di Ma­ria; lo contempla con metodo ignaziano, premettendo cioè la composizione di luogo. Qui l'immagine è una culla «sollevata sopra tutte» per privilegio della SS. Trinità, verso la quale con­vergono «i sospiri e i preghi degli antichi Patriarchi» e su cui si effondono «la tenerezza, l'amore e i servigi della fortunatissima genitrice S. Anna» (Scr 111,740; II,75;79). E' l'intuizione popola­re, immaginifica della collocazione storica di Maria «aurora del­la salvezza», punto di confluenza dell'Antico nel Nuovo Testa­mento, in cui si congiungono i secoli dell'attesa con quelli della grazia. Autori di antiche liturgie e composizioni hanno visto in questo primo apparire di Maria un annuncio di festa cosmica: «la nascita della letizia universale», «l'inizio delle feste», «la danza del crea­to». Più modestamente Bartolomea scrive: «Nasce Maria e il suo nascere apporta allegrezza e consolazione al cielo e alla terra» (Scr 11,74). E quasi sentendosi particella di questo arcobaleno di gioia che vede dipartirsi dalla sua culla, esclama: «Io mi rallegro con voi, Maria, poiché vi veggo sì bella che appena nata vi siete rubato il cuore di Dio medesimo» (Scr 111,740). La culla diventa ai suoi occhi il luogo in cui si attua l'incontro di Dio con l'umani­tà, e il cielo e la terra si ritrovano mirabilmente riconciliati. Le immagini - poche ma essenziali - che Bartolomea usa per la sua contemplazione, tratte probabilmente dai libretti devozio­nali del tempo, sono appena abbozzate, ma il loro senso profondo è facilmente intuito o dedotto. Nell'adorare e ringraziare genuflessa presso la culla, in cui si svela questo istante nuovissimo, Bartolomea osserva, con altro stupore, che la SS. Trinità ha posto tanta grandezza proprio a servizio di lei, che di Maria è «serva, devota e figlia» (Scr 111,740). Bartolomea è attenta a questo palpito divino che si raccoglie in una piccola carne e da lì si effonde, che attrae a sé ed espande, consacra e invia. E imprime o ritrova lo stesso movimento nella sua vita: dall'amore al servizio, secondo una dinamica tipicamen­te ignaziana presente nella spiritualità eclettica del suo tempo, ma che ella assume con novità personale. In un secondo momento Bartolomea, che non si smentisce mai nei procedimenti interiori, attualizza il mistero contemplato. Frutto di questa festa sarà la rinascita di Maria nel cuore delle sue devote, che avverrà in proporzione di quanto esse sapranno spa­lancarsi alla sua santità. A questo - ella precisa - è diretta la novena (cf Scr 11,75), cioè la molteplicità degli esercizi. Proprio da questa volontà di imitazione prende efficacia la sua devozione che si riscatta così dalla frammentarietà e, talvolta, dall'ingenuità delle espressioni esteriori in cui anche Bartolomea incorre. Vi incorre, come s'è visto, per influsso del tempo, ma, specialmente quando si rivolge ad altri, anche con evidenti finali­tà pedagogiche. Bartolomea sa che con la gioventù bisogna indu­striarsi a proporre in forma suggestiva l'atto virtuoso, l'esercizio ascetico-penitenziale. Attraverso il gusto di un'azione quasi ma­teriale - preparare a Maria che nasce un'abitazione più bella possibile, ricostruire pezzo per pezzo la sua culla facendo corri­spondere all'oggetto la virtù (cfScr 11,75), «renderla vaga e ador­na» (Scr 11,76)- la volontà veniva piacevolmente stimolata e la virtù praticata quasi con entusiasmo. Bartolomea confidava alla sua maestra suor Francesca Par­pani che aveva sperimentato lei stessa l'efficacia di simili accor­gimenti negli anni di educandato: «Non sa, signora Maestra, quanto giovevoli siano alle fanciulle e quanta forza abbiano sui loro teneri cuori certi piccoli discorsi di pietà, certe buo­ne massime lanciate come a caso, ma che in sé tendono alla vir­tù e mirano al conseguimento di essa; molte volte riportano ef­fetti mirabili. Io stessa l'ho sperimentato quando mi toccò la sorte di divenir santa» (Atti dei processi per la canonizzazione 1,42). Pratiche simili a quelle da lei diffuse si ritrovano, infatti, nei manoscritti Esercizi di virtù e di devozione praticati dalle religiose Clarisse in uso nell'Ottocento nel monastero di santa Chiara in Lovere. Tra queste vi sono gli Offizi per la natività di Maria SS., che possono aver ispirato le pratiche proposte da Bartolomea. Si tratta di atti devoti, scarsi di fondamento teologico e di riferimen­ti liturgici, ma ricchi di suggestione per l'immaginazione e per il sentimento, che prendono senso dallo sforzo di 'rinascere' spiri­tualmente a una vita simile a quella di Maria. Così Bartolomea vive e insegna a vivere la specificità di una festa, che celebra l'istante nuovissimo di una nascita. Quando poi Bartolomea si pone sola davanti alla culla di Ma­ria Bambina, la sua preghiera si fa sostanziale, interiore, tutta rac­colta attorno all'aspetto di questa rinascita che più risponde al suo gusto spirituale: il confidente abbandono alla volontà del Padre. A Lucia Cismondi, il 5 settembre 1828, confidava di aver intenzione di «chiedere alla cara Bambina due grazie nel giorno della sua festa» (Scr 1,289), le stesse che poi esplicitava nella preghiera della vigilia. «Cara Bambina - scriveva - per amore della vostra Infanzia donate anche a me una santa spirituale infanzia, per cui a guisa dei fanciulli io non abbia volontà, non abbia intelletto, desiderio, propensione che per quello che vuole Iddio (...). Vi prego poi con tutto il cuore a fare che almeno almeno abbia da morire in qualche Religione, se non volete per la mia indegnità farmi in essa passare tutti i giorni miei» (Scr 111,740-741). Maria che nasce per portare salvezza le fa risentire in cuore il desiderio della consacrazione e della disponibilità incondiziona­ta ai disegni di Dio. Con una probabile allusione al bambino po­sto da Gesù come segno del regno dei cieli, Bartolomea usa qui il termine di 'infanzia spirituale'. La dottrina che esso compen­dia ha le sue prime tracce nel Medioevo - parallelamente all'af­fermarsi della devozione a Gesù Bambino - e si sviluppa anche in autori posteriori; ma per una formulazione più approfondi­ta e per una vera e propria divulgazione bisogna giungere a Tere­sa di Lisieux. Se Bartolomea non l'avesse preceduta di parec­chi decenni, il termine infanzia spirituale' si sarebbe potuto di­re attinto alla spiritualità e ai molteplici scritti della santa fran­cese. Comunque sia entrato nel suo linguaggio, con esso Bartolomea esprime un tratto significativo della sua stessa esperienza spiritua­le. La confidenza, l'abbandono «come bambina nelle mani del Padre» erano infatti il clima in cui viveva abitualmente. Ma questo spirito d'infanzia che Bartolomea apprende dalla Bambina Maria è anche dolcezza, amabilità. Ricorrono con fre­quenza nei suoi scritti le espressioni «dolcissima», «amabilissima Bambina».

 
 
 
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