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Il dramma di Haiti e la nostra solidarietà

Post n°186 pubblicato il 16 Maggio 2010 da maiden.casoria
 
Tag: Blog

Le scene terrificanti trasmesse dalla televisione, i volti terrorizzati e sofferenti  dei bambini, i corpi martoriati estratti dalle rovine, gli edifici e le strade ridotte in macerie…tutto permane indelebilmente nella nostra memoria. Un terremoto del vii grado della scala Richter ha devastato l’isola di Haiti: una scossa molto forte, ma che non giustifica le migliaia di vittime e la distruzione quasi totale della capitale, Port-au-Prince. Infatti la catastrofe non è stata determinata solo dal fenomeno sismico, ma è stata anche la conseguenza dell'elevato indice demografico del territorio e dell’estrema povertà della popolazione. Povertà che è frutto di scellerate scelte politiche che hanno depredato il territorio. «Le fosse comuni di oggi sono state scavate su altre fosse comuni, quelle delle migliaia di oppositori della dittatura Duvalier (padre e figlio) che per tre decenni ha spadroneggiato ad Haiti facendo massacrare a colpi di machete chi non intendeva piegarsi». La previsione deterministica di un terremoto non è ancora possibile, ma si sa bene che l’isola è posizionata tra due faglie della crosta terrestre ed è uno delle zone più attive del mondo; per questo motivo non è giustificabile l’assenza di un programma di prevenzione che avrebbe sicuramente attenuato le conseguenze catastrofiche, cosa che invece accade nei paesi ricchi, ad es.  il Giappone o la California. Il giorno prima dell’evento, Papa Benedetto xvi denunciava: «L’aumento delle spese militari, nonché il mantenimento e lo sviluppo degli arsenali nucleari, assorbe ingenti somme che potrebbero, invece, essere destinate allo sviluppo dei poveri». Con ciò vogliamo dire che è necessario essere accanto alle vittime del terremoto con una concreta e generosa solidarietà, ma non possiamo sottrarci dall’impegno di costringere coloro che ne hanno la responsabilità a mettere in atto politiche di prevenzione, spostando risorse destinate ad opere faraoniche (che, spesso, servono solo alla vanità del potere o all’arricchimento di pochi), verso la cura, la sorveglianza, la gestione del territorio e a considerare la miseria e la povertà come le più urgenti ed allarmanti questioni globali da risolvere. Ed oltre il danno, ci potrebbe essere la beffa: le catastrofi più o meno “naturali”, per il nostro perverso sistema economico, diventano un'incredibile occasione di profitto. Immediati sono stati e sono i “raid” di avvoltoi pronti ad accaparrarsi gli appalti della ricostruzione, legati a una visione dei disastri come opportunità che trasformano la ricostruzione nell'ennesima grande rapina di risorse pubbliche. Un esempio tra i peggiori: dopo il  maremoto del 2004 che colpì lo Sri Lanka, le case dei pescatori distrutte furono sostituite da villaggi turistici, infierendo senza pietà su quelle popolazioni che già avevano perso tutto. Prevenire, tenendo sotto controllo e curando il territorio, significa pensare al bene comune dei popoli, ma purtroppo significa anche, per alcuni, diminuire le possibilità di guadagno perché diminuirebbero le “emergenze”. E allora, uniti, bisogna urlare basta alla logica del profitto a ogni costo, basta alle emergenze provocate! Infine non possiamo dimenticare le vittime della nostra ”civilissima Italia”, morte anch’esse per l’incuria o per la stupidità di gente avida, troppo attaccata al dio denaro: lo studente morto per il crollo del soffitto del Liceo Darwin a Torino; le vittime del terremoto in Abruzzo, ed in particolare i giovani della Casa dello Studente; le vittime dell’alluvione di Giampilieri, in Sicilia; le due piccole sorelline morte a Favara, sepolte sotto le macerie della loro fatiscente casa, caduta giù senza alcuna scossa di terremoto. Il “grido della terra e dei poveri” si fanno sempre più assordanti e chiedono alle nuove generazioni di cambiare rotta e di investire la loro intelligenza con una nuova passione, un forte impegno, una grande generosità.

Bartolomeno Celardo

 
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