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Italiani, sempre più in giallo. Perché?

Post n°217 pubblicato il 10 Febbraio 2011 da maiden.casoria
 

Da qualche anno ormai le ‘narrazioni’, intese in senso ampio come le storie della cronaca giornalistica, della quotidianità e dei libri che di giorno in giorno si raccontano alla nostra mente, hanno prevalenti sfumature di giallo.

Basta dare un’occhiata alle classifiche dei libri più venduti per rendersi subito conto che il genere del crime novel è senza alcun dubbio quello predominante. Ciò induce a fare due immediate riflessioni: in primo luogo, sembrerebbe che l’Italia sia già sulla stessa china della Svezia, dove addirittura più del 60% di tutti i libri pubblicati è riconducibile al filone del giallo; in secondo luogo, è probabile che il fenomeno del giallismo si autoalimenti e nei prossimi anni faccia sempre più proseliti poiché l’enorme schiera di lettori non abituali potrebbe trasformarsi in un potenziale bacino di futuri giallisti: i lettori ‘per caso’, infatti, non hanno nessuna predilezione particolare e quindi si affidano nelle scelte per l’acquisto di libri alle classifiche dei best-seller, che di norma gravitano nel genere del crime novel, dal giallo, al noir o al poliziesco.

Inoltre, se facciamo un giro in una grande libreria, ci rendiamo subito conto che la sezione dedicata ai gialli è in ipertrofia: accanto ai classici Simenon, Camilleri, Grisham e simili, si impilano i romanzi gialli di numerosissimi autori svedesi che, sull’onda del successo della Millennium Trilogy di Stieg Larsson, hanno conquistato il pubblico italiano. Gli scrittori nostrani, comunque, non se ne stanno di certo lì a guardare e si cimentano in nuovi esperimenti. Recentissima è l’uscita di Acqua in bocca, un libricino scritto a quattro mani da Camilleri e Lucarelli, esperti in fatto di crimine. Il romanzo si configura come una mimesi realistica delle procedure investigative in quanto raccoglie al suo interno gli atti delle vicende narrate: carte di identità, documenti ufficiali, lettere, ecc., che stimolano la partecipazione attiva del lettore nella ricostruzione delle indagini.

Ora, c’è da chiedersi: si tratta solo di una moda editoriale o il boom del giallo è da considerarsi una vera e propria tendenza culturale che ha investito anche l’Italia? Data l’ampiezza del fenomeno, è lecito propendere per la seconda ipotesi. Come in Svezia, è possibile che anche qui da noi il giallo sia stato identificato dalla gente come il genere più idoneo a rappresentare la complessità del reale, con le sue incertezze, i suoi inspiegabili episodi di violenza, la necessaria e ininterrotta ricerca della verità che negli schemi delle opere di fiction può sempre trovare delle risposte, a differenza di quanto accade nella realtà.

Anche la vita reale, nelle cronache dei giornali e della tv, è sempre più in giallo o è rivestita di una fosca tinta noir. I misteri irrisolti o gli episodi di cronaca nera sono sempre esistiti, ma oggi è diverso il modo in cui ci sono riportati. I fatti sono narrati dai media con dovizia di particolari, supportati da video e foto, e sono costantemente aggiornati. Negli ultimi mesi le tristi vicende di Sara prima, e di Yara poi, hanno avuto una copertura mediatica enorme e, come tante altre storie simili, sono state raccontate e approfondite in televisione con precisione investigativa, ossessione del dettaglio, fictionalizzazione dei fatti con plastici, ricostruzioni, attori che interpretano i protagonisti delle cronache, ecc. E’ lecito chiedersi se, nella caccia al giallo, sia l’arte che imita la vita oppure, come sosteneva provocatoriamente Oscar Wilde, è la vita che imita l’arte, in questo caso nelle sue tinte più fosche.

Nei palinsesti televisivi sono da tempo ben collocate le serie poliziesche o investigative. E sulla tv sky ci sono alcuni canali dedicati al genere, tra i quali spicca quello chiamato Fox Crime.

Insomma, sia la vita reale che quella delle opere di fiction sono un giallo continuo, e noi ci sentiamo sempre più spesso investigatori. O, talvolta, vittime.

Vivien Buonocore

 
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