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Messaggi di Aprile 2019
Post n°68 pubblicato il 18 Aprile 2019 da touchstone0
Tag: poesia Postfazione di Marco Belocchi alla sillloge poetica La frequentazione con Lorenzo Pompeo risale ai primi anni novanta, quando si seguiva insieme il laboratorio di drammaturgia del compianto Mario Prosperi al Teatro Politecnico, uno spazio che ormai è stato consegnato alla storia del teatro romano d'avanguardia e che, chiusi definitivamente i battenti nel 2008, fu attiva fucina di autori e registi teatrali per oltre un trentennio. Non solo, sempre in quegli anni, insieme ad altri giovani poeti inauguravamo il LARP (Laboratorio aperto di ricerca poetica), centro di dibattito, e talvolta di scontro polemico, che in qualche modo si adoperava per un rinnovamento della ricerca poetica attraverso incontri e reading fuori dai luoghi deputati; esperienza che culminò, prima della inevitabile dispersione, con un'antologia, ormai introvabile, pubblicata nel 1993 da Stampa Alternativa. Ma se molti di questi compagni di viaggio hanno preso strade diverse, o semplicemente, come spesso avviene, si sono diradate le occasioni d'incontro, con Lorenzo è rimasta un'amicizia che si fondava, non solo su interessi comuni, ma su comuni intenti e fecondi scambi letterari, teatrali e infine cinematografici. La sua formazione di slavista e traduttore dal polacco, russo e ucraino, che l'ha portato necessariamente a frequentare letterature in Italia poco tradotte e quindi il suo attivo e infaticabile adoperarsi come possibile ponte tra una cultura dell'est europeo che solo da poco, abbattuti i muri berlinesi, si preparava a uscire fuori da un isolamento sin troppo lungo, trovava una sponda nel mio lavoro di operatore teatrale, riuscendo così a proporre testi drammaturgici della contemporaneità russa o polacca all'attenzione, se pur esigua, della scena romana. Come pure le rassegne, sul versante cinematografico, di pellicole ungheresi o polacche che, salvo qualche eccezione, potevano essere fruite solo dai frequentatori di festival internazionali. Ebbene accanto a tutto questo lavorio, Pompeo, in realtà, non ha mai dismesso i panni dell'autore tout-court e se forse ha abbandonato la scrittura scenica, (ma chi può dire cosa si celi nei cassetti del suo scrittoio informatico) la tentazione della poesia e della narrativa ha costantemente accompagnato le sue abituali passeggiate in terre slave, iscrivendo al suo attivo una raccolta di racconti (già prefata dal sottoscritto) e un primo romanzo, cui a breve ne seguirà un secondo. Mentre la poesia, in questi anni, faceva solo capolino in alcune antologie o su qualche rivista, in maniera sparsa e, mi viene da dire quasi pigra, come dovesse uscire da un bozzolo senza la voglia di rendersi farfalla ("parole-farfalle si disperdono / nei celesti labirinti vegetale). E forse a questo è servita la "Santa Pazienza" del titolo proposto da Pompeo per la sua silloge, una pazienza però sorretta da cemento armato, da una solidità letteraria e da studi matti (e fors'anche disperatissimi) con i quali il nostro filtra i suoi versi, senza avere quella logorrea lirica di tanti autori che oggi sfornano una silloge ogni due anni! Pompeo ci consegna un distillato di venticinque anni di poesia, dove non si avverte l'usura del tempo, né le effimere mode culturali che nel frattempo hanno attanagliato il fare poetico, componendo in realtà un corpo unico e riconoscibile dove, al di là delle occasioni, sempre s'interroga sul senso della letteratura, nell'indagine ossessiva e maniacale dove "parole-formiche si ostinano / nella ricerca del verbo scomparso". La letteratura, quindi, come dipendenza irrinunciabile dallo scrivere, il dover scrivere o riscrivere, che sarebbe poi il continuo "tradurre immerso negli etimi e nei trattati in un rapporto fagocitante e assoluto". Infine l'istante, la fotografia, (a cui Pompeo ha dedicato un'altra parte della sua attività più o meno recente), il fermo-immagine che, se da un lato si apparenta al cinema, se ne discosta in realtà sul piano del tempo e della durata. La poesia è in qualche modo anche fotografia? Si domanda Lorenzo in una delle sue liriche più brevi e intense della raccolta, come fosse una serie di scatti che cercano di delimitare il confine semiotico della poesia. È una delle possibilità, ma per esserlo la foto deve rendersi invisibile, andare oltre il dato sensibile, diventare un'istantanea che riesca a cogliere lo sguardo dell'immaginario.
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Inviato da: touchstone0
il 11/05/2009 alle 11:06
Inviato da: gretaemma
il 10/05/2009 alle 22:17
Inviato da: touchstone0
il 19/03/2009 alle 08:18
Inviato da: maresogno67
il 18/03/2009 alle 22:37